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Attacco DDoS: obiettivi e difese per le aziende

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Un DDoS (Distributed Denial of Service) è un tipo di attacco informatico progettato per interrompere il funzionamento di un sito o di un server. Questo obiettivo viene raggiunto sovraccaricando il sistema con un flusso eccessivo di traffico, di solito proveniente da diverse fonti. Gli attacchi DDoS mirano a esaurire le risorse del server o della rete, causando rallentamenti o rendendo il servizio totalmente inaccessibile. La frequenza di questi attacchi è in crescita, colpendo vari settori, dai giochi all’e-commerce, inclusi i servizi online vitali come quelli bancari e sanitari. La situazione ha reso necessaria l’adozione di strategie preventive da parte delle aziende e delle Pubbliche Amministrazioni che gestiscono siti web di rilevanza.

Modalità di attacco e obiettivi

Un attacco DDoS ha come la rendere inaccessibile un sito web, un server o una rete. Questo attacco si basa su una botnet, una rete di dispositivi compromessi e controllati a distanza da attaccanti che sfruttano il traffico generato per sovraccaricare il bersaglio. I dispositivi infetti inviano richieste al sito o al server, bloccando così il traffico legittimo degli utenti. I tipi principali di attacchi DDoS includono:

  • Attacchi DDoS volumetrici: Generano un’enorme quantità di traffico apparentemente legittimo. Una tecnica comune è l’amplificazione DNS, che utilizza server DNS aperti per inviare risposte massive al bersaglio.

  • Attacchi DDoS al protocollo: Sfruttano le debolezze nei protocolli di rete, come il TCP, esaurendo le risorse del server. Un esempio è l’attacco SYN, che utilizza tutte le risorse server disponibili.

  • Attacchi DDoS a livello di risorsa: Si concentrano su applicazioni specifiche, tramite tecniche come l’injection SQL e il scripting intersito, colpendo le comunicazioni tra host e server.

In fase di attacco, i criminali informatici possono adottare strategie diverse, combinando vari tipi di attacco in base agli obiettivi prefissati.

Durata dell’attacco

La durata di un attacco DDoS può variare notevolmente, da alcune ore a diversi giorni. Microsoft osserva che "un attacco DDoS può durare da un paio d’ore a un paio di giorni. Un attacco potrebbe durare quattro ore, mentre un altro potrebbe durare una settimana (o di più)". Gli attacchi possono manifestarsi anche più volte nel e comprendere diverse tipologie di cyberattacchi.

Riconoscere e contrastare un attacco DDoS

Identificare tempestivamente un attacco DDoS è cruciale, anche se non sempre semplice. Alcuni segnali di allerta possono includere un improvviso aumento del traffico web, rallentamenti della rete o l’inaccessibilità del sito. La tempestività nella rilevazione di queste anomalie può facilitare una risposta efficace.

Per prevenire o mitigare un attacco DDoS, è fondamentale identificare le vulnerabilità del sistema e aggiornare regolarmente le . È utile implementare una combinazione di tecnologie di protezione, fra cui il monitoraggio della rete e soluzioni basate sul cloud. Creare una rete resiliente e scalabile può aiutare a far fronte agli attacchi più complessi. È consigliata la collaborazione con esperti di sicurezza informatica, nonostante i costi associati.

In caso di attacco, è necessario disporre di un team di sicurezza attivo, capace di reagire rapidamente e di applicare procedure predefinite per isolare l’attacco e proteggere i dati. La protezione deve includere tutta la struttura aziendale, promuovendo la consapevolezza dei segnali d’allerta tra il personale. Inoltre, è fondamentale effettuare test periodici sulla sicurezza e simulazioni d’emergenza per garantire prontezza in situazioni di crisi.

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Le verità matematiche spiegate

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Il 3 e il 7 sono numeri primi, definiti come numeri interi positivi divisibili solo per e per se stessi. Combinando questi due numeri otteniamo il 37, anch’esso primo. Invertendo le cifre, otteniamo 73, che è pure un numero primo. Se aggiungiamo un 7 all’inizio, formiamo 773, che rimane primo. Anche 337 è un numero primo. Tuttavia, il numero 3337, anch’esso composto dalle cifre 3 e 7, risulta divisibile per 47 e 71, il che dimostra che non tutti i numeri derivati da combinazioni di 3 e 7 sono necessariamente primi.

Un’evidenza numerica non indica una matematica, ma una congettura

I numeri primabili elencati – 3, 7, 37, 73, 773 e 337 – possono farci supporre che ogni numero formato dalle stesse cifre sia primo. Tuttavia, il caso di 3337 dimostra il contrario: tale numero è composto da fattori che non ne attestano la primalità. Questo esempio evidenzia l’importanza della dimostrazione matematica. In matematica, un’affermazione può essere considerata vera solo se dimostrabile e coerente con i principi matematici già accettati.

dimostrazione matematica

Un fatto che appare vero senza una prova rimane una mera ipotesi, la cui validità deve essere accertata.

I irrisolti della storia della matematica

La matematica è costellata da “problemi aperti”, ovvero congetture che, sebbene intuitive, rimangono irrisolte. Alcuni problemi, come l’ultimo teorema di Fermat, formulato nel 1637, sono stati risolti solo secoli dopo, nel 1995. Altro esempio è il problema dei quattro colori, risolto nel 1976. Nel corso del tempo, matematici di tutto il si concentrano su questi problemi, alcuni dei quali resistono da secoli.

La congettura di Goldbach, formulata nel 1742, afferma che ogni numero intero pari può essere espresso come la somma di due numeri primi. Alcuni esempi supportano congettura:
– 4 è uguale a 1+3
– 6 è uguale a 1+5
– 20 è uguale a 3 + 17
– 340 è uguale a 3 + 337

Tuttavia, non esiste ancora una dimostrazione formale che confermi che ogni numero pari può essere rappresentato come somma di due numeri primi per qualsiasi valore di m.

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La possibilità di crioconservare il corpo prima di morire viene offerta da questa start-up tedesca per un futuro scongelamento

Una start-up tedesca punta a rivoluzionare la criogenia offrendo la di criopreservare corpi e animali domestici con l’aspettativa di riportarli in vita quando la tecnologia futura renderà curabili malattie oggi letali.

◎(株)ナムコ

La criogenia è al centro di un ambizioso progetto che punta a sfidare i limiti della scienza e della vita stessa. A tal proposito, una start-up tedesca offre la possibilità di congelare il delle persone poco prima della loro morte con la speranza di “risvegliarle” in un futuro in cui la medicina abbia fatto progressi tali da curare malattie oggi letali.

Questo innovativo servizio è disponibile a un costo di circa 200.000 dollari, e il laboratorio europeo ha già criopreservato 7 persone e 4 animali domestici. Tuttavia, il futuro di tecnologia sembra promettente, considerando che ci sono già 700 persone iscritte alla lista d’attesa da ogni parte del mondo.

Secondo Tomorrow.Bio, il processo di criopreservazione è progettato per mantenere il corpo in condizioni tali da poter essere rianimato una volta che la tecnologia sarà in grado di curare le malattie letali e invertire i danni causati dal processo stesso. Tuttavia, attualmente non ci sono prove concrete che dimostrino che sia possibile riportare in vita un corpo criogenicamente conservato. Restano inoltre dubbi sui danni cerebrali che potrebbero verificarsi durante la conservazione o il risveglio.

Collaborazioni e sicurezza del progetto

Per garantire la sicurezza e la sostenibilità del progetto, l’azienda collabora con la European Biostasis Foundation (EBF), un’organizzazione non profit con sede in Svizzera. Questa partnership offre una garanzia a lungo termine: anche in caso di fallimento dell’azienda, i pazienti criopreservati rimarranno al sicuro fino a quando la tecnologia futura permetterà una possibile rianimazione.

Procedure di criopreservazione

Il processo inizia subito dopo il decesso cerebrale del paziente, preferibilmente con la presenza dell’equipe medica per intervenire tempestivamente. Il metodo prevede diverse fasi:

  • Raffreddamento rapido del corpo, per minimizzare i danni ai tessuti.
  • Supporto cardiopolmonare tramite macchinari specializzati.
  • Somministrazione di farmaci neuroprotettori e anticoagulanti.
  • Sostituzione del sangue con una sostanza crioprotettiva, necessaria per evitare danni durante il periodo di conservazione.

Il corpo viene successivamente trasportato in un laboratorio svizzero, dove viene inserito in una capsula con azoto liquido e conservato in una camera a temperature estremamente basse, fino a -196°C.

Espansione internazionale

La sta ampliando i suoi servizi non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, con l’apertura di sedi operative a New York, Florida e California. Inoltre, entro il 2025, l’azienda mira a rendere la criopreservazione più accessibile e sicura, grazie a continui investimenti in ricerca e sviluppo.

Un altro elemento distintivo è la possibilità di congelare non solo gli esseri umani ma anche gli animali domestici, offrendo un’alternativa per desidera preservare i propri cari a quattro zampe per un futuro incerto.

Nonostante i progressi e l’ambizione di progetti simili, la criogenia resta avvolta nell’incertezza. La domanda cruciale rimane aperta: sarà mai possibile riportare in vita un corpo criogenicamente conservato?

Fonte: Tomorrow.bio

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Il microscopio più veloce al mondo cattura elettroni in un attosecondo, nuova rivoluzione della fisica quantistica

Il microscopio elettronico più veloce al mondo, creato dall’Università dell’Arizona, rivoluziona la osservando in tempo reale su scala attosecondo.

©University of Arizona

Un team di ricercatori dell’Università dell’Arizona ha sviluppato il microscopio elettronico più veloce mai realizzato, capace di catturare eventi della durata di un attosecondo, ovvero un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Grazie a innovazione, denominata “attomicroscopia“, sarà possibile osservare in tempo reale dinamiche elettroniche finora impossibili da studiare, aprendo nuove prospettive nella fisica quantistica, nella chimica, nella biologia e nelle scienze dei materiali.

Come funziona l’attomicroscopia e perché è rivoluzionaria

La tecnologia rappresenta un avanzamento significativo nella microscopia elettronica, un traguardo raggiunto sotto la guida del professor Mohammed Hassan. L’approccio si basa sugli studi dei premi Nobel Pierre Agostini, Ferenc Krausz e Anne L’Huillier, pionieri nella generazione di impulsi ultravioletti su scala attosecondo.

Gli scienziati dell’Università dell’Arizona hanno utilizzato un laser ad alta potenza che si divide in due fasci, creando impulsi elettronici “grigliati”. Questa configurazione permette di ottenere immagini dettagliate di materiali come il grafene, mostrando dinamiche elettroniche con una precisione senza precedenti.

A differenza dei microscopi tradizionali, che utilizzano tecniche di imaging più lente, l’attomicroscopia consente di osservare cambiamenti a livello atomico in tempi incredibilmente brevi. Secondo il professor Hassan, il team è riuscito per la prima volta a utilizzare un microscopio elettronico a trasmissione per raggiungere una risoluzione temporale su scala attosecondo, rendendo visibili dettagli dei movimenti elettronici che avvengono in frazioni di tempo finora inaccessibili.

Le implicazioni della scoperta

La possibilità di catturare i movimenti degli elettroni potrebbe rivoluzionare numerosi campi scientifici. Gli studiosi ritengono che osservare il comportamento degli elettroni durante la formazione e la rottura dei legami chimici fornirà informazioni essenziali per sviluppare nuovi farmaci, ottimizzare l’immagazzinamento di energia e progettare materiali innovativi.

Mohammed Hassan ha spiegato che il microscopio elettronico agisce come una fotocamera estremamente sofisticata, simile a quelle presenti negli smartphone di ultima generazione, ma con una potenza incomparabile. Con questo strumento, diventa possibile catturare immagini di elementi invisibili fino ad ora, come gli elettroni, offrendo così nuove opportunità per comprendere la fisica quantistica e il movimento degli elettroni.

Le potenzialità di questa tecnologia includono applicazioni nella bioingegneria, con la possibilità di analizzare interazioni molecolari fondamentali, e nella scienza dei materiali, dove potrebbe rivelare proprietà atomiche di materiali innovativi. Nonostante la complessità di questi fenomeni, gli scienziati sono convinti che l’attomicroscopia rappresenti un passo cruciale verso una comprensione più approfondita di queste interazioni.

Un riconoscimento da Guinness World Records

Il microscopio elettronico dell’Università dell’Arizona è stato riconosciuto ufficialmente dal Guinness World Records come il più veloce al mondo, un traguardo che mette in evidenza l’importanza della collaborazione scientifica. Il progetto è stato possibile grazie al di un team multidisciplinare composto da Mohammed Hassan, Nikolay Golubev, Dandan Hui, Husain Alqattan e Mohamed Sennary. La loro esperienza in fisica, ottica e ingegneria ha permesso di spingere i limiti della scienza oltre quanto ritenuto possibile.

Pur basandosi su precedenti scoperte premiate con il Nobel, il team dell’Università dell’Arizona ha saputo portare avanti la ricerca in modo innovativo, dimostrando che l’ingegno umano e il lavoro di squadra sono fondamentali per i progressi scientifici.

La creazione del microscopio elettronico più veloce al mondo rappresenta una pietra miliare nella capacità di esplorare il mondo su scala microscopica. L’attomicroscopia, con la sua capacità di osservare gli elettroni con una precisione straordinaria, promette di rivoluzionare campi che vanno dalla medicina alla tecnologia quantistica, offrendo nuove risposte ai misteri del mondo invisibile e aprendo la strada a scoperte rivoluzionarie.

Fonte: University of Arizona

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Studiare gli astri e decidere di raccontarli.

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Il campo dell’astrofisica continua a suscitare interesse e curiosità tra i giovani studenti. Molti di loro, come Filippo Bonaventura, astrofisico e coordinatore del magazine di Geopop, sono attratti dalle stelle e dall’universo fin da piccoli. Nella seconda puntata di Dialoghi di , un Vodcast di Geopop, si discute di cosa comporti studiare Astrofisica e delle opportunità lavorative che ne derivano.

Scelte di carriera nell’astrofisica

Nell’ambito delle scelte universitarie, Filippo rappresenta un caso raro: ha sempre saputo di voler studiare Astrofisica e, pur comprendendo le incertezze che spesso accompagnano tali decisioni, consiglia agli aspiranti studenti di seguire le proprie passioni. Dopo la laurea, il percorso tipico per si dedica a questa disciplina è quello accademico, che include l’inizio di un Dottorato e l’entrata nel della ricerca, mirando a svelare i misteri dell’universo.

La divulgazione scientifica

La carriera di Filippo, tuttavia, ha preso una direzione diversa. Il suo interesse per la comunicazione lo ha portato a intraprendere un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. Ha poi proseguito scrivendo saggi di astronomia, desiderando rendere accessibili le conoscenze scientifiche al pubblico. Durante il Vodcast, Filippo affronta anche il legame tra e bellezza, descrivendo come la complessità delle equazioni cosmiche possa rivelare delle verità affascinanti, paragonabili alla scoperta del valore in una persona che si conosce più a fondo.

Opportunità lavorative e inaspettati incroci

La discussione si sposta sulle innumerevoli possibilità lavorative disponibili per chi studia Astrofisica. A tale riguardo, Filippo condivide un esempio lampante: uno studente talentuoso nella Relatività Generale di Einstein, che si trova a lavorare nell’industria dei sacchetti della spesa. Questa illustra come la fisica possa applicarsi in contesti lavorativi diversificati e inaspettati.

Per una comprensione più approfondita di queste tematiche, è possibile guardare il video completo del Vodcast. Inoltre, per chi fosse interessato, il primo episodio è disponibile per la visione.

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La fine della produzione dei Blu-Ray registrabili e di altri supporti di memoria fisici è annunciata da Sony

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Sony (nella specifica divisione Sony Storage Media Solutions) ha comunicato che interromperà la produzione di supporti di memoria a partire da febbraio 2025. decisione implica l’interruzione della produzione di dischi Blu-ray (BD-R e BD-RE), MiniDisc, MD Data e cassette Mini DV. È importante sottolineare che la produzione di film in formato Blu-ray e Blu-ray UHD non sarà influenzata e continuerà in grandi impianti industriali. Tuttavia, il ritiro di Sony da questo mercato rappresenta un cambiamento significativo nell’industria dei supporti ottici, lasciando dubbi sul di questa tecnologia.

Nel luglio 2024, alcuni media giapponesi avevano già preannunciato una riduzione del 40% del personale nella divisione dedicata ai supporti registrabili. L’annuncio ufficiale del ritiro, avvenuto il 23 gennaio 2025, conferma che non ci saranno modelli successivi per questi prodotti. Di seguito l’annuncio di Sony: “A partire da febbraio 2025, interromperemo la produzione di tutti i modelli di supporti Blu-ray Disc, MiniDisc per la registrazione, MD Data per la registrazione e cassette Mini DV. Si prega di notare che non ci saranno modelli successivi.”

Il ruolo di Sony nella produzione di dischi Blu-ray

Sony ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo e nella diffusione dei supporti ottici. Il Blu-ray Disc, presentato come successore del DVD, ha segnato un significativo progresso grazie all’uso di un laser blu, cui si deve la capacità di immagazzinare dati con una densità superiore rispetto al laser rosso utilizzato nei DVD. Con la capacità di archiviazione che poteva arrivare fino a 200 GB attraverso l’uso di più strati, il Blu-ray ha abilitato la distribuzione di contenuti in alta definizione e Ultra HD. L’ascesa dello streaming ha tuttavia portato a un graduale declino del mercato dei supporti fisici, evidenziando una diminuzione delle vendite di DVD, Blu-ray e UHD Blu-ray.

Il nome “Blu-ray” origina dalla scelta di utilizzare il termine “raggio blu”, evitando la registrazione del termine “blue” come marchio commerciale. La tecnologia esordì con la console Sony PlayStation 3, mentre il primo lettore Blu-ray fu il Sony BDZ-S77, lanciato in Giappone nel 2003. La concorrenza con l’HD DVD, il formato rivale supportato da Toshiba, si chiuse nel 2008 con la vittoria del Blu-ray, che ricevette il supporto delle principali case cinematografiche e dei produttori di hardware.

Le prospettive future per i supporti ottici

Le prospettive per i supporti ottici sembrano poco promettenti. Già nel 2019, il portale FlatpanelsHD aveva anticipato l’improbabilità di sviluppare un formato di disco 8K, una previsione che si è rivelata corretta. L’aumento della popolarità dello streaming e dell’archiviazione cloud ha ulteriormente messo in discussione la rilevanza dei supporti fisici per il pubblico generale.

Con il ritiro di uno dei pionieri del settore – Sony – il futuro per il Blu-ray e formati simili potrebbe essere segnato da una graduale scomparsa, segnando la di un’epoca nella distribuzione dei contenuti digitali.

Gli altri supporti di memoria dismessi da Sony

Oltre ai dischi Blu-ray, Sony ha annunciato la cessazione della produzione di altri supporti di memoria. Tra questi, il MiniDisc, introdotto da Sony nel 1992 come successore della musicassetta, presenta una capacità di circa 145 MB ed era progettato per la registrazione audio. Il formato MD Data, derivato dal MiniDisc e lanciato nel 1993, era utilizzato per la memorizzazione di video, audio e software.

In aggiunta, il formato video digitale DV e la versione miniaturizzata MiniDV, sviluppati nel 1995 e destinati alle videocamere digitali, hanno contribuito all’evoluzione della registrazione digitale. Con un’attenzione sempre maggiore alle nuove tecnologie nella conservazione e distribuzione dei contenuti, rimane da vedere come si evolverà ulteriormente il panorama dei supporti fisici.

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DeepSeek R1, l’AI cinese che fa tremare i giganti USA e supera ChatGPT

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DeepSeek è una operante nel settore dell’intelligenza artificiale, che ha attirato un’attenzione crescente da parte degli esperti del settore. Fondata a maggio 2023 da Liang Wenfeng, che vanta una significativa esperienza in hedge fund e intelligenza artificiale, l’azienda è nota per il suo approccio innovativo che offre modelli AI avanzati a costi molto competitivi. Grazie all’applicazione di tecnologie all’avanguardia nel machine learning, come l’apprendimento per rinforzo e l’architettura Mixture of Experts (MoE), DeepSeek ha raggiunto prestazioni elevate senza compromettere l’efficienza delle risorse. L’azienda ha scelto di rendere open source i propri modelli, contribuendo alla democratizzazione dell’intelligenza artificiale. Questo articolo esamina le tecnologie sviluppate da DeepSeek, il suo impatto sui maggiori attori della Silicon Valley e le sue strategie di pricing.

L’efficienza dei modelli DeepSeek

DeepSeek mira a competere con i principali operatori nel campo dell’intelligenza artificiale. Nel novembre 2023, ha lanciato il suo primo prodotto rilevante, DeepSeek Coder, un modello open source dedicato alla codifica. Successivamente, sono stati introdotti il modello linguistico DeepSeek LLM, contenente 67 miliardi di parametri, e, nel maggio 2024, il modello DeepSeek-V2, apprezzato per le sue elevate prestazioni a costi notevolmente ridotti. Questi modelli si caratterizzano per la loro capacità di contenere il consumo di risorse computazionali, grazie a tecniche come l’apprendimento per rinforzo, che permette miglioramenti graduali nelle loro capacità.

Un ulteriore punto di forza della strategia di DeepSeek è l’architettura MoE, che attiva solo una frazione dei parametri per ciascun compito, assicurando una riduzione significativa dei costi di calcolo e un miglioramento dell’efficienza. L’integrazione della capacità di utilizzo dell’attenzione latente multi-testa nel modello DeepSeek-V3 consente una gestione più precisa di input complessi, affrontando più aspetti delle informazioni simultaneamente.

Nel gennaio 2025, DeepSeek ha presentato il modello avanzato DeepSeek-R1, progettato per attività di ragionamento, posizionandosi così come un concorrente diretto dei modelli avanzati di leader del settore. L’azienda ha altresì sviluppato modelli distillati, come DeepSeek-R1-Distill, che combinano l’efficienza dei modelli più piccoli con le capacità dei modelli più grandi.

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La differenza tra DeepSeek e la concorrenza

Le peculiarità di DeepSeek rispetto alla concorrenza risiedono principalmente nel suo modello di business. Finanziata esclusivamente da High-Flyer, un hedge fund creato da Liang Wenfeng, l’azienda non ha bisogno di investitori esterni, potendo così concentrare le proprie energie sulla ricerca a lungo termine. Sebbene abbia già ottenuto un certo successo, DeepSeek non ha ancora manifestato intenzioni concrete di commercializzazione su larga scala, mantenendo un focus prioritario su ricerca e sviluppo.

La politica di contenimento dei costi è un aspetto cruciale dell’attività di DeepSeek, evidente nelle sue tariffe, significativamente più basse rispetto a quelle dei concorrenti. Per esempio, l’API di DeepSeek-R1 è disponibile a soli 0,55 dollari per di token di input e 2,19 dollari per milione di token di output, contrariamente ai prezzi di altri colossi come OpenAI, che richiede 15 dollari per milione di token di input e 60 dollari per milione di token di output. notevole efficienza dei costi potrebbe spingere i concorrenti a riconsiderare i loro prezzi per mantenere la competitività.

Inoltre, l’approccio open source adottato da DeepSeek consente a piccole imprese e sviluppatori indipendenti di accedere a tecnologie avanzate senza le onerose spese tipiche del settore.

Le sfide di DeepSeek e i limiti di censura

Malgrado i suoi progressi, DeepSeek è chiamata ad affrontare diverse sfide. Una delle più significative riguarda la disponibilità limitata di risorse di calcolo avanzate, complicata dai controlli sulle esportazioni di chip dagli Stati Uniti. L’accesso a hardware più potente risulta cruciale per mantenere la competitività rispetto ai rivalità della Silicon Valley.

In quanto azienda cinese, DeepSeek deve fare i conti con la censura dei propri modelli per prevenire la diffusione di contenuti contrari alle normative nazionali. Questo potrebbe rappresentare un ostacolo considerevole alla sua adozione globale, specialmente in contesti dove la libertà di espressione è un valore fondamentale. Le modalità con cui DeepSeek affronterà queste sfide rimangono da osservare nel tempo.

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Un milione di dollari offerti dall’India a chi riuscirà a decifrare questa scrittura antichissima

Decifrare la scrittura della civiltà della valle dell’Indo è fondamentale, ma è difficilissimo: per questo è stato istituito un premio di milione di per chiunque ci riesca.

@NarudaaArnaud/X

La scrittura della civiltà della valle dell’Indo, risalente a oltre 5.300 anni fa, rappresenta uno dei misteri più affascinanti nella dell’archeologia e della linguistica. Per risolvere questo enigma, il Primo Ministro dello stato indiano del Tamil Nadu ha annunciato un premio di 1 milione di dollari per chiunque riesca a decifrarla.

L’iniziativa si basa su uno studio che ha evidenziato somiglianze tra i simboli di antica scrittura e i graffiti presenti su ceramiche locali del Tamil Nadu, suggerendo così una potenziale connessione culturale tra le due aree geograficamente lontane.

La civiltà della valle dell’Indo, nota anche come cultura Harappa, è stata una delle prime grandi società urbane, situata lungo il fiume Indo in una regione che comprende parte dell’attuale India e Pakistan. Questa civiltà è caratterizzata da avanzate tecniche di urbanizzazione e commercio e ha lasciato circa 4.000 iscrizioni, per lo più brevi, incise su sigilli, ceramiche e manufatti.

L’importanza di decifrarla

indusindus

Indus Valley @MetMuseum.org

I testi più lunghi raggiungono solo 34 simboli, rendendo il compito di decifrazione particolarmente difficile. Gli studiosi ipotizzano che si possa trattare di un sistema logografico, simile ai geroglifici egiziani o ai caratteri cinesi, ma finora non è stata trovata alcuna “chiave” per comprenderlo, come nel caso della Stele di Rosetta.

Nonostante i numerosi tentativi, nessun linguista o esperto ha ancora decifrato questi simboli. Le teorie variano dall’origine indo-ariana a connessioni con scritture come il sumero o il proto-elamita, ma nessuna di queste ha ottenuto conferme solide. I recenti progressi tecnologici, tra cui algoritmi di intelligenza artificiale, stanno offrendo rinnovate speranze, ma molti esperti rimangono scettici riguardo l’efficacia di tali strumenti senza una base di confronto concreta.

Decifrare questa scrittura non rappresenterebbe solo un traguardo accademico, ma permetterebbe di approfondire la comprensione di una civiltà ancora avvolta nel mistero. La conoscenza del contenuto delle iscrizioni potrebbe rivelare dettagli sull’organizzazione sociale, l’economia e le credenze religiose di questa antica cultura.

Questa sfida ha già suscitato l’interesse di esperti di tutto il mondo, attratti dalla possibilità di risolvere un enigma rimasto insoluto per millenni. L’iniziativa del Tamil Nadu segue il modello di altre offerte di premi per la risoluzione di misteri storici, evidenziando quanto il passato possa ancora ispirare e mettere alla prova le menti contemporanee.

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Cosa significa questa espressione e da dove proviene

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L’ italiana “non avere voce in capitolo” si riferisce all’assenza di autorità e rilevanza in una discussione o in una decisione. Le origini di questo detto risalgono al Medioevo, legate alle pratiche monastiche dell’epoca.

Origini storiche del termine

Nel contesto medievale, il “capitolo” rappresentava l’assemblea dei monaci che si riunivano all’interno di un’abbazia o di un monastero per leggere le regole del loro ordine o per deliberare su questioni rilevanti per la comunità. Tali riunioni si svolgevano in una sala conosciuta come “sala capitolare”. Anche se tutti i monaci potevano partecipare, solo alcuni avevano il diritto di parola, mentre figure come i novizi o i conversi erano esclusi dalla di esprimere opinioni o votare su decisioni comunitarie. Pertanto, si può dire che “non avevano voce in capitolo”.

Equivalenze in altre lingue

È da notare che espressioni analoghe si trovano anche in altre lingue. In francese, per esempio, si utilizza “avoir voix au chapitre“, che ha lo stesso significato di avere diritto di parola o influenza in una decisione. frase è documentata in testi letterari e storici sin dal XVII secolo, come nel caso di Madame de Sévigné, che scrisse: «dans ces occasions-là, les mères n’ont pas beaucoup de voix au chapitre» (tradotto in italiano “in queste occasioni, le madri non hanno molta voce in capitolo”), evidenziando così la diffusione del concetto nell’Europa del .

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Problemi socio-ambientali e sostentamento di 1 miliardo di persone nella geopolitica del cotone

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L’industria del rappresenta una delle filiere più antiche e complesse al , il cui indotto nel 2020 sosteneva circa 1 miliardo di , inclusi 100 milioni di piccoli agricoltori. Tuttavia, sotto questi numeri si trovano aspetti critici, come la competizione tra i principali Paesi produttori e le conseguenze ambientali derivanti dalle pratiche di coltivazione.

Origini e breve storia dell’industria del cotone

Il cotone è una fibra tessile derivata dall’ovatta che circonda i semi delle piante del genere Gossypium. Molte specie di questo genere esistono, ma solo quattro sono state domesticate per la coltivazione commerciale: Gossypium hirsutum, Gossypium barbadense, Gossypium arboreum e Gossypium herbaceum. Queste piante non hanno una singola origine, dato che diverse civiltà hanno iniziato la domesticazione in varie parti del mondo. La selezione delle varietà più produttive e l’invenzione della sgranatrice di cotone nel 1793 hanno facilitato l’industrializzazione del cotone, trasformandolo in un prodotto di consumo diffuso relativamente di recente.

I principali Paesi produttori di cotone

Secondo i dati del 2022, i 21 principali Paesi produttori hanno prodotto quasi 70 milioni di tonnellate di cotone. Questi produttori includono grandi potenze asiatiche come Cina, India e Pakistan, gli Stati Uniti, ex-repubbliche sovietiche, Paesi latinoamericani come Brasile e Messico, e nazioni dell’Africa francofona come Burkina Faso e Costa d’Avorio. La coltivazione del cotone è fortemente influenzata da fattori climatici, richiedendo temperature ideale sotto i 25 °C e un’elevata domanda idrica, che può variare significativamente tra le diverse aree di coltivazione.

Il "lato oscuro" dell’industria del cotone

Nonostante il settore sostenga oltre 1 miliardo di persone, i lavoratori nei Paesi in via di sviluppo spesso ricevono compensi molto bassi. L’industria è stata coinvolta in problematiche ambientali significative, come il prosciugamento del Lago d’Aral a causa di errate gestioni idriche. Inoltre, l’industria del cotone è accusata di sfruttamento, compresa la riduzione in schiavitù di intere popolazioni, soprattutto nei contesti di minorile nelle ex-repubbliche sovietiche. Dalla degli anni Duemila, pratiche di concorrenza sleale degli Stati Uniti hanno sollevato preoccupazioni tra i produttori di cotone in Brasile e in Africa, che hanno denunciato l’impatto negativo delle sussidiarie statunitensi sul mercato globale.

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Che cos’è un dominio Internet e a cosa serve il nome di un sito Web

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Nel contesto della navigazione online, ogni web presenta un indirizzo unico definito “nome di dominio”. stringa di caratteri identifica in modo specifico un server, permettendo agli utenti di accedervi senza dover ricordare indirizzi numerici complessi, noti come indirizzi IP. Ad esempio, “geopop.it” rappresenta un dominio di secondo livello, consentendo un accesso semplificato al magazine online. Il sistema che gestisce questa operazione è il DNS (Domain Name System), che funge da grande “rubrica globale”, traducendo i nomi di dominio negli indirizzi IP corrispondenti e viceversa. La comprensione dei domini di primo livello (quali .com, .net, .org, .it, .us, tra gli ) offre indicazioni sui temi trattati da un sito o sulla lingua dei contenuti presentati.

Funzione dei domini Internet

Un dominio va oltre il semplice identificativo testuale di un sito web e si inserisce in una struttura più ampia che organizza e gestisce le risorse sul web, garantendo che le richieste siano correttamente indirizzate ai server appropriati. Questo processo è reso possibile dal DNS, un sistema decentralizzato che consente di digitare nomi facili da ricordare nel browser, facilitando così l’accesso ai siti senza preoccuparsi della loro reale localizzazione online.

Nella gerarchia dei domini, la radice o root domain è il livello più alto, sotto cui si trovano i domini di primo livello o TLD (Top-Level Domain). Questi possono essere generici o nazionali, come .it, .us, .fr, ecc. I domini di secondo livello sono registrati dagli utenti, come geopop.it, mentre i sottodomini o domini di terzo livello sono estensioni che organizzano contenuti o servizi, come shop.geopop.it. Tale struttura favorisce la gestione e l’indicizzazione dei sito web.

Nel 2024, il numero di domini registrati i 350 milioni, rendendo sempre più urgente per aziende e privati scegliere un nome idoneo per la propria presenza online.

Significato dei principali domini Internet

Un aspetto fondamentale riguarda il significato dei principali domini . Nel 1984, l’Università del Wisconsin creò il primo nameserver DNS, dando vita ai primi sette domini di primo livello generici, che possono essere organizzati in base alla loro usabilità.

I cosiddetti gTLD senza restrizioni sono accessibili a chiunque e includono:

  • .com – commerciale
  • .net – orientato alla rete
  • .org – organizzazione non-profit

I gTLD con restrizioni sono limitati a enti autorizzati, fra cui:

  • .edu – accreditato US educational
  • .gov – agenzie governative USA
  • .mil – militari USA
  • .int – trattati internazionali (introdotto nel 1988)

Nel 2000, l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ha introdotto ulteriori domini, inclusi i gTLD sponsorizzati, utilizzabili solo da entità pertinenti, come:

  • .aero – comunità aeronautica globale
  • .asia – regione Pan-Asia/Asia Pacifica
  • .cat – comunità catalana
  • .coop – cooperative
  • .jobs – risorse umane/occupazione
  • .mobi – prodotti/servizi mobili
  • .museum – musei
  • .post – settore postale
  • .pro – professionisti autorizzati
  • .tel – contatti
  • .travel – settore dei viaggi
  • .xxx – contenuti vietati ai minori

Accanto a ciò, i gTLD non sponsorizzati, che possono essere registrati liberamente per vari fini, comprendono:

  • .biz – aziende
  • .info – servizio informazioni
  • .name – individui

In aggiunta, ciascun Paese dispone di un dominio di primo livello, noti come ccTLD (country code Top-Level Domain), come ad esempio .it per l’Italia, .ch per la Svizzera, .fr per la Francia, .us per gli Stati Uniti, e così via.

Fonte Verificata

La neuroestetica risponde a cosa succede nel nostro cervello davanti a un’opera d’arte

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La è la disciplina delle neuroscienze che indaga i processi cerebrali connessi all’esperienza estetica. Questa branca è stata formalmente introdotta nel 1994 grazie a un articolo pubblicato sulla rivista Brain da un neurobiologo e un artista. La neuroestetica si focalizza su ciò che determina la nostra percezione di bellezza e come reagiamo a essa, esplorando le emozioni intense che possono sorgere di fronte a un’opera d’arte.

Studi recenti hanno rivelato che le reazioni emotive suscitate dall’arte non sono fenomeni astratti, ma derivano dall’attivazione di specifiche aree del quando interagiamo con un’opera d’arte. Allo stesso modo, artisti storici possono essere visti come pionieri nella comprensione dei meccanismi cerebrali legati all’estetica.

Come si studia la neuroestetica e cosa accade nel cervello davanti a un’opera d’arte

Un esperimento in neuroestetica prevede che i partecipanti osservino un’opera d’arte mentre indossano sensori speciali che misurano parametri fisiologici, come la frequenza cardiaca e la conduzione elettrica della pelle. I biomarcatori così ottenuti permettono di rilevare indizi su ciò che accade nel cervello durante l’esperienza estetica.

Inoltre, le tecniche di neuroimaging, come l’elettroencefalografia, offrono la di visualizzare direttamente l’attività cerebrale, chiarendo quali aree si attivano in risposta a stimoli estetici. Questa integrazione di informazioni porta a una comprensione più profonda delle nostre reazioni verso ciò che consideriamo bello.

Quali aree cerebrali si attivano davanti a un’opera d’arte

Quando ci immergiamo in un’opera d’arte, le stesse aree cerebrali utilizzate per l’elaborazione delle informazioni sensoriali nella realtà vengono attivate. Per esempio, la corteccia fusiforme gioca un ruolo cruciale nel riconoscimento dei volti e si attiva anche quando osserviamo ritratti pittorici.

Il potere dell’arte va oltre l’ visiva. Il nostro cervello utilizza i neuroni specchio, che si attivano sia nell’azione che nell’osservazione, per permetterci di immedesimarci con le emozioni dei soggetti rappresentati. Questa attività neuronale facilita una connessione empatica, arricchendo l’esperienza estetica personale.

In aggiunta, l’arte stimola diverse aree cerebrali legate alle emozioni, inclusa l’amigdala. Quando un’opera ci affascina, il sistema della ricompensa rilascia neurotrasmettitori come dopamina e serotonina, responsabili delle sensazioni di gratificazione. Questo rilascio di sostanze chimiche contribuisce al nostro attaccamento verso le opere preferite.

Immagine
Localizzazione dell’amigdala nel cervello umano. Credit: Images are generated by Life Science Databases(LSDB)., CC BY–SA 2.1 JP , via Wikimedia Commons.

Reward system
Principali aree del circuito della ricompensa in un cervello umano.
VTA: area tegmentale ventrale; AMY: amigdala; HIPP: ippocampo; NAc: nucleus accumbens; PFC: corteccia prefrontale. Credit: GeorgeVKach, CC BY–SA 4.0 , via Wikimedia Commons.

Vincent Van Gogh, neuroscienziato sui generis

Il fondatore della neuroestetica suggerisce che l’artista opera come un neuroscienziato, esplorando le potenzialità del cervello attraverso pratiche diverse rispetto alla .

Un esempio è l’opera Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh. Se osservata attentamente, sembra che le spighe si muovano, creando un’intensa sensazione di dinamismo. Questo fenomeno è il risultato dell’attivazione della regione cerebrale nota come area MT, che si occupa della percezione del movimento. Così, l’arte di Van Gogh stimola nel nostro cervello risposte simili a quelle che sperimentiamo nella realtà, offrendo un’affascinante esperienza di neuroestetica.

Fonte:

Magsamen S., Your Brain on Art: The Case for Neuroaesthetics, 2019
Cinzia D., Vittorio G., Neuroaesthetics: a review, 2009
Freedberg D, Gallese V., Motion, emotion and empathy in esthetic experience, 2007
Babiloni F. et al., The great beauty: A neuroaesthetic study by neuroelectric imaging during the observation of the real Michelangelo’s Moses sculpture, 2014.
Thakral P. et al., A neural mechanism for aesthetic experience, 2012

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