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I talebani, l’organizzazione fondamentalista islamica che guida l’Afghanistan, vengono esaminati.

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Il movimento dei , originato negli anni ’90 del XX secolo in Pakistan e successivamente in Afghanistan, è un gruppo politico e armato islamico. Negli anni, si è evoluto diventando una potente organizzazione militare, riuscendo a prendere il controllo dell’Afghanistan due volte, compresa l’era post-intervento statunitense dal 2001 al 2021. Oggi, i talebani si sono affermati come i dominatori incontrastati del territorio afghano.

Nascita e storia dei talebani

Il movimento talebano emerse in Pakistan nei primi anni ’90 grazie al mullah Muhammed Omar Mujahid, con il sostegno del governo pakistano. Tra i profughi afghani, in particolare tra i pashtun, il mullah riuscì a guadagnare un significativo seguito. Da un inizio come movimento di emancipazione sociale, il talebano si trasformò in un esercito di fanatici. Nel 1994, la milizia talebana iniziò a conquistare il territorio, culminando nella presa di Kabul nel 1996, complice l’ostilità della popolazione verso i signori della guerra che avevano portato il Paese in una guerra civile.

Nel 2001, i talebani controllavano il 75% dell’Afghanistan. Sotto il loro dominio, i conflitti e i saccheggi cessarono, ma al prezzo di un regime autocratico e fondamentalista, con l’applicazione della Sharia e del Pashtunwali senza opposizioni.

I rapporti con Bin Laden e il terrorismo jihadista internazionale

La presa di potere dei talebani tra il 1996 e il 2001 coincise con il loro sodalizio con al-Qaeda, guidata da Osama bin Laden. Questo legame portò al sostegno reciproco tra le due organizzazioni, con al-Qaeda che si stabilì in Afghanistan. Un attentato suicida organizzato da al-Qaeda portò all’uccisione di Ahmad Shah Massoud, importante oppositore dei talebani, il giorno prima degli attentati dell’11 settembre 2001, che segnarono un punto di svolta cruciale nella contemporanea.

La guerra contro gli Stati Uniti e la seconda presa di potere

Il 7 ottobre 2001, gli Stati Uniti e i loro alleati attaccarono i talebani per la loro alleanza con al-Qaeda e il rifiuto di consegnare bin Laden. Le forze talebane furono rapidamente espulse da Kabul e si ritirarono in aree montuose vicino al confine con il Pakistan. Negli anni successivi, i talebani pianificarono il loro ritorno, culminato il 30 agosto 2021 con il crollo della Repubblica dell’Afghanistan e il successivo ritiro delle forze della Coalizione.

Situazione attuale in Afghanistan

Attualmente, i talebani governano nuovamente l’Emirato Islamico dell’Afghanistan e hanno esteso formalmente il loro controllo su tutto il territorio. Hanno ricostruito uno stato basato sulla stretta osservanza della Sharia e del Pashtunwali. Tuttavia, nonostante l’apparente dominio, il gruppo si trova a fronteggiare minacce come ISIS-KP e un nuovo movimento di resistenza repubblicana. Sebbene questi gruppi non sembrino in grado di competere efficacemente contro i talebani, la situazione in Afghanistan rimane complessa e incerta.

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L’APN: cosa è, a cosa serve e come si configura su Android e iPhone

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L’Access Point Name, abbreviato in APN, rappresenta un elemento cruciale per il corretto accesso alle reti dati degli operatori di telefonia mobile. Questo identificatore di rete funge da ponte tra il dispositivo e la rete stessa, consentendo la navigazione internet, l’invio di messaggi multimediali e l’utilizzo di servizi di geolocalizzazione assistita. L’APN viene configurato automaticamente al momento dell’inserimento della SIM nel dispositivo, anche se possono presentarsi situazioni in cui è necessario un intervento manuale. Questo articolo descrive in dettaglio la natura dell’APN e fornisce indicazioni su come configurarlo su dispositivi e .

APN: definizione e funzionalità

L’APN non è un dispositivo fisico, ma una funzione software integrata nel sistema operativo degli smartphone e tablet. Rappresenta un parametro essenziale per stabilire una connessione dati cellulare. Ogni operatore telefonico dispone di un proprio APN, composto da un identificatore di rete e un identificatore di operatore. Quando viene inserita una SIM nel telefono, il sistema elabora tali informazioni per:

  • Assegnare l’indirizzo IP appropriato per l’identificazione univoca del dispositivo su Internet o su una rete locale;
  • Stabilire la connessione alla rete;
  • Applicare misure di sicurezza necessarie.

Il processo inizia con l’attivazione del PDP Context, una configurazione che instrada il traffico dati al nodo GGSN (Gateway GPRS Support Node). Ogni GGSN gestisce una lista di APN, traducendo il nome del punto di accesso in indirizzi IP per la connessione. Da questo punto, il dispositivo ha accesso a Internet o a servizi come MMS (Multimedia Messaging Service) e geolocalizzazione assistita via IP.

Gli APN possono essere configurati per diversi tipi di servizio; ad esempio, il tipo “default” consente la navigazione Internet, mentre “MMS” abilita l’invio e la ricezione di messaggi multimediali. È possibile che un APN supporti più servizi o che sia necessario configurarne diversi per sfruttare tutte le funzionalità offerte dall’operatore.

Procedura per la configurazione manuale dell’APN su Android e iPhone

La configurazione dell’APN di solito avviene tramite un SMS inviato dal gestore al primo avvio di un dispositivo con una nuova SIM, contenente i parametri necessari per la configurazione automatica. Tuttavia, in alcune circostanze, potrebbe essere necessario procedere alla configurazione manuale dell’APN se l’autoconfigurazione non avviene correttamente.

Configurazione su Android

  • Aprite l’app Impostazioni;
  • Selezionate Rete mobile e poi Nomi punti di accesso o APN;
  • Aggiungete un nuovo APN inserendo i parametri forniti dal vostro operatore;
  • Compilate correttamente i campi necessari, come nome e APN, seguendo le istruzioni del provider;
  • Dopo aver salvato le modifiche, riavviate il dispositivo per attivare la nuova configurazione.

Le indicazioni possono variare a seconda del dispositivo e della versione del sistema operativo Android.

Immagine Come impostare APN su Android.

Configurazione su iPhone

  • Avviate l’app Impostazioni;
  • Selezionate Cellulare e poi Rete dati cellulare;
  • Inserite manualmente i parametri dell’APN forniti dal vostro operatore;
  • Seguite attentamente le indicazioni fornite dal gestore, soprattutto nei campi relativi al tipo di servizio;
  • Una volta completata la configurazione, il dispositivo dovrebbe connettersi alla rete cellulare senza problemi.

Immagine Come impostare APN su iPhone.

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Il caffè prima di essere bevuto è girato per rendere più sicuro l’eliminando dell’acrilammide, ma non ci sono prove scientifiche.

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Il è una bevanda universale, riconosciuta per il suo effetto stimolante e le sue caratteristiche sensoriali. Nella , il caffè ha avuto un ruolo significativo nello sviluppo di sistemi di lavorazione e forme di consumo. Tuttavia, contiene sia sostanze benefiche sia tossiche. Tra queste ultime figura l’acrilammide, un composto che si sviluppa durante la tostatura dei chicchi. Le strategie per ridurre l’acrilammide nel caffè mirano alla selezione delle materie prime, ottimizzando il processo di tostatura e adottando trattamenti innovativi. Nonostante ciò, molte di queste strategie devono affrontare la sfida di preservare le caratteristiche sensoriali e qualitative del caffè, che sono fondamentali per l’accettazione da parte dei consumatori. Anche se non esistono che dimostrino che mescolare il caffè riduca l’acrilammide, si può ipotizzare che, essendo una molecola volatile, possa evaporare grazie al mescolamento.

Cosa è e come si forma l’acrilammide nel caffè

L’acrilammide è un composto tossico formato durante la preparazione di alcuni alimenti a temperature superiori ai 120°C. Nel caffè, questo composto si genera durante il processo di tostatura, che supera i 200°C. Si tratta di un sottoprodotto della reazione tra l’amminoacido asparagina e zuccheri come glucosio e fruttosio, nota come reazione di Maillard, responsabile dello sviluppo degli aromi e colori caratteristici del caffè tostato. L’acrilammide non è presente solo nel caffè, ma anche in altri alimenti come cibi fritti, prodotti da forno e fumi di sigaretta. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) considera l’acrilammide potenzialmente cancerogena, classificandola nel gruppo 2A. I livelli di sicurezza per il consumo sono stabiliti nel Regolamento UE 2017/2158, con limiti specifici di 400 µg/kg per il caffè torrefatto e 850 µg/kg per il caffè solubile istantaneo. La concentrazione di acrilammide nel caffè è influenzata dalla specie di caffè e dal metodo di produzione, inclusi i processi di estrazione.

Ridurre le concentrazioni di acrilammide con la scelta delle materie prime e il metodo di produzione

Sebbene l’acrilammide non possa essere completamente eliminata, la sua presenza può essere ridotta durante la produzione. È possibile selezionare varietà di caffè, come l’Arabica, che presentano livelli generalmente inferiori di acrilammide. La rimozione di chicchi immaturi, contenenti più asparagina e zuccheri, e l’adozione di metodi di lavorazione a umido sono strategie efficaci. Trattamenti pre-tostatura, come l’uso di enzimi che degradano l’asparagina, possono contribuire a minimizzare il precursore della formazione di acrilammide. L’ottimizzazione del processo di tostatura, regolando temperatura e durata, può anch’essa ridurre la concentrazione di acrilammide: chicchi tostati più a lungo a temperature elevate mostrano livelli più bassi di questo composto. Metodi di preparazione del caffè, come il caffè espresso, possono limitare l’estrazione dell’acrilammide. Alcuni studi indicano che l’aggiunta di aminoacidi o lieviti potrebbe ridurre ulteriormente la concentrazione di acrilammide. Tecniche innovative, come l’estrazione supercritica, mostrano potenzialità, ma sono per il momento costose e non facilmente applicabili su scala ampia.

È davvero importante mescolare il caffè prima di berlo per ridurre l’acrilammide?

Attualmente non esistono evidenze scientifiche conclusive che dimostrino l’efficacia del mescolamento del caffè nel ridurre l’acrilammide, anche senza zucchero. Tuttavia, il mescolamento favorisce una migliore omogeneità, distribuendo gli oli e i composti volatili, migliorando l’esperienza sensoriale. Si può ipotizzare che, pur non eliminando l’acrilammide, il mescolamento potrebbe diluire i suoi effetti, facilitando l’evaporazione di questa sostanza volatile. Inoltre, il rituale del mescolamento possiede anche implicazioni culturali e psicologiche, influenzando la percezione del gusto e preparandosi a gustare la bevanda.

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6 attività pratiche sulle reazioni di ossido-riduzione.

In questo articolo, presentati esercizi relativi alle reazioni di ossido-riduzione (redox) e il loro bilanciamento tramite il metodo delle semireazioni. Questo approccio prevede l’eliminazione degli ioni spettatori, ovvero quegli ioni che non subiscono variazioni di stato di ossidazione durante la reazione. Gli esercizi possono essere formulati sia in forma molecolare che ionica, permettendo una maggiore comprensione dei concetti fondamentali delle redox.

Passaggi per il bilanciamento delle redox

Per affrontare correttamente gli esercizi sulle redox, è necessario seguire una serie di passaggi in una sequenza rigorosa:

  • Dividere il sistema in due semireazioni
  • Bilanciare gli atomi di massa
  • Aggiungere ossigeno, quando mancante, sotto forma di acqua
  • Aggiungere idrogeno, se necessario, sotto forma di ioni H+
  • Calcolare la carica netta a sinistra e a destra di ciascuna semireazione, aggiungendo elettroni dove necessario

Nel caso in cui la reazione sia in un ambiente basico, altri passaggi sono da seguire. Si devono aggiungere ioni OH– a ciascuna semireazione in quantità equivalenti agli ioni H+ presenti. Successivamente, H+ e OH– si combinano per formare acqua, semplificando le eventuali molecole d’acqua già presenti. A questo punto, entrambe le semireazioni dovrebbero risultare bilanciate, anche se gli elettroni sono posizionati in modo opposto in ciascuna di esse.

Esercizi pratici

Di seguito sono riportati alcuni esercizi pratici per illustrare la tecnica di bilanciamento delle reazioni redox.

Consideriamo la reazione: C + H2SO4 → CO2 + SO2 + H2O. Le semireazioni possono essere scritte come segue:
C → CO2
H2SO4 → SO2.

Essendo le masse già in equilibrio, procediamo ad aggiungere ossigeno dove è mancante, utilizzando acqua:
C + 2 H2O → CO2
H2SO4 → SO2 + 2 H2O.

Dobbiamo ora aggiungere idrogeno come H+:
C + 2 H2O → CO2 + 4 H+
2 H+ + H2SO4 → SO2 + 2 H2O.

Le semireazioni possono ora essere completate con l’aggiunta di elettroni:
C + 2 H2O → CO2 + 4 H+ + 4 e–
2 e– + 2 H+ + H2SO4 → SO2 + 2 H2O.

Per uniformare il numero di elettroni, moltiplichiamo la seconda semireazione per 2:
C + 2 H2O → CO2 + 4 H+ + 4 e–
4 e– + 4 H+ + 2 H2SO4 → 2 SO2 + 4 H2O.

Infine, sommiamo i membri delle due semireazioni e semplifichiamo:
C + 2 H2SO4 → CO2 + 2 SO2 + 2 H2O.

Un altro esempio è la reazione HNO3 + HI → NO + I2 + H2O. Le semireazioni sono:
HNO3 → NO
HI → I2.

Dopo aver bilanciato la massa nella seconda semireazione, procediamo con le aggiunte di acqua e ioni H+, e poi con l’inserimento degli elettroni, fino a ottenere il bilanciamento finale.

Nella sezione successiva, vedremo come affrontare esercizi di bilanciamento delle redox in forma ionica.

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Il campo di concentramento in Corea del Sud

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La Brothers Home, conosciuta anche come Brothers Welfare Center, situata a Busan in del , è divenuta tristemente nota per gravi violazioni dei diritti umani tra il 1975 e il 1987. Alcuni sostengono che gli eventi accaduti in questo luogo abbiano ispirato la serie TV Squid Game, anche se il creatore Hwang Dong-hyuk non ha confermato tali affermazioni. Originariamente istituito come orfanotrofio nel 1960 e poi convertito in centro assistenziale, il centro mirava, almeno ufficialmente, a reintegrare senzatetto e vagabondi nella società. Tuttavia, diversi fattori indicano che la realtà era ben diversa: delle circa 40.000 persone reclusi in questa , meno del 10% erano realmente senzatetto. Molte vittime, infatti, comprendevano disabili, venditori ambulanti, prostitute e bambini rapiti, utilizzati per aumentare i numeri di reclusi e di conseguenza le sovvenzioni statali destinate al centro, che arricchivano il direttore Park In-geun. È fondamentale esaminare la situazione a partire dal 1975.

Le case assistenziali

Nel 1975, il presidente della Corea del Sud Park Chung Hee attuò un sistema di 36 case assistenziali sparse in tutto il territorio nazionale. Il progetto era destinato a ospitare gli “indesiderati”, principalmente vagabondi e senzatetto, con l’intento di rieducarli e reintegrarli nella società. L’urgente bisogno di “ripulire” il Paese aumentò in vista delle Olimpiadi di Seul del 1988, facendo crescere il numero di reclusi da 8.600 nel 1981 a 16.000 nel 1986. Tra tutti i centri, la Brothers Home di Busan si distinse per le atrocità commesse al suo interno.

La nascita della Brothers Home

Inizialmente orfanotrofio nel 1960, la Brothers Home fu riconvertita nel 1975 in centro assistenziale, diventando il più grande della rete. Sotto la direzione di Park In-geun, un ex-militare, la struttura avrebbe dovuto garantire un’adeguata rieducazione ai detenuti, ma le condizioni di vita rivelarono un’altra realtà. Durante il suo operato, la Brothers Home ospitò circa 40.000 persone, raggiungendo punte di 4.000 detenuti contemporaneamente, nonostante una capienza ufficiale di 500. Il centro riceveva significative sovvenzioni statali, legate al numero di persone detenute, comportando un interesse economico per il diretto gestore. Si stima che il direttore accumulò un patrimonio equivalente a oltre 90 milioni di euro attuali.

Di conseguenza, meno del 10% dei reclusi erano realmente senzatetto, mentre la maggior parte erano oppositori politici e individui vulnerabili, come bambini in attesa dell’autobus, disabili, venditori ambulanti e prostitute.

La vita all’interno dell’Auschwitz coreana

Tra le severe misure adottate, il direttore scelse di non impiegare personale qualificato, ma promosse a guardie alcuni dei prigionieri più violenti. Questi detenuti formarono gruppi organizzati in modo para-militare, instaurando un regime di repressione dove le punizioni corporali e gli abusi erano la norma. Le violenze erano all’ordine del giorno e le guardie si divertivano a far partecipare i detenuti a giochi violenti, somigliando a una forma di intrattenimento macabro, mentre i prigionieri indossavano tute blu simili a quelle presenti nella serie TV. Anche se dal punto di vista del regista non c’è stata mai una conferma dell’ispirazione a questa struttura, permangono similitudini inquietanti.

In aggiunta, i detenuti erano costretti a lavori forzati, tra cui agricoltura, lavori edili e produzione di beni commerciali, senza ricevere alcun compenso, mentre gli introiti venivano incamerati dal direttore. Sono state ufficialmente confermate 657 vittime, ma si stima che il numero reale possa essere molto più elevato.

La verità sui crimini commessi nella Brothers Home emerse lentamente. I familiari dei prigionieri, rendendosi conto di dove si trovassero i loro cari, iniziarono a denunciare i fatti, conducendo all’arresto di Park In-geun nel 1987 per appropriazione indebita e detenzione illegale. Tuttavia, nonostante i gravi reati, la condanna fu esemplare: solo due anni e mezzo di carcere per appropriazione indebita, senza alcuna punizione per le violazioni dei diritti umani. Le proteste dei sopravvissuti si intensificarono, ma furono represse dalle autorità, fino a quando nel 2012 la situazione si evolse, grazie alla determinazione di un sopravvissuto e a un’università che studiò a fondo la vicenda, portando a una compensazione per le vittime e le loro famiglie. Questa rappresenta una delle pagine più buie della storia sudcoreana.

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La navicella di Starship di SpaceX esplode e si incendia in volo: cosa è successo

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Credit: SpaceX

Il settimo test di volo integrato del razzo di SpaceX ha subito un parziale fallimento. La , nota come Ship, è esplosa in volo il 16 gennaio 2025, a 8 minuti e 26 secondi dopo il decollo, avvenuto alle 23:37 ora italiana. Starship, che è il razzo più grande e potente mai costruito, misura 123 metri di altezza e ha come obiettivo il ritorno degli esseri umani sulla Luna e la futura esplorazione di Marte. Il test intendeva replicare le operazioni svolte nei precedenti tentativi, inclusa la cattura automatica del booster, riuscita perfettamente, e il rilascio di un carico di finti satelliti Starlink, ma ha presentato problemi imprevisti.

Il booster è stato catturato con circa 7 minuti dopo il lancio, ma a T+8:26 minuti il contatto con Ship è andato perso. Le prime ricostruzioni di SpaceX indicano che una perdita di propellente ha portato allo spegnimento progressivo dei motori, seguita dalla disintegrazione della navicella, esplosa a circa 150 km di quota sopra i Caraibi. I detriti sono successivamente rientrati e bruciati nell’atmosfera sopra le Piccole Antille. SpaceX sta collaborando con la FAA per determinare le cause del fallimento, assicurando che questo evento non comporterà ritardi nei programmi di test della Starship previsti per il 2025.

Obiettivi del settimo test

Il settimo test di volo integrato di Starship mirava a replicate le operazioni precedentemente riuscite, con un’innovazione. Per la prima volta, era previsto il rilascio di un carico dimostrativo, composto da 10 finti satelliti simili ai modelli Starlink, circa 17 minuti dopo il lancio. I satelliti avrebbero dovuto rientrare nell’Oceano Indiano al largo dell’Australia circa 66 minuti dopo il decollo. Durante la preparazione, sono state apportate diverse modifiche al razzo, portando a considerarlo una versione 2.0.

Dettagli sul lancio dello Starship

Il lancio di Starship ha avuto luogo il 16 gennaio alle 23:37 ora italiana dalla Starbase di Boca Chica, in Texas. I primi stadi del volo si sono svolti come previsto, con l’accensione di tutti e 33 i motori Raptor e una manovra di hot staging eseguita con successo. Il booster Superheavy è rientrato autonomamente, venendo catturato dalle braccia robotiche della torre Mechazilla, ripetendo una manovra già realizzata in precedenti test. Tuttavia, a 8 minuti e 26 secondi dal decollo, il segnale con Ship è andato perso e, successivamente, sono emersi video che mostrano la disintegrazione della navicella a 150 km di altezza.

I video provenienti dai social hanno mostrato aerei di linea nelle vicinanze della zona di rientro dei detriti. Tuttavia, la FAA aveva già informato le compagnie aeree riguardo al lancio e ha emesso un allerta di emergenza durante la disintegrazione della navicella.

Cause dell’esplosione della Ship

Dai primi risultati delle di SpaceX, la disintegrazione della navicella Ship sembra essere stata causata da una perdita di propellente nella cavità sopra il motore. Questa perdita ha superato la capacità delle valvole di sfogo, causando un’esplosione. Durante la diretta del test, erano già emerse fiammelle da una cerniera dei flap posteriori, seguite dallo spegnimento dei motori e dalla perdita di contatto. SpaceX ha annunciato che implementerà un nuovo sistema anti-incendio e valvole con capacità di sfogo migliorata, parte di un programma di test progettato per garantire la sicurezza delle future missioni.

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Utilizzo degli oli minerali

Gli oli minerali, noti anche come MOH (Mineral Oil Hydrocarbons), sono composti principalmente da miscele di idrocarburi, caratterizzate da una lunghezza di catena che varia da 15 a 50 atomi di carbonio. Queste miscele comprendono alcani lineari, alcani ramificati, cicloalcani, specie alicicliche e olefiniche, oltre a componenti aromatici e policiclici, che presentano diverse proprietà fisiche e chimiche.

Derivati come sottoprodotto della distillazione del petrolio greggio, gli oli minerali prodotti attraverso vari stadi di raffinazione, tra cui estrazione, cristallizzazione e trattamento acido. Questi oli trovano il loro principale impiego come lubrificanti in macchinari e motori, grazie al loro basso costo e alle buone prestazioni a freddo. Tuttavia, la loro applicabilità risulta limitata in contesti ad alta temperatura, a causa di un punto di infiammabilità inferiore rispetto agli oli vegetali.

Distillazione degli oli minerali

Il processo di ottenimento degli oli minerali inizia con la dissalazione del petrolio greggio, successivamente inviato in una fornace per riscaldamento e vaporizzazione. Questo materiale viene quindi trasferito a una colonna di distillazione, dove avviene la separazione in base alla temperatura di ebollizione delle miscele presenti. Innovazioni nel della distillazione risalgono a sistemi sviluppati all’inizio del XIX secolo, quando furono poste le basi delle tecniche moderne. La distillazione è essenziale per separare i vari componenti del petrolio, consentendo l’estrazione degli oli minerali, che si ottengono principalmente dalle frazioni contenenti da 15 a 50 atomi di carbonio.

Processi di raffinazione

Il processo di raffinazione degli oli minerali si articola in diverse fasi, partendo dalla distillazione atmosferica per separare carburanti diversi. Segue la distillazione sotto vuoto, fondamentale per ottenere frazioni più pesanti e stabilizzare le caratteristiche di viscosità. Ulteriori passaggi riguardano la rimozione di impurità chimiche indesiderate e la miscelazione finale degli oli, per ottenere una variabilità nelle proprietà necessarie a soddisfare le specifiche richieste industriali.

Classificazione e applicazioni

Gli oli minerali possono essere distinti in base alle loro applicazioni ed al grado di viscosità. Tra i principali utilizzi figurano oli per auto, impiegati nei motori a benzina e diesel, oli industriali in vari settori produttivi e oli per trasformatori, grazie alla loro stabilità a alte temperature e proprietà di isolamento elettrico. Inoltre, gli oli minerali trovano applicazione anche in ambito cosmetico, offrendo effetti emollienti e idratanti, e in campo farmaceutico, dove sono usati come ingredienti attivi in prodotti specifici e lassativi.

La versatilità degli oli minerali, insieme alle loro performanti caratteristiche, continua a garantire il loro impiego in differenti settori industriali e commerciali, mantenendo un ruolo fondamentale nelle applicazioni moderne.

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Modificazione delle superfici per migliorare le loro proprietà e funzionalità.

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La funzionalizzazione delle superfici rappresenta un passaggio cruciale per l’impiego di materiali in applicazioni biologiche. Per esempio, per realizzare un vettore di farmaci specifico, è fondamentale apportare modifiche alla superficie del vettore mediante l’aggiunta di molecole recettrici mirate alle cellule.

Processo di funzionalizzazione

– La funzionalizzazione delle superfici comporta l’aggiunta di nuove capacità e proprietà a un materiale attraverso la modifica della sua chimica superficiale. Tale processo è essenziale in diversi ambiti, dalla chimica alla dei materiali, fino all’ingegneria biologica e alla nanotecnologia.

– Attraverso questa tecnica, le superfici possono essere modificate per migliorare la reattività verso specifiche specie chimiche e, di conseguenza, per ottenere prestazioni superiori in applicazioni quali catalisi e celle fotovoltaiche. Inoltre, la funzionalizzazione permette di conferire proprietà luminescenti a nanostrutture a base di carbonio.

Materiali e applicazioni

In una vasta gamma di materiali, le procedure di modificazione superficiale possono cambiare le caratteristiche meccaniche, fisico-chimiche ed estetiche. Questa versatilità trova applicazione in vari settori, tra cui medicina, elettronica e trasporti.

Un’ulteriore applicazione è la creazione di materiali con maggiore biocompatibilità e resistenza alla corrosione. Le tecniche per ottenere la funzionalizzazione variano da metodologie chimiche a fisiche, e possono includere l’uso di o pressioni, nonché reazioni chimiche come ossidazione o riduzione.

La modifica delle superfici può anche avvenire attraverso l’impiego di agenti biologici, come enzimi o cellule, permettendo l’applicazione di questa tecnologia in ambiti innovativi come la coltura cellulare.

Funzionalizzazione dei materiali intelligenti

I materiali intelligenti hanno la capacità di modificarsi in risposta a cambiamenti ambientali, potenziando drasticamente le applicazioni nei campi delle scienze dei materiali e della biomedicina. Tali materiali possono variare da nanoparticelle a base di polimeri a metalli e ossidi, sfruttando le loro proprietà per adattarsi a diversi stimoli ambientali.

Il potenziale dei nanomateriali deriva dalla possibilità di modificarne le superfici, migliorandone così le caratteristiche iniziali o progettandone di nuove. La personalizzazione delle nanoparticelle attraverso la funzionalizzazione consente loro di rispondere a specifiche esigenze applicative, assicurando al contempo compatibilità e resistenza nel lungo termine.

Infine, i nanotubi di carbonio, grazie alla loro eccellente area superficiale e proprietà meccaniche, rappresentano un esempio di funzionalizzazione che facilita l’impiego in svariati settori, dall’imaging biomedico alla decontaminazione delle acque. La capacità di questi materiali di interagire efficacemente con altre molecole li rende ideali per il design e la produzione di nuovi nanocatalizzatori e biosensori.

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Cadmio selenide

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Il seleniuro di cadmio (CdS) è un importante semiconduttore che rientra nella categoria dei semiconduttori II-VI, costituiti da metalli del gruppo II B o 12 e non metalli appartenenti al gruppo 16, noto come gruppo dei calcogeni. Questi materiali sono per lo più formati da elementi come cadmio, zinco e mercurio per i metalli, e zolfo, selenio e tellurio per i non metalli.

Caratteristiche strutturali del seleniuro di cadmio

Il seleniuro di cadmio è un calcogenuro binario che presenta sia legami di tipo ionico sia covalente. Le sue strutture cristalline principali includono la wurtzite di tipo esagonale, la sfalerite (o blenda di zinco) e la salgemma cubica, con la wurtzite che è quella maggiormente utilizzata. Riscaldando la sfalerite, essa si trasforma in wurtzite, dato che la è instabile, in un intervallo di temperatura compreso tra 130 e 700 °C. La forma cristallina cubica è osservabile solo sotto elevate pressioni.

In natura, il seleniuro di cadmio è presente nel raro minerale cadmoselite, scoperto per la prima volta nel 1957 in Tuva, una repubblica della Federazione Russa situata nella parte centro-meridionale della Siberia, al confine con la Mongolia.

Proprietà fisiche e ottiche

Questo composto si presenta in tonalità che variano dal nero al rosso-nero e possiede un’alta sensibilità alla luce nella gamma visibile, mostrando anche un elevato grado di luminescenza. La sua naturale fotosensibilità lo rende adatto all’uso in dispositivi optoelettronici, come i transistor a film sottili, i fotoconduttori e i rivelatori di raggi gamma.

A temperatura ambiente, il seleniuro di cadmio presenta un band gap diretto di .74 eV e un band gap indiretto compreso tra 1.23 e 1.25 eV, rendendolo altamente efficace nell’effetto fotoelettrico. Non è solubile in acqua e possiede una densità di 5.81 g/cm³, una temperatura di fusione superiore a 1350 °C, una resistività elettrica che varia fra 105 e 106 Ω-cm, mobilità degli elettroni tra 450 e 900 cm²/V·s e un indice di rifrazione di 2.87 a 900 nm.

La dimensione delle nanoparticelle di seleniuro di cadmio influisce sulle loro proprietà, consentendo loro di esibire comportamenti unici dovuti all’effetto di confinamento quantistico, il quale altera le caratteristiche luminose in base alla dimensione delle particelle.

Metodi di sintesi delle nanoparticelle

Nel 1879, il chimico francese MJ Margottet scoprì il modo di preparare il seleniuro di cadmio, riscaldando cadmio elementare in presenza di seleniuro di idrogeno (H2Se) e sublimando il composto in un’atmosfera di idrogeno. Oggi, i punti quantici di seleniuro di cadmio, le nanostrutture semiconduttrici, sintetizzati prevalentemente attraverso due approcci: “top-down” e “bottom-up”. Nel metodo top-down, il materiale viene ridotto in dimensioni attraverso vari metodi meccanici, chimici e fisici, mentre nell’approccio bottom-up, i precursori molecolari vengono assemblati per formare le nanoparticelle tramite processi di precipitazione e di fase vapore.

Ulteriori tecniche di sintesi prevedono l’uso di metalli di partenza come cloruro di cadmio e ossido di selenio in combinazione con agenti riducenti. Le procedure biogeniche per la sintesi mostrano una crescente attenzione per il loro impatto ambientale, utilizzando organismi come funghi e batteri. In un esperimento, il Saccharomyces cerevisiae ha fornito un metodo per ottenere punti quantici utilizzando selenito di sodio e cloruro di cadmio come precursori.

Applicazioni pratiche

I punti quantici di seleniuro di cadmio sono ampiamente utilizzati nel settore biomedico per la diagnosi di malattie, imaging intracellulare e nel tracciamento di singole proteine, nonché nella somministrazione di farmaci. Inoltre, il seleniuro di cadmio funge da catalizzatore ed è impiegato in diodi a emissione di luce, celle solari e fotoresistori. Grazie alla sua trasparenza alle radiazioni infrarosse, può essere usato nella produzione di finestre atmosferiche a infrarossi, riducendo l’assorbimento di radiazioni termiche da parte dell’atmosfera terrestre.

Le nanoparticelle di seleniuro di cadmio trovano applicazione anche nei sensori chimici per il monitoraggio della qualità dell’aria e nella rilevazione di gas inquinanti. Nel dei dispositivi fotonici, i punti quantici CdSe sono impiegati come emettitori nei display a colori e per amplificare segnali ottici in fibra ottica, permettendo di evitare la conversione in segnali elettrici. Inoltre, vengono utilizzati in sensori ottici di temperatura, monitorando le variazioni di temperatura tanto nell’aria quanto in liquidi e solidi, oltre ad essere parte di filtri per l’elaborazione veloce dei segnali.

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Nitreni: Un’analisi approfondita delle loro caratteristiche e applicazioni.

I nitreni sono composti altamente reattivi di natura molecolare, privi di carica e carenti di elettroni, caratterizzati da un atomo di azoto monovalente circondato da un sestetto di elettroni. Questa configurazione conferisce loro un ottetto incompleto, causando una breve durata di vita, tipicamente dell’ordine dei nanosecondi. Gli nitreni possono legarsi a gruppi alchilici, arilici o acilici.

Questi composti azotati rappresentano analoghi dei carbeni, con i quali condividono una reattività alta, sebbene le loro chimiche presentino differenze significative. I nitreni esistono in due stati: singoletto e tripletto.

Stato di singoletto e di tripletto

Nello stato singoletto, l’azoto ibridato sp2 consente a due elettroni di formare un legame, mentre un orbitale non legante contiene una coppia di elettroni a spin opposto. Nel tripletto, l’azoto è ibridato sp e la molecola diventa lineare, presentando due elettroni a spin parallelo. La differente configurazione energetica tra i due stati rende lo stato tripletto più stabile rispetto al singoletto.

Sintesi di nitreni

I nitreni, noti per la loro reattività, solitamente generati in situ piuttosto che isolati. L’ottenimento di nitreni avviene attraverso la decomposizione di precursori come azidi, isocianati e sulfonilimmine. Condizioni termiche o fotochimiche possono facilitare la formazione di questa specie reattiva tramite la scissione di legami e trasferimenti di elettroni, specialmente da azidi.

Reazioni

Grazie alla loro reattività, i nitreni fungono da intermedi nella chimica organica, potendo inserirsi nei legami C-H e N-H, formare aziridine e partecipare a reazioni di cicloaddizione e riarrangiamento. Le loro reazioni sono essenziali per la sintesi di molte molecole biologicamente attive e farmaceutiche. In particolare, la reazione di isomerizzazione degli alchilnitreni porta alla formazione di ammine primarie attraverso reazioni di estrazione di idrogeno intermolecolare. Inoltre, i nitreni possono generare composti eterociclici come l’aziridina, attraverso l’inserzione in doppi legami carbonio-carbonio.

I nitreni si stanno rivelando fondamentali per lo sviluppo di metodologie di sintesi efficienti, ottimizzando la formazione di legami C-N. Approcci innovativi, come l’uso della fotocatalisi per generare nitreni in condizioni ambientali, promettono di migliorare la sostenibilità dei processi chimici coinvolgendo nitreni in nuove reazioni di amminazione.

Fonte

Austenite: una forma di ferro a struttura cristallina che si forma a temperature elevate nel processo di lavorazione.

L’austenite rappresenta una soluzione solida di carbonio nel ferro γ, formata sotto specifiche condizioni termiche. Questo stato è stabile in un intervallo di temperature che va da 723 °C a 1495 °C. Negli acciai austenitici, la presenza di nichel contribuisce a stabilizzare la anche a temperatura ambiente.

Origini del termine “austenite”

Il termine “austenite” è stato scelto in onore del metallurgista inglese Sir William Chandler Roberts-Austen, noto per i suoi studi sulle caratteristiche fisiche dei metalli e delle loro leghe. Con questo termine si fa riferimento al ferro che assume una configurazione cristallina cubica a facce centrate, che si verifica nel sistema Fe–C superando la temperatura eutettoide di 723 °C.

La sorprendente versatilità del ferro si traduce nella sua capacità di esistere in diverse forme allotropiche, tutte chimicamente identiche, ma con differenti proprietà fisiche. A temperatura ambiente, il ferro presenta una struttura cristallina cubica a corpo centrato. Tuttavia, al di sopra dei 910 °C, assume una forma cubica a facce centrate, nota come ferro gamma (γ-Fe) o austenite.

Diagrammi di fase e trattamenti termici

Nel processo di trattamento termico degli acciai, viene utilizzato il diagramma di fase di equilibrio ferro-cementite. Questo diagramma illustra le fasi di equilibrio delle leghe ferro-carbonio a differenti temperature e concentrazioni, evidenziando le trasformazioni che avvengono durante il raffreddamento e il riscaldamento.

Nel diagramma di fase, spesso identificato come Fe-Fe3C, sono visibili segmenti orizzontali che rappresentano le diverse fasi nel cambiamento della microstruttura ferro-carbonio. Un punto cruciale in questo contesto è la temperatura di 723 °C, considerata temperatura critica: a questa temperatura, l’austenite presente nel ferro si trasforma in perlite eutettoide, aumentando la quantità di ferrite nella sua microstruttura.

diagramma ferro carboniodiagramma ferro carbonio

Le fasi che emergono nel diagramma di fase ferro-carbonio comprendono:

  • Ferrite: una soluzione solida interstiziale di carbonio nella forma di ferro α, con struttura cristallina cubica a corpo centrato. Essa rimane stabile fino a 911 °C e presenta una massima solubilità di carbonio dello 0.02% in peso a 727 °C.
  • Austenite: una soluzione solida interstiziale di carbonio in γ-Fe, avente una struttura cristallina CFC e una stabilità compresa tra 911 °C e 1392 °C. La massima solubilità di carbonio si attesta al 2.% in peso a 1146 °C.
  • δ-ferrite: soluzione solida di carbonio in δ-Fe, stabile tra 1392 °C e 1536 °C, con una massima solubilità del carbonio dello 0.09% in peso a 1495 °C.

La formazione della δ-ferrite ad alta temperatura dall’austenite durante il riscaldamento è un aspetto di particolare rilievo, soprattutto nei processi di saldatura degli acciai ad alta lega, sebbene venga spesso trascurato negli studi sulla trasformazione di fase.

cementitecementite

Cementite: questo composto intermetallico interstiziale presenta un contenuto fisso di carbonio del 6.67% in peso, con formula Fe3C. La cementite, caratterizzata da elevata durezza e fragilità, ha un ruolo fondamentale nella definizione delle proprietà degli acciai e delle ghise.

Essa si distingue per la sua struttura ortorombica complessa e presenta un’elevata resistenza alla compressione, benché la sua resistenza alla trazione sia molto bassa. Con il , la cementite può decomporsi lentamente in α-Fe e grafite se sottoposta a temperature comprese tra 650 e 700 °C.

Ledeburite: si tratta di una miscela eutettica di austenite e cementite. Questa fase viene formata in equilibrio metastabile, mediante un raffreddamento rapido durante la reazione eutettica in leghe di ferro-carbonio che contengono una percentuale di carbonio compresa tra il 2.14% e il 6.67%.

Perlite: costituisce una miscela eutettoide di ferrite e cementite, avente uno 0.8% in peso di carbonio. Si forma a 727 °C e presenta un aspetto lamellare finissimo. Questo costituente è riconosciuto in metallografia e contribuisce significativamente alla resistenza di una vasta gamma di acciai, rendendo la perlite un termine comunemente utilizzato per definirne le strutture.

Caratteristiche e stabilità dell’austenite

L’austenite si distingue per la sua morbidezza, duttilità, malleabilità, tenacità e assenza di magnetismo. Sebbene sia stabile sopra i 727 °C, può essere ottenuta anche a temperatura ambiente attraverso l’aggiunta di elementi come nichel o manganese negli acciai. Nonostante la sua stabilità, l’austenite non esiste al di sotto dei 723 °C, momento in cui la sua concentrazione massima di carbonio è dello 0.83%.

comportamento dell'austenitecomportamento dell’austenite

Il vasto di fase dell’austenite rispetto alla ferrite evidenzia la sua elevata solubilità per il carbonio, superiore al 2% in peso a 1147 °C. Questa caratteristica risulta essenziale nel trattamento termico, dove il processo di soluzione a temperature elevate, seguito da un rapido raffreddamento, consente la formazione di una soluzione solida sovrasatura di carbonio.

Quando il contenuto di carbonio nell’ supera la solubilità della ferrite, la cementite e il carburo di ferro si formano durante il raffreddamento. La martensite si sviluppa quando l’austenite è sottoposta a un rapido raffreddamento. Poiché l’austenite è instabile sotto i 723 °C, si decompone in una miscela di α-Fe e cementite. Durante la tempra, la reazione di decomposizione eutettoide è soppressa, dando luogo alla trasformazione dell’austenite cubica sottoraffreddata in martensite tetragonale metastabile.

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Semiconduttori a tipo estrinseco

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I semiconduttori estrinseci, conosciuti anche come semiconduttori dopati, sono materiali semiconduttori che opportunamente trattati con impurità per migliorare la loro conduttività elettrica. Questa necessità di creare semiconduttori estrinseci deriva dal fatto che, nella maggior parte dei semiconduttori intrinseci a temperatura ambiente, il numero di portatori di carica eccitati termicamente risulta molto limitato.

Comportamento dei semiconduttori

La concentrazione di portatori di carica in semiconduttori intrinseci può essere di ordini di grandezza inferiori rispetto a quella riscontrata in conduttori metallici. Ad esempio, nel silicio a 298 K si osserva una densità di elettroni eccitati termicamente pari a .5 · 1010 cm-3, mentre un metallo tipico può presentarne circa 1028 elettroni cm-3.

Quando i semiconduttori, come il silicio, sono estremamente puri, possiedono un’elevata resistività elettrica, a fronte di una bassa conduttività. Per affrontare questo problema, è utile drogare un semiconduttore con impurità, rendendolo quindi estrinseco. Sorprendentemente, anche piccole percentuali di impurità, come lo 0.0001%, possono alterare notevolmente la conduttività di un semiconduttore. Si distinguono così i semiconduttori estrinseci di tipo n, che hanno elettroni liberi, e di tipo p, nei quali predominano lacune di elettroni.

Le origini dei semiconduttori estrinseci

I semiconduttori estrinseci devono gran parte della loro comprensione e sviluppo agli studi condotti nel 1947 da John Bardeen, Walter H. Brattain e William B. Shockley, i quali sono stati insigniti del Premio Nobel per la fisica nel 1956 per il loro su questi materiali.

Un semiconduttore di tipo n viene creato drogando un materiale semiconduttore puro, come silicio o germanio, con un elemento donatore di elettroni appartenente al gruppo 15, come il fosforo o l’arsenico. Tali elementi contengono cinque elettroni di valenza e, quando si integrano nella rete cristallina, formano quattro legami covalenti con il silicio o il germanio, lasciando un elettrone libero.

Questo elettrone diventa mobile e quindi i semiconduttori di tipo n, caratterizzati da una maggiore disponibilità di elettroni liberi rispetto alle lacune, presentano un band gap posizionato appena sotto la banda di conduzione. Essendo gli elettroni i portatori di carica, questo materiale viene definito semiconduttore di tipo negativo.

Al contrario, i semiconduttori di tipo p si ottengono drogando un semiconduttore intrinseco con impurità del gruppo 13, come il boro, che presenta tre elettroni di valenza. In questo caso, il doping crea delle lacune poiché manca un elettrone, che viene rapidamente sostituito da elettroni circostanti, portando alla formazione di portatori di carica positivi. Questo fenomeno genera un eccesso di lacune, mentre il livello Fermi si sposta verso il basso, dimostrando la predominanza della conduttività positiva in questi materiali.

Esistono vari metodi utilizzati per il doping dei semiconduttori intrinseci. Tra questi, l’impiantazione ionica, la diffusione e la crescita epitassiale, ciascuno con vantaggi e limitazioni proprie. L’impiantazione ionica utilizza ioni ad alta energia per creare un profondità controllata di doping, mentre la diffusione prevede il riscaldamento del semiconduttore in presenza di atomi dopanti. Infine, la crescita epitassiale consente di depositare film sottili di materiale dopato su substrati, garantendo un elevato controllo sulla distribuzione del dopante.

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