Idrolisi enzimatica, applicazioni

L’idrolisi enzimatica consiste nella scomposizione di un composto in presenza di enzimi in seguito alla sua reazione con l’acqua. È un processo che ha una vasta possibilità di applicazioni ed è utilizzato, ad esempio, nelle industrie alimentari dove avviene nei bioreattori enzimatici a membrana a flusso continuo.

L’idrolisi enzimatica avviene anche in natura nel corpo umano grazie all’azione di particolari enzimi e consente la digestione degli alimenti. Ad esempio l’amilasi prodotta dal pancreas catalizza l’idrolisi specifica dei legami α-1,4-glucosidici, presenti nell’amido e nel glicogeno.

Gli enzimi proteolitici del pancreas ovvero tripsina, chimotripsina ed elastasi sono responsabili della maggior parte dell’idrolisi proteica, che attaccano i legami peptidici lungo la catena polipeptidica, producendo peptidi più piccoli mentre la lipasi, prodotta dal pancreas è responsabile del metabolismo dei trigliceridi.

Il crescente interesse mondiale per le fonti energetiche alternative ha attratto l’interesse dei ricercatori a concentrarsi su materiali, possibilmente di scarto derivanti da biomassa, per ottenere, tramite idrolisi enzimatica, la produzione di fonti energetiche alternative al petrolio. Inoltre sono in fase avanzata processi per la degradazione di alcuni tipi di plastica.

Idrolisi enzimatica del PET

Nel mondo l’inquinamento dovuto alla plastica è riconosciuto come una delle minacce più gravi per l’ambiente. Tra le materie plastiche, il polietilentereftalato è uno dei polimeri più diffusi in quanto con esso sono fatte le bottiglie di plastica. Finora sono stati utilizzati trattamenti meccanici, termici e chimici ma questi metodi sono generalmente costosi o generano inquinanti secondari.

un mare di plastica
PET

Il riciclaggio utilizza meno energia e meno risorse e porta anche alla riduzione dell’impronta di carbonio rispetto alla produzione di prodotti in PET a base petrolchimica ma, l’eterogeneità dei rifiuti insieme alla presenza di contaminanti ne ostacola la lavorazione. Inoltre, i prodotti formati da rifiuti di PET riciclati meccanicamente sono di scarsa qualità a causa dello stress meccanico e della fotossidazione causati dal calore di fusione.

L’idrolisi enzimatica del PET i cui legami esterei hanno una bassa accessibilità e quindi diventano difficili per la depolimerizzazione costituisce quindi un enorme passo in avanti. Sebbene vari enzimi degradino il PET in modo naturale, l’entità della degradazione risulta essere piuttosto bassa pertanto gli studi si sono indirizzati verso la ricerca di nuovi e più efficaci enzimi.

I ricercatori dell’Università del Texas ad Austin hanno generato mutazioni in un enzima naturale chiamato PETasi presente nel batterio Ideonella sakaiensis, che ha dimostrato di degradare questo tipo di plastica.

Idrolisi enzimatica nelle industrie alimentari

Nel campo dell’industria alimentare gli enzimi sono largamente utilizzati in numerose applicazioni. Ad esempio le alfa-amilasi sono utilizzate per la loro proprietà di idrolizzare i legami α-1,4 glicosidici dei polisaccaridi e usate per convertire l’amido in sciroppi di glucosio e fruttosio.

L’enzima β-galattosidasi ottenuta da numerosi sistemi biologici tra cui piante, animali e microrganismi catalizza l’idrolisi di soluzioni di siero di latte contenenti il lattosio. L’inulina, fibra alimentare solubile naturalmente contenuta in diversi tipi di frutta e verdura, grazie all’azione dell’enzima inulinasi ottenuto dall’Aspergillus niger dà luogo alla formazione di fruttosio.

Chitosano
Chitosano

Le cellulasi sono enzimi che agiscono sulla cellulosa polimerica e idrolizzano i legami β-1,4 per liberare unità di glucosio. Altri esempi di idrolisi enzimatica includono l’idrolisi delle proteine ​​del latte dei mammiferi per la produzione di peptidi, l’idrolisi del lattosio per la delattosazione del latte, dell’oleuropeina, principale polifenolo presente nelle foglie e nei frutti dell’olivo per la produzione di glucosio.

Altri esempi sono l’idrolisi del chitosano prodotto alcalino deacetilato della chitina, derivato dall’esoscheletro di crostacei, insetti e pareti cellulari fungine per la produzione di chito-oligosaccaridi e della pectina per la produzione di acido d-galatturonico

Conversione dei rifiuti cellulosici

biomassa
biomassa

Grazie al processo di saccarificazione della biomassa proveniente da scarti agricoli o rifiuti solidi urbani si possono ottenere zuccheri fermentabili da cui si può ottenere bioetanolo. La produzione di bioetanolo, che è tra i biocarburanti il più prodotto al mondo, utilizzando biomassa cellulosica, offre emissioni di gas serra quasi nulle oltre a non intaccare le riserve di petrolio.

Sebbene il bioetanolo di prima generazione era prodotto utilizzando grano, mais o canna da zucchero, per evitare di utilizzare fonti alimentari, quello di seconda generazione utilizza materiali lignocellulosici come, ad esempio, residui forestali o agricoli.

Il primo passo del percorso di conversione tramite saccarificazione prevede la conversione biochimica del materiale lignocellulosico nei loro costituenti monomerici attraverso una fase di idrolisi enzimatica, con formazione di zucchero fermentabile.

Recenti preparazioni commerciali di cellulasi hanno dimostrato di essere efficaci nell’idrolizzare la cellulosa sebbene il loro alto costo rimane ancora un ostacolo significativo alla produzione economica di etanolo dalla biomassa lignocellulosica.

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