Scoperta nel 1936, la pila di Bagdad è un vaso antico che potrebbe rappresentare una forma di tecnologia elettrochimica. Un mistero che continua a stimolare gli studiosi, tra teorie e esperimenti ancora privi di certezze definitive.
Nel 1936, un vaso di ceramica rinvenuto nei pressi di Bagdad ha acceso un dibattito che dura da decenni: potrebbe essere una batteria antica? Alcuni scienziati sostengono questa teoria, benché molti la considerino controversa. Conosciuta come “Batteria di Bagdad”, questa ceramica risalente al III secolo a.C. è stata rinvenuta in un villaggio vicino a Ctésiphon, l’antica capitale dell’impero partico e persiano sotto i Sassanidi. La composizione del vaso, unita a un tubo di rame e una barra di ferro al centro, ricorda una sorta di dispositivo elettrochimico. Il ritrovamento ha portato a numerose ipotesi: secondo alcuni, potrebbe essere stato un dispositivo religioso o addirittura uno strumento medico antico; altri, invece, credono possa trattarsi di una vera pila galvani.
Un’ipotesi affascinante: la teoria della pila galvanica
La teoria fu proposta nel 1938 da Wilhelm König, direttore del Museo Nazionale dell’Iraq, secondo cui i materiali della pila avrebbero potuto generare una reazione galvanica aggiungendo un acido. Tale spiegazione, sebbene interessante, ha suscitato opinioni contrastanti. Altri studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la batteria fosse utilizzata per rituali religiosi in cui si ricercava un effetto elettrico, magari per stupire i fedeli durante il culto.
Numerosi esperimenti sono stati condotti per testare questa teoria. Negli anni ’70, il professor Arne Eggebrecht tentò di utilizzare una replica della pila per dorare una piccola statua, confermando che era possibile ottenere una leggera corrente elettrica. Sebbene queste prove abbiano offerto spunti interessanti, la comunità scientifica rimane scettica e, fino ad oggi, non esiste ancora una certezza sulla funzione della misteriosa pila di Bagdad.
Fonte: Unmuseum.mus.pa.us