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Polieteri: un’analisi delle applicazioni e delle proprietà

I polieteri rappresentano una classe di caratterizzati da catene costituite da unità ripetitive collegate da legami eterei. Questi materiali, in cui un atomo di ossigeno è legato a due atomi di carbonio, sono di grande interesse sia per le loro proprietà chimiche che per le numerose applicazioni industriali e biomediche. Un esempio storico di questa tipologia è rappresentato dall’introduzione del poli(tetrametilene etere) glicole da parte della multinazionale DuPont nel 1956.

Struttura e classificazione dei polieteri

Polieteri alifatici

All’interno della categoria degli alifatici, spicca il poliossimetilene (POM), caratterizzato da una catena polimerica formata da legami singoli CH<sub>2</sub>O-. Il POM è ampiamente riconosciuto come uno dei principali ingegneristici, grazie alla sua elevata resistenza meccanica, alla capacità di resistere all’abrasione e alla fatica, e alla facilità di stampaggio. Altri polimeri in questa categoria includono glicoli polietilenici e glicoli polipropilenici, che vantano proprietà meccaniche ed elettriche di rilievo, nonché un’ottima adesione su superfici metalliche e una notevole resistenza all’umidità e a shock termici e meccanici.

Polieteri aromatici

Tra i polieteri aromatici, il polifenilenossido è uno dei composti più conosciuti. Questi materiali si distinguono per la presenza di gruppi aromatici nella loro struttura, conferendo loro particolari proprietà in termini di stabilità termica e resistenza chimica.

Resine epossidiche e altre strutture reticolate

Le resine epossidiche costituiscono una classe di polieteri reticolabili, caratterizzati presenza di almeno due gruppi epossidici per monomero. Queste resine, ottenute solitamente dalla condensazione di bisfenolo A ed epicloridrina, sono note per l’elevata resistenza chimica, la forte adesione a substrati quali vetro e metalli, e le eccellenti proprietà di isolamento elettrico. Inoltre, la loro elevata reattività permette l’incorporazione efficace di fibre, producendo materiali compositi con ottime caratteristiche meccaniche. A differenza delle resine epossidiche, le resine fenossidiche, che possiedono un peso molecolare superiore, non richiedono ulteriori polimerizzazioni e trovano impiego in rivestimenti protettivi per metalli, legno e cemento.

Polietilenglicoli e polieteri sintetici

Uno dei polieteri più riconoscibili è il polietilenglicole (PEG), derivato dalla polimerizzazione del glicole etilenico. Il PEG si distingue per il suo impiego come catalizzatore ecologico ed economico, nonché come solvente in numerose trasformazioni chimiche. Grazie alla sua stabilità, riciclabilità e biodegradabilità, il polietilenglicole trova applicazione anche come vettore terapie per malattie degenerative spinali, grazie alla sua buona biocompatibilità, bassa tossicità e limitata immunogenicità. Parallelamente, il glicole polipropilenico viene utilizzato in ambito cosmetico come agente condizionante cutaneo e come inibitore della formazione di schiuma nei processi industriali.

Polieteri ionofori

I polieteri ionofori costituiscono un gruppo di composti naturali da specie del genere Streptomyces. Questi composti, noti per la loro elevata liposolubilità, possiedono la capacità di trasportare cationi metallici attraverso le membrane cellulari. Con oltre 120 composti identificati, gli ionofori sono principalmente impiegati nel controllo della coccidiosi, e alcuni di essi mostrano un ampio spettro di attività biologica, includendo proprietà antibatteriche, antimicotiche, antiparassitarie e antivirali. Un esempio emblematico è rappresentato dalla calcimicina, un ionoforo attivo contro batteri Gram-positivi e funghi, capace di formare complessi stabili con ioni metallici divalenti e facilitarne il transito attraverso le membrane cellulari.

I polieteri, con le loro variegate strutture e proprietà, rappresentano materiali di fondamentale importanza in numerosi settori, dall’ingegneria dei polimeri alla biomedicina. La loro versatilità, unita alle proprietà meccaniche, chimiche e biologiche, ne fa oggetto di studio e applicazione continua, evidenziando come la sintesi e la modifica delle strutture molecolari possano dare origine a materiali innovativi e performanti.

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La tomba del faraone Tutmosi II scoperta in Egitto dopo un secolo dalla tomba di Tutankhamon

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103 anni dalla della tomba di Tutankhamon, è stata rinvenuta in la sepoltura del faraone II. L’annuncio è stato fatto da un team di ricerca anglo-egiziano guidato da Piers Litherland. Il faraone regnò tra il 1493 e il 1479 a.C. o, secondo altre fonti, dal 1482 al 1479 a.C. Questa scoperta rappresenta un evento straordinario, in quanto da oltre un non si verificava il ritrovamento di una sepoltura reale dell’Antico Egitto. La tomba si trova nella necropoli di Tebe, vicino Luxor, in un’area storicamente destinata alle sepolture delle donne della famiglia reale. Gli archeologi hanno compreso di trovarsi di fronte alla tomba di un faraone grazie al soffitto affrescato di blu con stelle dorate, elemento distintivo dei sovrani del Nuovo Regno (XVI-XI secolo a.C.).

Purtroppo, la tomba non si presenta in buone condizioni. Le intemperie e una serie di allagamenti, oltre alla sua dismissione voluta già in epoca antica, hanno compromesso gli interni. Il sepolcro di Tutmosi II venne svuotato e dismesso probabilmente poco dopo la morte del sovrano. Era consueto che le mummie e i corredi venissero trasferiti in altre sepolture, anche temporanee, per proteggerli da razziatori e profanatori. Notoriamente, la tomba KV35 fungeva da deposito per molte mummie, compresi alcuni importanti faraoni. La mummia di Tutmosi II era già conosciuta alla fine del XIX secolo, quando venne trovata nel cosiddetto “Nascondiglio Reale”, rifugio temporaneo per mummie, attualmente conservata al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana del Cairo.

Le condizioni del sepolcro hanno portato a confermare l’appartenenza a Tutmosi II attraverso il ritrovamento di frammenti di vasi in alabastro, che recano il nome del faraone e della moglie, Hatshepsut, nota per aver regnato da sola per vent’anni dopo la morte del marito, fino al 1458 a.C.

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10 parole inglesi che non possono essere tradotte in italiano

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Cringe, serendipity, wanderlust. Queste sono inglesi con significati noti, ma difficilmente traducibili in italiano. La lingua inglese presenta una varietà di termini che esprimono concetti e sfumature culturali di difficile resa in una sola parola. Termini come awkward e wholesome mettono in evidenza come ogni lingua rispecchi prospettive uniche, ed esplorarle può ampliare la comprensione delle culture di origine.

10 parole inglesi intraducibili in italiano

Wanderlust

La parola viene utilizzata spesso da persone descrivibili come avventurose, animate dal desiderio di esplorare il mondo. Proveniente dal tedesco “wandern” (vagare) e “lust” (desiderio), “wanderlust” cattura l’intensità di un forte impulso a viaggiare. Anche se potrebbe essere tradotta come “desiderio di viaggiare”, l’espressione non restituisce completamente la passione racchiusa nel termine originale.

Serendipity

Il termine “serendipity“, coniato dallo scrittore Horace Walpole nel XVIII , si riferisce alla scoperta fortuita di qualcosa di prezioso mentre se ne sta cercando un’altra. In italiano si potrebbe dire “casualità fortunata” o “scoperta fortuita”, ma queste espressioni non riescono a rendere pienamente l’idea dell’inaspettato evocato parola. Sebbene “serendipità” sia stata proposta, il termine originale è generalmente preferito.

Overthinking

Il termine overthinker indica una persona che riflette eccessivamente su un argomento, al punto di sviluppare ansia. Si potrebbe tradurre come “pensare troppo” o “rimuginare”, ma non esiste un’unica parola in italiano che sintetizzi il concetto per intero. L’overthinking può condurre a un circolo vizioso di pensieri, generando stress e paralisi decisionale.

Cringe

Il termine “cringe” è diventato parte del linguaggio comune, in particolare tra i più giovani, per descrivere una sensazione di imbarazzo o disagio causata da comportamenti giudicati imbarazzanti. Sebbene si possano utilizzare termini come “comportamento imbarazzante”, una traduzione equivalente non riesce a trasmettere la stessa sfumatura.

Cozy

Il termine “cozy” indica un ambiente o una situazione calda e accogliente. In italiano, espressioni come “accogliente” o “confortevole” si avvicinano al significato originale, ma non riescono a esprimere appieno l’atmosfera intima di “cozy”.

cozy

Awkward

L’aggettivo “awkward” descrive situazioni o persone che suscitano disagio e imbarazzo. Sebbene in italiano si possano usare parole come “scomodo” o “imbarazzante”, nessuna riesce a rendere completamente il significato originario, soprattutto nel contesto delle interazioni sociali.

Mindfulness

Negli ultimi anni, “mindfulness” è frequentemente associato al benessere personale. Il concetto deriva dalle tradizioni buddhiste ed enfatizza la presenza e la consapevolezza del momento attuale, accettando pensieri e sentimenti giudizio. In italiano, si potrebbe usare il termine “consapevolezza”, ma non riesce a catturare la filosofia che caratterizza “mindfulness”.

mindfulness

Fluffy

Tenero e morbido come una nuvola, “fluffy” descrive qualcosa di leggero e soffice. In italiano, “soffice” o “morbido” rendere l’idea, ma non colgono pienamente il concetto di vaporosità tipico di “fluffy”, utilizzato per descrivere cuscini, animali pelosi o dolci molto teneri.

Trepidation

Il termine “trepidation” non fa riferimento a una trepidazione positiva; è utilizzato in contesti letterari e psicologici per esprimere un senso di ansia o paura anticipata. Mentre l’italiano offre termini come “timore” o “apprensione”, si perde l’idea di una paura nervosa evocata da “trepidation”.

Wholesome

Il termine “wholesome” descrive qualcosa di sano e genuino, positivo sia per il corpo che per la mente. Anche se in italiano si può tradurre con “genuino” o “nutriente”, queste espressioni offrono solo una visione parziale del significato di wholesome.

Wholesome

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Scelta della musica da mandare in onda nelle radio

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La selezione musicale delle emittenti radiofoniche, sia locali che nazionali, è un processo complesso e articolato che mira a catturare l’attenzione del pubblico e massimizzare gli ascolti, essenziali per la vendita di spazi pubblicitari. Le scelte non sono più basate esclusivamente sul gusto personale di DJ o speaker, ma sono curate da professionisti che gestiscono la programmazione in modo sistematico.

Fattori che influenzano la programmazione musicale

La dei brani da trasmettere è influenzata da vari elementi, tra i quali il format dell’emittente, il target di ascoltatori e l’immagine sonora che si intende proiettare. Le che si rivolgono a un pubblico giovane tendono a privilegiare brani di tendenza, mentre quelle con un ascolto più maturo tendono a trasmettere successi del passato. Anche l’orario di trasmissione incide sulla selezione: durante le ore notturne, ad esempio, è più comune ascoltare musica rilassante, contrariamente a una programmazione più dinamica diurna. Le scelte musicali essere influenzate anche da classifiche provenienti da piattaforme come EarOne, che registrano le canzoni più trasmesse dalle radio.

In alcune emittenti, il processo di selezione avviene attraverso Auditorum Test, che coinvolge ascoltatori reali che valutano la loro preferenza per brani specifici. Sebbene questo metodo richieda investimenti significativi e tempo, rappresenta un modo efficace di raccogliere feedback diretti. Gran parte della programmazione musicale moderna è gestita tecnologia, con l’uso di software specifici per pianificare le trasmissioni, creando schemi che regolano la rotazione dei brani in base alla loro popolarità.

Cambiamenti nel panorama musicale

Sebbene le emittenti possano decidere di promuovere nuovi brani, la tendenza generale è quella di trasmettere musica che rispecchi i gusti più tradizionali del pubblico, spesso in linea con le classifiche di successo. Le case discografiche, un tempo detentori di un potere significativo nella programmazione radio, oggi hanno un’influenza ridotta. Le etichette indipendenti e le case discografiche più piccole, pur mantenendo la possibilità di influenzare la programmazione attraverso campagne promozionali, non possono più contare su finanziamenti per la promozione di propri artisti.

Le emittenti sono chiamate ad adattarsi rapidamente alle evoluzioni dei gusti musicali per evitare cali degli ascolti e, di conseguenza, perdite entrate pubblicitarie. L’impatto delle piattaforme social, come TikTok, ha conferito il potere ai fan, i quali possono influenzare in modo significativo le scelte musicali. Ad esempio, il brano If We Ever Broke Up di Mae Stephens ha dimostrato come anche artisti non affiliati a case discografiche possano arricchire le playlist radiofoniche grazie alla viralità.

Secondo esperti del settore, le radio sono aperte a promuovere artisti non contrattualizzati se altri fattori contribuiscono al successo di un brano, in particolare la viralità sui social. Questo fenomeno è descritto come la «democratizzazione della musica». Tuttavia, le emittenti devono affrontare le sfide legate alle aspettative del pubblico e alla varietà di gusti presenti tra gli ascoltatori.

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Protoclone: il primo essere umano sintetico ispirato a “Westworld” crea inquietudine

Clone Robotics vuole sviluppare androidi indistinguibili dagli esseri umani: l’ultima creazione è Protoclone, il primo essere umano progettato per replicare la struttura muscolo-scheletrica umana.

@clonerobotics/X

Il settore della robotica umanoide sta compiendo significativi progressi, con aziende come Tesla, Figure AI e Unitree Robotics attivamente impegnate nella creazione di assistenti robotici avanzati. Clone Robotics si distingue per l’ambizioso obiettivo di sviluppare androidi indistinguibili dagli esseri umani.

Il recente progetto di Clone Robotics, denominato Protoclone, è stato presentato come “il primo essere umano sintetico”. Questo androide dall’aspetto iperrealistico è progettato per replicare con precisione la struttura muscolo-scheletrica umana. Caratterizzato da un corpo bianco e muscoli artificiali definiti, Protoclone presenta un volto coperto da una maschera nera, richiamando le estetiche dei robot nella serie TV , fonte di ispirazione per gli sviluppatori.

Le caratteristiche di Protoclone

Durante un video di presentazione social, Protoclone ha mostrato movimenti fluidi delle gambe e delle braccia. L’androide vanta oltre 200 gradi di libertà di movimento, più di 1.000 miofibre muscolari e oltre 200 sensori, elemento che lo rende un altamente sofisticato.

La struttura di Protoclone non si limita a emulare l’aspetto umano; è supportata da un complesso sistema di organi sintetici che simulano funzioni scheletriche, muscolari, vascolari e nervose. Clone Robotics punta a rivoluzionare il settore, creando androidi capaci di eseguire attività quotidiane come cucinare e pulire, interagendo con gli esseri umani in modo naturale. L’azienda prevede di rilasciare 279 unità di Clone Alpha nel 2025, una versione avanzata progettata per l’assistenza domestica.

L’impatto psicologico e il fenomeno della “Uncanny Valley”

La realizzazione di androidi simili agli esseri umani solleva questioni etiche e psicologiche. Il fenomeno della “Uncanny Valley”, teorizzato dal professor Masahiro Mori nel 1970, descrive la sensazione di disagio che le persone avvertono di fronte a robot con un aspetto e un comportamento quasi umani.

Quando un androide apparirà quasi indistinguibile da un umano, ma non perfettamente identico, il cervello umano percepisce questo scostamento, generando una sensazione di inquietudine. Questo aspetto potrebbe influenzare l’accettazione di Protoclone e dei suoi successori, dato che rimane incerta la predisposizione del pubblico ad accogliere robot indistinguibili dagli umani proprie abitazioni. Clone Robotics, tuttavia, sembra determinata a superare tali barriere, proponendo una visione del futuro in cui umani e androidi coesistono in armonia.

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Il successo globale dalle origini

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Il rap è un genere musicale che trae le sue origini negli anni ’70 nel Bronx, New York, come elemento fondamentale della cultura hip-hop. Questo stile musicale si è evoluto in numerose forme, influenzando non solo il panorama musicale, ma anche la cultura globale. Nato come espressione della comunità afroamericana in risposta a sfide sociali ed economiche, oggi il rap rappresenta uno dei generi più ascoltati a livello mondiale, raggiungendo posizioni di vertice classifiche musicali e contribuendo a creare un’industria da miliardi di dollari.

Origini del rap e la nascita dell’hip-hop

Per comprendere le origini del rap è necessario tornare agli anni ’70, quando la comunità afroamericana del Bronx utilizzava la come strumento di protesta e consapevolezza. Il termine “rap” deriva dall’inglese colloquiale, significando “colpire” o “battere rapidamente”, e si è evoluto nella cultura hip-hop per descrivere il parlato in rima sopra a basi musicali. Un ruolo fondamentale nella nascita dell’hip-hop è stato rivestito da DJ Kool Herc, che inventò una tecnica innovativa utilizzando due giradischi per isolare e ripetere i breakbeat delle canzoni funk. Questo approccio non solo forniva una base musicale continua per i ballerini, ma creava anche l’opportunità per l’improvvisazione vocale, dando vita alle rime e agli slogan che caratterizzerebbero il rap.

Le prime esibizioni ritmiche portarono alla nascita degli MC, i Master of Ceremonies, che usarono nuove tecniche dei DJ per manipolare i dischi in tempo reale. Il brano rap registrato, “Rapper’s Delight” della Sugarhill Gang, vide la luce nel 1979, mentre Melle Mel, membro dei Grandmaster Flash and the Furious Five, contribuì a trasformare il rap in una musicale più strutturata con canzoni come “The Message”, che affrontavano tematiche sociali e di denuncia.

Il gangsta rap e la sua evoluzione

Negli anni ’80 e ’90, il rap si diversificò con l’emergere del gangsta rap, particolarmente sulla costa ovest degli Stati Uniti, dove artisti come gli N.W.A. iniziarono a raccontare la dura realtà di vita nei quartieri poveri, rappresentando la violenza e le tensioni sociali. Con brani come “Fuck tha Police”, il gangsta rap divenne un potente strumento di denuncia. La rivalità tra la East Coast e la West Coast, alimentata da diverse etichette discografiche, prese piede e portò a un’escalation di tensioni che sfociarono nelle tragiche morti di alcuni dei suoi esponenti più noti.

Questa evoluzione del rap ha consentito di portare all’attenzione mondiale questioni sociali frequentemente trascurate, contribuendo in modo significativo alla cultura pop e lasciando un’impronta duratura nel panorama musicale e sociale contemporaneo.

Il rap nel contesto attuale

In Italia, il rap ha trovato la sua voce negli anni ’80 e ’90, con artisti pionieri che mescolavano rime impegnate a suoni innovativi, mentre oggi, esponenti come Sfera Ebbasta dettano legge nelle classifiche, segnando traguardi significativi nella musica italiana. Negli ultimi anni, anche il contributo delle artiste femminili ha guadagnato crescente visibilità, riflettendo un panorama musicale in evoluzione dove i temi e le narrazioni sono ridisegnati.

Il rap ha quindi continuato a ramificarsi in sottogeneri, tra cui il gangsta rap e il lo-fi rap, mentre la trap si è affermata come una delle evoluzioni più popolari del genere, caratterizzata da beat elettronici e testi focalizzati su e lusso, segnando la crescita del genere anche a livello internazionale.

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La scoperta è ritenuta importante

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I nematodi, noti anche come vermi cilindrici, presenti nella zona di esclusione (CEZ) di Chernobyl, non mostrano danni genetici significativi rispetto agli esemplari provenienti da ambienti incontaminati. Questa informazione emerge da uno studio condotto Columbia University e recentemente pubblicato sulla rivista PNAS. Le scoperte suggeriscono una di resistenza genetica che non sembra essere influenzata dai livelli di radiazione ambientali. Nonostante l’alta presenza di materiali radioattivi, gli organismi continuano a prosperare in questo ambiente inospitale, favoriti dall’assenza di attività umana, aprendo possibilità per studi sugli effetti delle radiazioni su diverse specie. Comprendere i meccanismi di questa resistenza potrebbe avere implicazioni nello sviluppo di nuovi trattamenti per malattie come il cancro e altre patologie genetiche.

Analisi dei nematodi nella CEZ

Lo studio ha esaminato il DNA di 298 nematodi raccolti in diverse aree della zona di esclusione, sia in contesti ad alta che a bassa radioattività. È emerso che non vi era un aumento significativo di danni nel DNA rispetto agli esemplari prelevati in ambienti non contaminati, tra cui Filippine, Germania, Stati Uniti, Mauritius e Australia. I ricercatori hanno anche testato come le radiazioni influenzassero la resistenza dei nematodi a sostanze chimiche dannose, chiamate mutageni. I risultati rivelano che i nematodi di Chernobyl non presentano una resistenza superiore ai mutageni rispetto agli esemplari di contesti incontaminati.

I risultati rappresentano una sorpresa, poiché l’esposizione alle radiazioni generalmente comporterebbe un elevato tasso di mutazioni nel DNA. Tuttavia, i dati suggeriscono che l’esposizione cronica non ha portato a cambiamenti genetici significativi, indicando una potenziale resistenza genetica che non è direttamente correlata all’esposizione alle radiazioni nel lungo termine. Questa potrebbe aiutare a chiarire le variabili che rendono alcuni individui più suscettibili a determinate forme di cancro e ad altre malattie genetiche.

Contesto della zona di esclusione di Chernobyl

Circa 39 anni fa, il 26 aprile 1986, il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose, liberando una grande quantità di materiale radioattivo, che si concentrò nelle città vicine di Chernobyl e Prypiat. Il giorno successivo, circa 120.000 persone furono evacuate e fu istituita una zona di esclusione con un raggio di circa 30 km attorno alla centrale, dove la vita umana è ancora vietata a causa dei livelli di radioattività elevata.

Da allora, il panorama si è trasformato in terre abbandonate, in cui la natura ha ripreso il controllo, colonizzando strade e palazzi. Gli effetti delle radiazioni influenzano anche la flora e la fauna della zona, che continua a presentare livelli di radioattività variabili, rimanendo comunque elevati in diverse aree.

Le radiazioni ionizzanti a Chernobyl

Le sostanze radioattive rilasciate a seguito dell’incidente, tra cui -131, cesio-137 e stronzio-90, sono isotopi radioattivi che tendono a trasformarsi in forme più stabili attraverso il decadimento, rilasciando sotto forma di radiazioni ionizzanti. Queste radiazioni rappresentano un serio pericolo, essendo in grado di alterare il DNA e indurre mutazioni cellulari. L’alto potere mutagenico delle radiazioni ionizzanti è all’origine delle preoccupazioni legate al disastro di Chernobyl, poiché danneggiano il materiale genetico delle cellule, potenzialmente portando a malattie gravi.

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Cosa sappiamo e come funziona

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Microsoft ha recentemente presentato Majorana 1, il chip quantistico di questo tipo, che rappresenta un passo significativo verso i computer quantistici topologici, posizionando l’azienda di Redmond all’avanguardia nel campo della computazione quantistica. Questo processore, delle dimensioni di un palmo di mano, è il primo al mondo a utilizzare qubit topologici (8 in totale), una nuova tipologia di qubit che affronta uno dei principali ostacoli dei computer quantistici tradizionali: la fragilità e la necessità di complessi sistemi di correzione degli errori. Grazie alle quasi-particelle di Majorana, eccitazioni quantistiche teorizzate dal fisico Ettore Majorana nel 1937, Microsoft ha progettato un’architettura in grado di scalare fino a 1 milione di qubit, un obiettivo attualmente irraggiungibile per i computer basati su qubit convenzionali. Questo sviluppo potrebbe accelerare l’adozione della computazione quantistica con applicazioni in vari settori, tra cui chimica, scienza dei materiali e intelligenza artificiale.

Funzionamento del chip Majorana 1

Per comprendere l’importanza di questa innovazione, è fondamentale rivedere il concetto di qubit e il dei computer quantistici. A differenza dei computer tradizionali, che utilizzano bit binari (0 e 1), i computer quantistici si basano qubit, le unità di informazione in grado di esistere in molteplici stati contemporaneamente grazie alla sovrapposizione quantistica. Questa proprietà consente di eseguire calcoli complessi in parallelo, offrendo una potenza di calcolo che potenzialmente supera quella di qualsiasi supercomputer classico, aprendo a possibilità applicative significative.

Tuttavia, i qubit tradizionali sono notoriamente instabili: per codificare un qubit, è necessario mantenere una serie di condizioni particolari, e anche piccole interferenze ambientali compromettere i calcoli. Pertanto, i computer quantistici attuali richiedono un numero elevato di qubit di supporto per la correzione degli errori. Ad esempio, per ottenere 48 qubit logici, sono stati utilizzati fino a 280 qubit fisici.

Qui entra in gioco Majorana 1. Microsoft ha sviluppato qubit topologici, che presentano una stabilità intrinseca e una minore suscettibilità agli errori. Questi qubit non codificano l’informazione attraverso lo stato di una singola particella, ma attraverso le interazioni tra gli stati di molte particelle che operano sulla superficie di un microscopico superconduttore. Questo design li rende meno vulnerabili alle perturbazioni esterne, poiché l’informazione è distribuita su un intero piuttosto che concentrata su una singola entità. Le quasi-particelle di Majorana emergono in condizioni specifiche e contribuiscono a formare un qubit topologico che beneficia di questo approccio strutturale, eliminando così la necessità di sistemi complessi di correzione degli errori.

Il processore Majorana 1 impiega una struttura chiamata topoconduttore, composta da un nano-filo di materiale semiconduttore (arseniuro di indio) situato vicino a un materiale superconduttore alluminio. In condizioni appropriate, il nano-filo diventa superconduttore, consentendo l’emergere delle quasi-particelle di Majorana necessarie per il qubit topologico.

Possibili applicazioni di Majorana 1

Un computer quantistico con 1 milione di qubit ha il potenziale di trasformare vari settori, inclusi:

  • Chimica e scienza dei materiali: sviluppo di nuovi materiali auto-riparanti per costruzioni e dispositivi elettronici.
  • Sostenibilità ambientale: creazione di catalizzatori per la decomposizione delle microplastiche e alternative ecologiche a materiali inquinanti.
  • Agricoltura e biotecnologie: ottimizzazione degli enzimi per aumentare la fertilità del suolo e la resa delle colture.
  • Intelligenza artificiale: miglioramento degli algoritmi di machine learning tramite simulazioni avanzate che superano le capacità degli attuali supercomputer.

Microsoft ha sottolineato l’importanza di questo sistema, affermando che “tutti i computer operativi nel mondo, messi insieme, non possono compiere ciò che un computer quantistico da un milione di qubit sarà in grado di fare.” Ciò implica che compiti che attualmente richiedono anni di esperimenti e ingenti risorse potrebbero essere svolti in maniera rapida ed efficiente grazie alla potenza del quantum computing.

Dopo 17 anni di ricerca, Microsoft ha presentato un processore che potrebbe rendere la computazione quantistica pratica e scalabile. Questo progetto è stato convalidato da una pubblicazione sulla rivista Nature e ha catturato l’attenzione della DARPA, che lo ha selezionato per la fase finale di un programma chiamato US2QC, volto a sviluppare un computer quantistico resistente agli errori.

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Perché non è possibile e come si è realmente salvato

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Un episodio singolare ha coinvolto Adrián Simancas, un kayaker di 23 anni originario del Venezuela, che è stato brevemente inghiottito da una megattera (Megaptera novaeangliae) a Bahía El Águila, nello Stretto di Magellano, il 8 febbraio 2025. L’incidente, filmato dal padre di Simancas, ha rapidamente fatto il giro del mondo grazie alla del video. È chiarire che, dato il design anatomico delle megattere, risultare completamente inghiottiti da questi cetacei è fisicamente impossibile; infatti, il loro esofago è largo quanto un pugno, troppo stretto per consentire l’ingresso di un essere . Le megattere si nutrono principalmente di krill e non considerano gli esseri umani come parte della loro dieta. Nel 2021, un altro kayakista era finito accidentalmente nella bocca di una balena, venendo rapidamente espulso.

Caratteristiche anatomiche delle megattere

Negli ambienti molto frequentati come lo Stretto di Magellano, gli incontri tra megattere e esseri umani non sono rari. Questi cetacei tendono a mostrare curiosità verso subacquei e naviganti. In particolare, è probabile che la megattera di Simancas non si fosse resa conto della presenza dell’uomo durante la sua alimentazione. Durante la caccia, le megattere ingoiano grandi quantità d’acqua e prede, grazie alla loro mandibola altamente muscolosa, che permette una significativa apertura della bocca. Le prede sono trattenute dai fanoni, una struttura che filtra l’acqua in eccesso. Simancas ha descritto una sensazione viscosa sul viso, probabilmente riferendosi ai fanoni dell’animale.

Altri eventi simili

Nel 2021, Michael Packard, un pescatore di aragoste, ha vissuto un’esperienza analoga con una megattera a Cape Cod, nel Massachusset. In quel caso, l’incidente è stato più traumatico, poiché Packard ha perso il respiratore e si è dislocato un ginocchio, ma è stato rapidamente espulso balena. La sua avventura ha ispirato un documentario intitolato “In the Whale”, uscito nel 2023. Anche nel 1864, un marinaio di nome Peleg Nye è stato documentato nelle cronache di bordo mentre tentava di arpionare un capodoglio (Physeter macrocephalus) e fu temporaneamente inghiottito, ma successivamente liberato gravi conseguenze.

Rappresentazioni letterarie

Il concetto di essere inghiottiti da una balena rimane prevalentemente un evento di natura letteraria, come illustrato dalle storie bibliche e dai racconti di fantasia. Recentemente, nel romanzo “Whalefall” di Daniel Kraus, pubblicato poco prima degli eventi dello Stretto di Magellano, il protagonista è inghiottito da un capodoglio. Sebbene la possibilità di essere parzialmente inghiottiti esista, soprattutto nel contesto di un capodoglio, le condizioni richiederebbero circostanze estremamente improbabili per garantire la sopravvivenza.

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Il latte UHT è trattato ad alte temperature per aumentarne la conservabilità

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Il latte , acronimo di "Ultra High Temperature", è un prodotto sottoposto a un processo di pastorizzazione caratterizzato da alte , solitamente comprese tra i 130 °C e i 160 °C, per un breve periodo di tempo, inferiore ai dieci secondi. Questo trattamento consente di ottenere un latte a lunga conservazione, capace di essere trasportato su distanze notevoli e di mantenersi sugli scaffali refrigerazione per settimane. Esistono due tecniche principali di trattamento: l’UHT indiretto, in cui il latte è riscaldato attraverso scambiatori di calore, e l’UHT diretto (uperizzazione), che prevede l’iniezione di vapore nel latte. L’esposizione a temperature elevate, però, può causare alterazioni delle del latte, portando a problemi sia industriali che qualitativi, come indicato da vari studi. Le ricerche suggeriscono anche strategie mitigative, come l’uso di composti stabilizzanti e un rigoroso controllo delle condizioni termiche.

Significato dell’UHT e processo di pastorizzazione

L’UHT rappresenta una specifica modalità di pastorizzazione mirata alla riduzione della carica microbica e alla promozione di una conservazione prolungata. A livello industriale, le due modalità di trattamento si differenziano per il modo in cui il calore viene trasferito:

  • Metodo UHT Indiretto: il latte viene riscaldato con scambiatori di calore in cui il latte e la fonte di calore scorrono in sezioni separate, consentendo il trasferimento di calore senza contatto diretto con l’alimento.

  • Metodo UHT Diretto (Uperizzazione): il latte è iniettato con vapore acqueo, che trasferisce energia termica. Questo processo provoca un inevitabile trasferimento di molecole d’acqua, potenzialmente diluendo il prodotto finale. Tuttavia, la fase di raffreddamento può avvenire sottovuoto, agevolando l’evaporazione dell’acqua in eccesso.

Una volta raffreddato, il latte UHT viene confezionato in ambienti sterili per prevenire contaminazioni. Spesso si utilizzano cartoni multistrato, come i Tetrapàk®, che proteggono il latte e ne favoriscono la conservabilità; in condizioni adeguate, il latte può mantenere le sue qualità per diversi mesi. Tuttavia, una volta aperto, il latte UHT è esposto all’aria e diventa suscettibile a contaminazioni microbiche, riducendo notevolmente la sua durata.

Modifiche nella struttura delle proteine del latte

Il latte è una fonte complessa di nutrienti, contenente vari tipi di proteine, tra cui le caseine, che costituiscono l’80% delle proteine nel latte bovino. Queste proteine sono essenziali per apportare amminoacidi necessari alla salute. Tuttavia, le alte temperature utilizzate nel processo UHT possono denaturare le proteine, alterandone la struttura tridimensionale e causando la perdita delle loro funzioni biologiche.

Studi indicano che tale denaturazione è accompagnata da aggregazioni tra le proteine, generando strutture insolubili che possono precipitare. Questo fenomeno è paragonabile a un gomitolo di filo che si srotola, con catene di amminoacidi esposte che interagiscono in modi che portano a insolubilità e, potenzialmente, a problemi di sedimentazione nel latte UHT.

Possibili soluzioni

È fondamentale affrontare le criticità associate al trattamento UHT. I ricercatori suggeriscono l’aggiunta di agenti chelanti o che possano limitare l’aggregazione e la precipitazione delle proteine, oltre a raccomandare un attento monitoraggio delle temperature e dei tempi di esposizione. Queste pratiche possono prevenire alterazioni nella consistenza e nel colore del latte, come il fenomeno della reazione di Maillard, che può causare un imbrunimento indesiderato del latte.

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Il funzionamento del robot che replica fedelmente il sistema muscoloscheletrico umano

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Immaginate un robot in grado di muoversi con la fluidità di un essere , replicando con precisione la biomeccanica del nostro corpo. Questo è l’obiettivo di , un nuovo androide sviluppato dalla startup californiana Clone Robotics, che ha suscitato notevole interesse nel campo della robotica avanzata. Protoclone si distingue per l’uso di un sistema muscolare artificiale, noto come Myofiber, che imita il funzionamento dei muscoli umani. La struttura scheletrica del robot è progettata per essere quasi identica a quella umana, includendo oltre 200 ossa sintetiche, un sistema nervoso artificiale e una varietà di sensori tattili e inerziali che gli permettono di apprendere osservando i movimenti umani. Tale innovazione offre un movimento sorprendentemente naturale, generando entusiasmo per le sue potenziali applicazioni in automazione e assistenza domestica, ma anche una certa per la sua somiglianza con gli esseri umani.

Production and Technology

Clone Robotics ha annunciato che, entro il 2025, realizzerà una prima serie limitata di 279 unità, denominate Clone Alpha, con l’intento di integrare i robot umanoidi nella . Tuttavia, la tecnologia che rende Protoclone così realistico solleva interrogativi legati alla psicologia umana, in particolare riguardo all’effetto uncanny valley, che può generare disagio negli osservatori di repliche troppo fedeli degli esseri umani.

Il Protoclone utilizza un sofisticato sistema scheletrico e muscolare artificiale che replica la biomeccanica umana. Il suo scheletro è realizzato in materiali polimerici avanzati e riproduce una struttura ossea simile a quella umana. Il sistema Myofiber, al cuore dell’innovazione, simula i muscoli umani tramite fibre muscolari artificiali, consentendo movimenti fluidi e precisi. Ogni muscolo è composto da un tubo flessibile progettato per contrarsi in risposta a fluido idraulico pressurizzato.

Mobilità e Sensori

Oltre a oltre 1.000 fibre muscolari artificiali, Protoclone offre una gamma di oltre 200 gradi di libertà nei movimenti. Il suo sistema Myofiber è alimentato da una pompa elettrica da 500 watt, che garantisce movimenti rapidi e potenti. Protoclone è anche dotato di un avanzato sistema sensoriale, con 4 telecamere di profondità per la percezione tridimensionale dell’ambiente circostante, 70 sensori inerziali per monitorare in reale la posizione del corpo e 320 sensori di pressione nei muscoli artificiali per fornire un feedback preciso sulle forze esercitate.

Questa combinazione di tecnologie permette al Protoclone di apprendere per imitazione, osservando e riproducendo comportamenti umani con notevole precisione.

Obiettivi Futuri

Clone Robotics ha l’ambizione di sviluppare robot domestici capaci di assistere gli esseri umani in attività quotidiane come lavare i piatti o cucinare. Tale sviluppo si colloca in un contesto di mercato in espansione, con diverse aziende, tra cui Tesla e Figure AI, impegnate nello sviluppo di robot umanoidi con funzionalità avanzate.

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Guida su come rimuovere il codice PIN dall’iPhone

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Utilizzare un iPhone implica l’adozione di diverse misure di sicurezza per proteggere i dati personali degli utenti. Tra queste, il codice di sblocco e il della SIM. Mentre il codice di sblocco impedisce accessi non autorizzati al dispositivo, il PIN della SIM protegge l’utilizzo della scheda telefonica, evitando usi impropri. Alcuni utenti trovano questi sistemi di sicurezza poco pratici e desiderano sapere come rimuoverli.

Come togliere il codice di sblocco dall’iPhone

Il codice di sblocco è una sequenza numerica che consente di proteggere l’accesso al dispositivo. Negli iPhone di ultima generazione, è spesso affiancato da sistemi di autenticazione biometrica come Face ID e Touch ID. Per il codice di sblocco, è necessario seguire questi passaggi:

  • Aprite l’app Impostazioni e selezionate l’opzione Face ID e codice (su iPhone X e successivi) o Touch ID e codice (su modelli precedenti). Nei dispositivi sensore biometrico, troverete l’opzione Codice.
  • Inserite il codice attuale per confermare la vostra identità.
  • Selezionate l’opzione Disattiva il codice.
  • Confermate la vostra identità tramite Face ID, Touch ID o codice di sblocco.
  • Toccate la voce Disattiva nel riquadro che appare sullo schermo.

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Togliere il codice di sblocco comporta alcune conseguenze significative. Tra queste, le applicazioni che richiedono Face ID o Touch ID non richiederanno più autenticazione biometrica, e le vostre carte Apple Pay verranno rimosse dal dispositivo. Inoltre, Apple Watch non si sbloccherà automaticamente e non sarà possibile utilizzare un codice di sblocco per reimpostare la password dell’account Apple.

Come togliere il PIN della SIM dall’iPhone

Il PIN della SIM è un codice numerico concepito per proteggere l’uso della scheda telefonica. Se attivato, il PIN viene richiesto ogni volta che si riavvia il dispositivo o quando si rimuove e reinserisce la SIM o la e-SIM. In caso di attivazione, nella barra di stato comparirà la notifica “SIM bloccata”. Per rimuovere il PIN della SIM, seguire i passaggi sottostanti:

  • Aprite l’app Impostazioni e selezionate la voce Cellulare. Se il dispositivo ha una sola SIM o eSIM, troverete direttamente l’opzione PIN SIM. Qualora si tratti di un modello Dual SIM, sarà necessario selezionare prima il numero che si desidera modificare.
  • Spostate su OFF l’interruttore davanti alla voce PIN SIM.
  • Inserite il PIN attuale per confermare la modifica.
  • Toccate la dicitura Fine per completare l’operazione.

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Qualora non abbiate mai cambiato il PIN, il codice predefinito è quello fornito dal vostro operatore telefonico. È possibile reperirlo attraverso la documentazione ricevuta al momento dell’acquisto della SIM o sul sito del proprio operatore. È sconsigliato tentare di indovinare il PIN, poiché troppi tentativi errati bloccare la scheda, rendendo necessario un codice PUK per sbloccarla.

Disattivare il PIN della SIM può risultare comodo per evitare richieste di codice dopo ogni riavvio del dispositivo; tuttavia, questa riduce la protezione della scheda telefonica, che risulta accessibile a chiunque abbia accesso diretto all’iPhone.

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