L’effetto della coppia inerte: influenza sulla stabilità dei numeri di ossidazione
L’effetto della coppia inerte, caratteristico degli elementi più pesanti dei gruppi 13, 14, 15 e 16 della tavola periodica, è stato coniato per la prima volta nel 1927 dal chimico britannico Nevil Sidgwick. Questo fenomeno descrive come gli elettroni più lontani dal nucleo siano fortemente legati ad esso, riducendo la loro tendenza a ionizzarsi o a formare legami covalenti.
Una delle conseguenze principali di questa caratteristica è la maggiore stabilità dei numeri di ossidazione, che sono due unità inferiori rispetto al massimo numero di ossidazione possibile per gli elementi di questi gruppi.
Gli elettroni di valenza ns^2, in particolare gli elettroni 5s^2 e 6s^2 degli elementi metallici, sono meno reattivi e risultano difficili da ionizzare. Ad esempio, indio, tallio, piombo, stagno, antimonio, e, a volte, tellurio e polonio hanno un numero di ossidazione più stabile inferiore di due unità rispetto agli altri elementi del gruppo.
Di conseguenza, nonostante il numero di ossidazione più comune per gli elementi del Gruppo 13 sia +3, il tallio, l’elemento più pesante del gruppo, ha come numero di ossidazione più comune +1. Questo comportamento è spiegato non solo dalla carica nucleare effettiva, ma anche dalle proprietà periodiche come il raggio atomico e l’energia di ionizzazione.
Per esempio, il comportamento degli elementi del Gruppo 13 è evidenziato nella tabella che riporta la configurazione elettronica e le energie di ionizzazione. Si nota che l’energia di prima ionizzazione e la somma delle prime tre energie di ionizzazione decrescono per boro e alluminio, ma aumentano per gli elementi successivi. Questo indica che gli elettroni del gallio, indio e tallio non sono ben schermati dagli orbitali d e f, risultando più difficili da ionizzare a causa di una maggiore carica nucleare.