Vi immaginate edifici che sembrano blob alieni sputati da un videogioco anni ’90, tutti curve sexy e senza un angolo spigoloso? Ecco l’architettura blob, quella roba stramba che ha rivoluzionato il design facendolo sembrare uscito da un trip psichedelico, ma con costi che farebbero piangere un banchiere! Dalla rivoluzione digitale ai mostri urbani come la Kunsthaus di Graz, preparatevi a un tour di follie architettoniche che sfidano la gravità – e il buon senso economico. #BlobArchitecture #ArchitetturaAliena #DesignPazzo
Questi edifici blob, o blobitecture, sono come amebe giganti che hanno invaso le città: forme ondulate, senza spigoli e totalmente asimmetriche, impossibili da disegnare a mano prima dei computer. Erano un sogno folle negli anni ’90, quando il digitale ha permesso a geni come Greg Lynn di trasformare idee astratte in realtà concreta, ma ahimè, i soldi e le costruzioni reali spesso si arenavano in un mare di complicazioni. Tra le icone che ce l’hanno fatta, spuntano la Kunsthaus di Graz di Peter Cook e Colin Fournier, il Selfridges Building di Birmingham dai Future Systems, e i bloboidali di Norman Foster – ognuno un colpo di genio che urla: "Ehi, guardami, sono un capolavoro costoso!"
La blobitecture è nata intorno alla metà degli anni ’90 grazie all’architetto americano Greg Lynn, pioniere del Computer Aided Design (CAD) e autore del saggio illuminante "Blobs, or Why Tectonics is Square and Topology is Groovy" pubblicato dalla rivista ANY. Non è una novità totale, deriva dall’acronimo informatico "Binary Large Object", usato per roba digitale pesante come sfere che si uniscono in forme epiche. Nel software Alias-Wavefront, c’era un modulo per queste " metaball ", e Lynn ha capito che i computer non erano solo attrezzi, ma alleati creativi per architetture organiche che sfidano le regole – peccato che i costi stellari abbiano lasciato molti progetti solo sulla carta, mentre noi comuni mortali ci accontentiamo di case squadrate!
Tra i blob più famosi d’Europa, la Kunsthaus di Graz in Austria è il re: progettata da Peter Cook e Colin Fournier, questa "friendly alien" blob è un museo d’arte con una pelle di plexiglas blu e lampade fluorescenti che si accendono di notte come un rave alieno. Inaugurata nel 2003, quando Graz era la capitale europea della cultura, è un trip visivo con lucernari che giocano con la luce – un edificio che sembra urlare: "Guarda quanto sono innovativo, anche se ti costa un occhio!"
Poi c’è il Selfridges Building a Birmingham, Regno Unito, un blob curvo completato nel 2003 dallo studio Future Systems di Jan Kaplický e Amanda Levete. Con la sua facciata di 15.000 dischi di alluminio ispirati a un abito metallico di Paco Rabanne, è come un guscio scultoreo che fa impallidire le facciate tradizionali – realizzato con acciaio e cemento per superfici morbidissime, è diventato l’edificio più fotografato del UK, trasformando Birmingham in un set da Instagram, anche se chissà quante polemiche per i prezzi esorbitanti!
Norman Foster, il maestro delle mega-opere, non si è fatto mancare i blob nei primi anni Duemila: pensate alla "The Berlin Brain" del 2006, una forma ellissoidale con una doppia pelle trasparente e metallica che diffonde luce come un cervello fluorescente; o il The Glasshouse International Centre for Music (ex Sage Gateshead) del 2004, una conchiglia UK che sembra pronta a cantare; e infine il Chesa Futura del 2003 in Svizzera, tutto in legno bloboidale. Questi giganti architettonici sono prove che la tecnologia può essere selvaggia, ma attenzione, potrebbero farvi discutere sul vero significato di "bello" – o magari solo riderne!