Nanoparticelle d’oro

Le nanoparticelle d’oro trovano ampia applicazione in campo medico e assumono varie forme ovvero sfere, bastoncini, cubi, e calotte

L’oro è il metallo che più di ogni altro è stato considerato il più prezioso e sin dagli albori della civiltà ha affascinato gli uomini costituendo il simbolo della ricchezza.

Le caratteristiche dell’oro che non si corrode né si scurisce e che non tende ad interagire con altri elementi indussero le antiche popolazioni a ritenerlo come una panacea per la cura delle malattie. Sembra che già nel 2500 a.C. i Cinesi lo adoperassero per il trattamento delle malattie. Ad esempi curavano patologie delle articolazioni, perdita di coscienza, febbre, svenimenti, vaiolo, ulcere della pelle, morbillo e convulsioni.

Gli antichi Egizi 5000 anni fa lo usavano in campo odontoiatrico e ritenevano che, una volta ingerito, stimolasse il corpo e la mente.

Solo secoli più tardi fu il medico e alchimista tedesco Paracelso, che costituisce una delle figure più rappresentative del Rinascimento, a preparare una soluzione di oro colloidale che riteneva potesse curare i disturbi fisici, mentali e spirituali.

Oro colloidale

Fu solo nel 1850 che, grazie al lavoro di Michael Faraday, si iniziarono ad avere le prime conoscenze scientifiche dell’oro colloidale.

L’oro colloidale è costituito da una sospensione stabile in cui sono presenti particelle d’oro di dimensioni inferiori al micron.

Le nanoparticelle, date le loro dimensioni vicine alle dimensioni atomiche, mostrano proprietà fisiche diverse dal metallo di cui sono costituite.

Per ottenere le nanoparticelle si parte da una soluzione di acido cloroaurico HAuCl4 in cui l’oro ha numero di ossidazione +3. A questa soluzione, sotto agitazione, è aggiunto un riducente e l’oro (III) è ridotto a oro metallico.

Mano a mano che si formano gli atomi d’oro la soluzione diventa sovrasatura e l’oro inizia a precipitare sotto forma di particelle di dimensioni submicrometriche.

Per evitare che le particelle possano formare aggregati è aggiunto un agente stabilizzante che aderisce alla superficie delle particelle.

Il primo metodo per ottenere nanoparticelle d’oro (Au-NPs) che rimane quello più semplice ed è adatto ad ottenere particelle sferiche delle dimensioni di 10-20 nm si deve a J. Turkevich che lo mise a punto nel 1951.

Reazione

Dopo l’attacco dell’oro metallico da parte dell’acqua regia e formazione dell’acido cloroaurico la soluzione viene riscaldata fino all’ebollizione e successivamente vengono aggiunti 10 mL di una soluzione di citrato all’1% mantenendo sotto agitazione per far rimanere la soluzione omogenea.

Il citrato agisce inizialmente da riducente e, una volta che si sono formate le nanoparticelle viene adsorbito da esse formando uno stato carico negativamente che ne impedisce l’aggregazione.

Al posto del citrato, quale agente riducente, si può usare acido ascorbico o boroidruro.

Quale stabilizzante possono essere usati ammine, tioli, fosfine, polimeri o carbossilati.

Dopo circa un minuto e per i successivi 2-3 minuti si osserva una colorazione grigio tenue. Successivamente il colore assume prima quello vino e successivamente diventa rosso.

La reazione può essere così schematizzata tenendo conto che lo ione citrato è C6H5O73-:

2 AuCl4+ C6H5O73- + 2 H2O → 2 Au + 3 CH2O + 3 CO2 + 8 Cl + 3 H+

Altri metodi

Un altro metodo per l’ottenimento di nanoparticelle risale al 1990 ed è dovuto a Brust in cui si ottengono le nanoparticelle in solventi organici non miscibili con l’acqua come, ad esempio, il toluene.

Il metodo Brust prevede l’utilizzo di due riducenti ovvero un legante tiolico che ha anche la funzione di formare il monostrato organico e il sodio boroidruro che esercita anche la funzione di anticoagulante per un processo di riduzione di Au(III) prima a Au(I) e successivamente a oro metallico

Il processo avviene in due fasi. Una fase acquosa in cui è solubile l’acido cloroaurico e una fase organica in cui sono solubili i leganti tiolici.

Per trasferire HAuCl4 dalla fase acquosa alla fase organica è necessario un trasferitore di fase che nella fattispecie è il tetraottilammonio bromuro (TOABr) che presenta un gruppo idrofobo e un gruppo idrofilo.

I leganti tiolici si legano ad Au(III)  riducendolo ad Au(I) e instaurando legami S-Au(I). L’aggiunta del secondo riducente NaBH4, serve a ridurre l’oro da  Au(I) a Au(0), formando il nucleo metallico già ricoperto da tiolo.

Potenzialità

Le nanoparticelle d’oro hanno enormi potenzialità e su di esse si concentrano ancora ricerche. Possono essere usate tra l’altro come catalizzatori, come substrato su cui sono depositati sostanze da analizzare tramite la spettroscopia Raman.  Gli studi maggiori avvengono in campo medico per la cura di patologie quali l’artrite reumatoide e il morbo di Alzheimer.

Le nanoparticelle d’oro possono assorbire la luce nel vicino infrarosso (900-1200 nm) regione in cui tessuti biologici mostrano un’elevata trasmissione della radiazione elettromagnetica. Esse pertanto possono essere impiegate nella lotta al cancro.

Se opportunamente funzionalizzate per riconoscere recettori presenti solo nei tessuti patologici, possono accumularsi nei tessuti malati.  Tramite la fototerapia possono assorbire energia luminosa convertendola in energia termica distruggendo così le cellule malate.

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