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Polimeri reattivi agli stimoli elettrici.

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I polimeri elettroattivi (EAP) rappresentano una categoria innovativa di polimeri conduttivi che modificano dimensione e forma in risposta a un campo elettrico. Questi materiali sono oggetto di ricerca per applicazioni avanzate in dispositivi intelligenti, tra cui robotica, attuatori morbidi, muscoli artificiali e sensori elettromeccanici.

Caratteristiche e vantaggi dei polimeri elettroattivi

I polimeri elettroattivi rientrano nella categoria dei materiali intelligenti, caratterizzati da leggerezza, flessibilità e un basso valore del modulo di Young. Grazie a queste proprietà, riescono a realizzare spostamenti meccanici elettro-assistiti, mostrando deformazioni strutturali quali rigonfiamenti, contrazioni e piegamenti in risposta agli stimoli elettrici applicati.

Nel contesto della biomimetica, i ricercatori hanno avviato studi per sfruttare i polimeri elettroattivi al fine di replicare i movimenti di animali, insetti e persino strutture del corpo umano. Questa ricerca ha radici storiche che risalgono al 1880, quando il fisico tedesco Wilhelm Röntgen scoprì un cambiamento nella lunghezza di una striscia di gomma naturale, osservando come essa si deformasse al passaggio di una scarica elettrica.

Classificazione e funzionamento degli EAP

I polimeri elettroattivi si distinguono in due categorie principali in base al loro meccanismo di attivazione: ionici (IEAP) ed elettronici. Gli EAP ionici, come i polimeri conduttivi e i compositi polimero-metallo, e quelli elettronici, che comprendono elastomeri dielettrici, polimeri elettrostrittivi, polimeri a cristalli liquidi e polimeri piezoelettrici sono attivati attraverso la applicazione di un potenziale elettrico.

È importante notare la differenza nel trasferimento di energia tra queste due classi. Mentre gli EAP elettronici utilizzano la corrente elettrica, quelli ionici si attivano mediante il movimento di ioni. Questi meccanismi di attivazione comportano vantaggi e svantaggi, come tensioni operative diverse e una forza di attuazione variabile. Gli EAP ionici, per esempio, attivano il loro meccanismo a tensioni basse, generalmente inferiori a 10 V, mentre gli EAP elettronici necessitano di una tensione significativamente più alta, intorno ai 150 MV/m.

Il funzionamento dei polimeri elettroattivi ionici avviene attraverso la migrazione di ioni o solventi, mentre per quelli elettronici l’attivazione è determinata dalle forze di Coulomb. I polimeri elettroattivi ionici subiscono rigonfiamenti o contrazioni quando gli ioni migrano attraverso le loro strutture; viceversa, gli EAP elettronici cambiano volume sotto l’azione di un campo elettrico applicato.

Dettagli sui polimeri elettroattivi ionici e i loro utilizzatori

I polimeri elettroattivi ionici attivano il loro meccanismo attraverso il trasferimento di energia degli ioni, i quali si muovono da un reticolo cristallino a un altro, generando un gradiente di pressione che provoca una deformazione meccanica. Attraverso elettrodi applicati sulle superfici della membrana polimerica, si riesce a creare la polarizzazione necessaria per il movimento degli ioni.

La suddivisione dei polimeri elettroattivi ionici può avvenire in base alla composizione del materiale della membrana. Questi polimeri possono includere polimeri conduttivi, gel polimerici ionici, fluidi elettrici e compositi ionici polimero-metallo (IPMC). Il loro utilizzo nei dispositivi IPMC presenta vantaggi come bassa tensione operativa, flessibilità, movimento bidirezionale e un di risposta rapido. La deformazione degli IPMC si avvicina a quella dei muscoli biologici, superando anche alcune applicazioni di attuatori per muscoli artificiali.

Inoltre, i materiali come il Nafion, un fluoropolimero-copolimero, sono spesso impiegati come membrane ioniche e rivestiti con metalli nobili per garantire un funzionamento ottimale.

Polimeri elettroattivi elettronici

I polimeri elettroattivi elettronici operano attraverso l’energia fornita da una corrente elettrica. Questa corrente genera un campo elettrico all’interno della membrana polimerica, consentendo la compressione dell’elastomero e modificandone quindi le dimensioni. Questo processo meccanico si inverte con la cessazione dello stimolo elettrico, permettendo così applicazioni efficienti in diversi attuatori.

Tra i materiali comunemente utilizzati per la realizzazione di polimeri elettroattivi vi è il polivinilidenfluoruro (PVDF), noto per la capacità piezoelettrica, che trova impiego in applicazioni biomediche, e il polipirrolo, caratterizzato da elevata conduttività ma che presenta limiti in termini di proprietà meccaniche.

La polianilina, un altro polimero conduttivo, è largamente impiegata per la creazione di attuatori e dispositivi di elettronica morbida, grazie alla sua facile sintesi e al costo contenuto.

Ricorrere a polimeri come il PVC, apprezzato per la sua versatilità, oppure un polisaccaride naturale come la cellulosa, ha aperto nuovi orizzonti nella progettazione di dispositivi elettroattivi altamente performanti e biocompatibili.

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Membrane Nafion: panoramica sulle caratteristiche e applicazioni delle membrane polimeriche protoniche.

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Il Nafion è un copolimero fluoropolimerico caratterizzato dalla presenza di tetrafluoroetilene solfonato. Questa sostanza integra una in politetrafluoroetilene (PTFE) con catene laterali lunghe di perfluoroviniletere, ricche di gruppi terminali con acido solfonico, conferendole notevoli proprietà conduttive.

Caratteristiche del Nafion

La stabilità termica e chimica del Nafion è garantita dalla struttura in politetrafluoroetilene, che possiede una natura idrofobica. Le catene laterali, al contrario, sono idrofile e svolgono un ruolo cruciale come gruppi conduttivi protonici. Questo equilibrio strutturale ha reso il Nafion uno dei materiali più impiegati per la realizzazione di membrane a scambio protonico, capaci di permettere un trasporto selettivo dei protoni.

Scoperto alla fine degli anni sessanta del secolo scorso da Walther Grot, appartenente alla DuPont, il Nafion rientra nella categoria degli ionomeri. Questi polimeri sono caratterizzati dalla presenza di gruppi ionici, che vengono neutralizzati da ioni mobili di carica opposta e sono legati covalentemente alla loro struttura.

Applicazioni delle membrane di Nafion

Le membrane di Nafion sono utilizzate in celle a combustibile chimiche come elettroliti solidi, fornendo un trasporto selettivo dei cationi e fungendo da separatori tra anodo e catodo. Nelle applicazioni di celle a combustibile, questa membrana elettrolitica polimerica è inserita tra gli elettrodi, garantendo un’efficace conduzione protonica.

Durante la reazione elettrochimica, si generano protoni ed elettroni attraverso la semireazione di ossidazione all’anodo, mentre al catodo si combina ossigeno e protoni per formare acqua. La membrana a scambio protonico è essenziale per condurre i protoni dall’anodo al catodo. Grazie alla sua stabilità chimica e termica anche in ambienti ostili, la membrana Nafion permette di mantenere le proprietà desiderate anche in condizioni di elevata temperatura e ossidazione.

Inoltre, la conduttività protonica della membrana Nafion è di 0,083 S cm− a 23 °C e un’umidità relativa del 50%, ma può essere incrementata con un aumento della temperatura. La durata del ciclo delle membrane Nafion si presenta relativamente lunga rispetto ad altre membrane solfoniche non perfluorurate, garantendo così un buon rendimento in vari contesti.

Nonostante i vantaggi, il Nafion presenta anche svantaggi significativi, come costi di produzione elevati e una diminuzione della conduttività a bassa umidità. Per affrontare queste problematiche, sono state sviluppate varianti della membrana attraverso metodi di modifica come la creazione di membrane composite o la miscelazione diretta con altri polimeri. Il primo approccio si è rivelato più efficace, grazie alla semplice preparazione e al miglioramento delle prestazioni delle celle a combustibile.

Allo stesso modo, l’incorporazione di nanoparticelle di diversi materiali, come silice o ossidi metallici, nella matrice di Nafion ha portato alla creazione di nanocompositi innovativi. Queste membrane ibride non solo migliorano le proprietà meccaniche, termiche ed elettriche del materiale, ma possono anche rendere più economica la produzione, riducendo la quantità di polimero necessaria.

Strategie come la regolazione delle dimensioni dei pori e l’uso di riempitivi inorganici sono state impiegate per ottimizzare la conduttività protonica e la stabilità termica delle membrane a base di Nafion. In particolare, l’ossido di grafene viene considerato un potenziale riempitivo. Sebbene non disponga di una significativa conduttività ionica, può essere trasformato in un conduttore di alta qualità attraverso l’incorporazione di molecole organiche, migliorando così notevolmente le prestazioni della membrana.

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Stigmasterolo: una sostanza lipidica con proprietà benefiche per la salute e implicazioni nella nutrizione.

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Lo stigmasterolo, assieme al sitosterolo e al campesterolo, rappresenta uno dei tre steroli vegetali più diffusi presenti nelle piante. Questi fitosteroli contengono tutti una centrale di colesterolo ma si differenziano per la loro catena laterale. In particolare, il campesterolo presenta un gruppo metilico in C24, mentre sia il sitosterolo che lo stigmasterolo vantano un gruppo etilico in quella stessa posizione.

Caratteristiche del stigmasterolo

Con una formula chimica di C29H48O, il stigmasterolo è un fitosterolo insaturo che appartiene alla categoria dei triterpeni tetraciclici. Questo sterolo vegetale comune si può trovare in numerosi alimenti naturali, tra cui oli vegetali, grassi di piante, cereali e molte verdure. Tuttavia, il corpo umano non è in grado di sintetizzare naturalmente questo composto, rendendolo accessibile solo attraverso la dieta, come nel caso di oli vegetali, latte non pastorizzato, semi, legumi e noci, che sono noti per la loro ricchezza di fitosteroli.

In aggiunta, il stigmasterolo trova applicazione in diversi processi chimici per la produzione di componenti semisintetici e sintetici per l’industria farmaceutica. Nell’Unione Europea, è identificato come additivo alimentare con il numero E499, utilizzato per aumentare i contenuti di fitosterolo negli alimenti e contribuire al miglioramento dei livelli di colesterolo LDL.

Struttura chimica e biosintesi

Il stigmasterolo si presenta come una polvere bianca e ha un odore dolce. È insolubile in acqua, mentre si dissolve bene negli alcoli. Come tutti gli steroidi, la struttura possibilità di ciclopentanoperidrofenantrene, più comunemente noto come sterano, composto da un sistema di anelli che comprende tre anelli a sei atomi di carbonio (A, B, C) e un anello D a cinque atomi di carbonio. La numerazione di questa struttura rileva un gruppo idrossilico nella posizione C-3.

Come descritto nella biosintesi, il processo nella quale le piante producono steroli è complesso e avviene in più fasi, iniziando dalla conversione dell’acetato in squalene. Questo precursore comune attraverso l’acido mevalonico dà luogo a reazioni che portano alla formazione di 2,3-ossidosqualene, il quale viene poi trasformato in cicloartenolo grazie all’enzima cicloartenolo sintasi. Questo composto è fondamentale nella biosintesi degli steroli nelle piante.

Esistono diverse isoforme di enzimi, come SMT1 e SMT2, che sono funzionali nel processo di metilazione primaria e secondaria del C24, cruciale per la formazione di stigmasterolo e sitosterolo, i quali costituiscono il prodotto finale della biosintesi fitochimica.

Ruolo nelle piante e applicazioni terapeutiche

Il stigmasterolo è presente nelle membrane plasmatiche delle cellule vegetali e gioca un ruolo significativo nella proliferazione cellulare e nell’attivazione dell’ATPasi H+ -ATPasi. Questi processi sono essenziali per creare gradienti di pH e gradienti elettrochimici attraverso le membrane cellulari. Inoltre, questo fitosterolo si accumula come risposta a vari stress ambientali, come temperature elevate o basse, siccità, attacchi di patogeni e esposizione alla luce UV. In questi casi, il stigmasterolo e altri fitosteroli aiutano a mantenere l’integrità delle membrane cellulari, contribuendo a una migliore risposta allo stress.

In medicina, lo stigmasterolo è riconosciuto per le sue numerose proprietà farmacologiche e si trova in alimenti come banane, cavoli e arachidi. È stato studiato per gli effetti antidiabetici, antiossidanti, anticancro e antinfiammatori. In particolare, ha dimostrato di migliorare la traslocazione del trasportatore del glucosio di tipo 4 (GLUT4) e di ridurre i livelli di glucosio nel sangue, suggerendo potenziali effetti positivi nella gestione del diabete.

Recenti ricerche indicano anche che lo stigmasterolo può avere un ruolo antitumorale, agendo su diversi tipi di cancro, attraverso meccanismi che aumentano la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e inibiscono l’angiogenesi tumorale. Le proprietà neuroprotettive dello stigmasterolo suggeriscono ulteriori applicazioni nelle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e la sclerosi multipla.

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Studio sugli acidi solfonici

Gli acidi solfonici, composti organici derivati dall’acido solforico con un gruppo -OH sostituito da un gruppo R, sono alla base di molte reazioni chimiche nei settori industriali. Tra i più conosciuti si trova l’acido 2-amminoetanosolfonico, noto come taurina, isolato per la prima volta nel 1827 da scienziati tedeschi. Questi acidi contengono il gruppo -SO3H, caratterizzato da uno zolfo con numero di ossidazione + 4 e geometria tetraedrica.

Caratteristiche e proprietà

Gli acidi solfonici sono acidi forti, con l’acido metansolfonico che presenta un pKa di – .9, a confronto con l’acido acetico che ha un pKa di 4.7. L’acido perfluorometansolfonico, noto anche come acido triflico, è considerato un superacido grazie al suo pKa di 8.0 × 10^14. L’acidità di questi composti è dovuta alla dispersione della carica negativa dell’anione solfonato su tre atomi di ossigeno, rendendoli molto più forti degli acidi carbossilici.

Sintesi degli acidi solfonici

Gli acidi solfonici arilici sono ottenuti tramite un processo di solfonazione, in particolare dell’anello benzenico, in presenza di acido solforico ad alte temperature. La reazione coinvolge la formazione di anidride solforica (SO3), la quale agisce come elettrofilo attaccando l’anello benzenico. Sebbene gli acidi solfonici aromatici non vengano generalmente maneggiati nella loro forma pura, vengono spesso ottenuti come sali o cloruri, come nel caso del benzensolfocloruro.

Reazioni degli acidi solfonici

Gli acidi solfonici possono reagire con alcoli formando esteri solfonati, e un esempio è la reazione tra l’acido metansolfonico e l’etanolo. Inoltre, questi acidi possono dare luogo a reazioni significative come l’idrolisi per produrre benzene, o reagire con basi per formare i rispettivi sali. Per esempio, l’acido benzensolfonico può reagire con idrossido di sodio per formare benzensolfonato di sodio.

Esempi di acidi solfonici e loro usi

L’acido metansolfonico, simile all’acido solforico ma meno ossidante, è utilizzato in processi di elettrodeposizione e nella produzione di biodiesel. L’acido benzensolfonico svolge un ruolo cruciale nella produzione di detersivi grazie alle sue proprietà tensioattive eccellenti, trovando applicazione anche nell’industria tessile.

Gli acidi solfonici sono utilizzati come ingredienti comuni in detersivi e prodotti per la pulizia, grazie alla loro capacità di modificare le proprietà chimico-fisiche delle soluzioni acquose. In ambito tessile, agiscono come agenti livellanti nel processo di tintura, garantendo una distribuzione uniforme dei coloranti. In conclusione, l’applicazione degli acidi solfonici è vasta e varia, spaziando dalla chimica industriale ai prodotti per la cura della pelle.

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Titolazioni in sistemi privi di acqua.

Le titolazioni in ambiente non acquoso, ampliate nel settore farmaceutico, rappresentano un’importante metodologia analitica. Questi processi sono impiegati quando l’analita presenta una solubilità limitata in acqua oppure quando è caratterizzato come un acido o una base molto debole.

In particolare, gli acidi e le basi molto deboli risultano inadeguati per le titolazioni in ambiente acquoso, a causa dell’interazione competitiva dell’acqua, la quale agendo come un acido o una base può rendere difficile il riconoscimento del punto finale della titolazione. Un’altra motivazione per l’utilizzo di titolazioni in ambiente non acquoso è rappresentata dalla reattività dei reagenti in presenza di acqua. Pertanto, questo approccio soddisfa la necessità di titolare acidi e basi molto deboli, con la possibilità di utilizzare solventi idonei alla solubilizzazione di composti organici.

Teoria delle titolazioni in ambiente non acquoso

Per comprendere l’importanza delle titolazioni in ambiente non acquoso nel caso di acidi o basi molto deboli, è fondamentale notare come la presenza di un solvente basico possa aumentare l’acidità degli acidi deboli. Questa dinamica è nota come effetto livellante e si osserva quando un acido acetico agisce come un acido forte in una soluzione di ammoniaca.

acidi di Bronsted e Lowryacidi di Bronsted e Lowry

Secondo la teoria di Brønsted e Lowry, un acido è un donatore di protoni e una base è un accettore di protoni, permettendo a una sostanza di manifestare il suo carattere acido o basico solo in presenza dell’altra. L’acqua funge da elettrolita anfotero, comportandosi sia come acido che come base a seconda delle condizioni.

Solventi

Nelle titolazioni in ambiente non acquoso, è possibile utilizzare vari tipi di solventi, classificati in:

–aprotici, come il cloroformio e il benzene, che non hanno cariche e sono chimicamente stabili.

–protofilici, caratterizzati dalla reattività con acidi, come l’ammoniaca e la piridina.

–protogenici, come l’acido solforico, che tendono a livellare le basi con cui interagiscono.

–anfiprotici, come gli alcoli e l’acido acetico, che presentano entrambe le proprietà.

I solventi più comuni in queste titolazioni includono l’acido acetico glaciale e il diossano, utilizzato frequentemente per titolazioni di miscele di sostanze.

Determinazione del punto finale e indicatori

La determinazione del punto finale nelle titolazioni in ambiente non acquoso avviene tipicamente mediante metodi potenziometrici o l’uso di indicatori specifici. Nelle titolazioni potenziometriche, si rileva il punto finale tramite un elettrodo a vetro e un elettrodo di riferimento, come quello a calomelano saturo.

Crystal VioletCrystal Violet

Un indicatore tipico utilizzato è il violetto di genziana, il quale cambia colore in base alla concentrazione di acido. Per altre applicazioni, si utilizzano anche indicatori come l’-naftol benzene e il blu timolo, i quali presentano variazioni di colore a specifici pH.

I titolanti impiegati in queste titolazioni comprendono l’acido perclorico in acido acetico glaciale o in diossano, il metossido di litio e il metossido di sodio.

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Sostanze conduttrici solide di elettricità.

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Gli elettroliti solidi, conosciuti anche come conduttori superionici, sono materiali caratterizzati da un’elevata conduttività ionica, capace di trasmettere sia cationi che anioni, mentre la conduttività elettronica è trascurabile. Questi materiali offrono numerosi vantaggi rispetto agli elettroliti liquidi, in particolare una maggior sicurezza, unita a una densità e potenza energetica più elevate.

Applicazioni degli elettroliti solidi

I solidi elettrolitici permettono la creazione di innovativi sistemi di accumulo energetico, tra cui pile a combustibile a ossido solido, supercondensatori e batterie. Per fabbricare uno strato elettrolitico in una batteria, si utilizzano tecniche specializzate come lo stampaggio a compressione e la sinterizzazione di materiali in polvere.

Esistono elettroliti solidi in grado di raggiungere, a temperatura ambiente, una conduttività elettrica paragonabile a quella degli elettroliti liquidi. Questa conduttività elettrica può essere ottenuta anche in una vasta gamma di temperature e condizioni ambientali, consentendo l’uso di vari ioni come specie conduttrici.

Tipologie di elettroliti solidi

Gli elettroliti solidi possono essere classificati in diverse categorie, basandosi sulla loro microstruttura e proprietà fisiche. Si possono distinguere:

  • Materiali con cristallina
  • Elettroliti amorfi di tipo vetroso
  • Elettroliti compositi
  • Elettroliti polimerici

Gli elettroliti polimerici e quelli amorfi di tipo vetroso presentano un disordine microscopico, mentre gli elettroliti compositi sono disordinati su scala macroscopica. Al contrario, i materiali con struttura cristallina mostrano un’organizzazione ordinata.

In base alla composizione chimica, gli elettroliti solidi si dividono in elettroliti solidi inorganici (SIE), il cui trasporto ionico è influenzato da vari fattori, tra cui le concentrazioni di ioni mobili e lacune presenti nella struttura cristallina. Si possono riconoscere tre categorie principali, quali:

Ossidi, come l’ossido di litio lantanio zirconio (LLZO) e lisicon (LIthium Super Ionic CONductor), che presentano formule chimiche specifiche come Li2+2xZn1−xGeO4 e il tipo NASICON, acronimo di (Na) super ionic conductor, con la formula Na1+xZr2SixP3−xO12.

Discorso simile vale per i solfuri, come il solfuro di litio germanio fosforo (LGPS), e i fosfati, come il fosfato di litio titanio (LATP).

Gli elettroliti solidi polimerici, che combinano una matrice polimerica organica e un sale di litio, presentano diverse caratteristiche vantaggiose, tra cui flessibilità meccanica e leggerezza, rendendoli pratici per la produzione e capaci di adattarsi alle variazioni di volume degli elettrodi durante cicli di carica e scarica.

Con l’emergere delle batterie agli ioni di litio allo stato solido, la ricerca si è concentrata su elettroliti solidi inorganici con elevata conduttività ionica e ampio intervallo di stabilità elettrochimica. Questi elettroliti rappresentano un notevole avanzamento, contribuendo a garantire una maggiore sicurezza e durabilità delle batterie.

Negli ultimi anni, la crescente diffusione di fonti di energia rinnovabile ha sollecitato un aumento dell’uso di dispositivi di accumulo energetico. Le batterie a ioni di litio hanno raggiunto un ampio riconoscimento grazie al pionieristico di importanti scienziati, incluso il Premio Nobel per la Chimica nel 2019. Nonostante ciò, recenti incidenti, come esplosioni legate a batterie al litio, hanno evidenziato la necessità di soluzioni più sicure.

Gli elettroliti solidi offrono vantaggi significativi rispetto a quelli liquidi, poiché non sono infiammabili. Ciò implica una durata prolungata, stabilità operativa e prestazioni superiori, anche in condizioni di elevata temperatura. Tuttavia, è fondamentale considerare che da un lato, gli elettroliti solidi potrebbero avere una conduttività ionica inferiore rispetto a quella dei liquidi, il che potrebbe influenzare negativamente la densità energetica e la potenza complessiva delle batterie.

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Propagazione degli ioni in soluzione: misurazione della capacità di conduzione elettrica.

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La conduttività ionica (σ) rappresenta la conduttività elettrica generata dal movimento degli ioni caricati. Valori elevati di conduttività ionica sono comunemente associati agli elettroliti liquidi. Tuttavia, si sono registrati alti livelli anche in elettroliti solidi, come AgI e RbAg4I5, nei quali la conduttività dello ione argento può raggiungere 3 · 10 − S/cm a temperatura ambiente, attestandosi su valori analoghi a quelli degli elettroliti liquidi.

Importanza della conduttività ionica

La conduttività ionica è considerata il parametro principale per caratterizzare un elettrolita, poiché descrive la velocità di trasporto degli ioni durante le fasi di carica e scarica di una batteria. La capacità dei materiali di condurre elettricità attraverso il movimento ionico è essenziale in applicazioni come batterie, celle a combustibile e sensori, nonché nella degradazione dei materiali stessi.

Questa conduttività, similmente a quella elettronica, si esprime attraverso la formula: σ = qnb. In essa, q rappresenta la carica del portatore, n denota la concentrazione (intesa come numero di particelle per unità di volume), mentre b corrisponde alla mobilità, che descrive la velocità di un portatore soggetto a un campo elettrico di intensità unitaria.

Elettroliti solidi e le loro caratteristiche

Gli elettroliti solidi, noti anche come conduttori superionici, sono materiali dotati di alta conduttività ionica e trascurabile conduttività elettronica. Questi presentano vantaggi significativi rispetto ai liquidi ionici, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, che è accompagnata da miglioramenti nella potenza e nella densità energetica.

elettroliti solidi

Esistono elettroliti solidi che all’ambiente di temperatura normale presentano una conduttività elettrica simile a quella degli elettroliti liquidi. Tali materiali possono raggiungere valori di conduttività elettrica variabili in un ampio range di temperature e condizioni ambientali, e sono caratterizzati dalla presenza di diversi ioni come specie conduttrici.

Gli elettroliti solidi inorganici, che mostrano alte conduttività ioniche e un’ampia stabilità elettrochimica, si sono dimostrati compatibili con gli anodi metallici al litio. Ciò li ha resi particolarmente promettenti per le batterie a ioni di litio a stato solido. Questi dispositivi offrono miglioramenti significativi in termini di sicurezza e una buona densità energetica, oltre a una durata di vita prolungata.

Il pionieristico di John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino, che ha portato al Premio Nobel per la Chimica nel 2019, ha svolto un ruolo fondamentale nell’affermare le batterie a ioni di litio nei settori dell’elettronica portatile, delle automobili elettriche e dei veicoli ibridi.

batterie allo stato solido

Recenti eventi esplosivi connessi al fenomeno di thermal runaway nelle batterie al litio e le preoccupazioni per la sicurezza hanno incentivato la ricerca di nuove strategie. L’obiettivo è sviluppare dispositivi di stoccaggio dell’energia elettrochimica più sicuri, anche se gli elettroliti liquidi offrono conduttività ionica elevata, che si attesta tra 10 −3 e 10 −2 S/cm.

Gli elettroliti solidi inorganici vantano alti livelli di conduttività ionica, permettendo così cariche e scariche rapide, superiori a quelle degli elettroliti solidi polimerici organici. Ciò consente un movimento ionico rapido ed efficace all’interno del materiale.

Liquidi ionici e le loro sfide

Liquidi ionici

La produzione di batterie a stato solido al momento presenta efficienza limitata e non è ancora giunta a un livello per la produzione su larga scala. Questo si traduce in costi elevati e nella carenza di sistemi di materiali elettrolitici ad alte prestazioni. Negli ioni litio, gli elettroliti solidi continuano a migliorare, ma le loro prestazioni globali non raggiungono ancora le necessità di accumulo di energia su scala ampia.

Di conseguenza, la ricerca si è concentrata non solo potenziamento degli elettroliti solidi, ma anche sui liquidi ionici, i quali sono composti da cationi organici, come imidazolio, ammonio e pirrolidinio, e anioni di dimensioni maggiori, inorganici o organici. La loro porta a un’elevata viscosità, che influisce negativamente sulla conduttività ionica. Per affrontare queste problematiche, sono stati studiati elettroliti a base di tetrafluoroborato di ammonio quaternario disciolto in solventi organici come acetonitrile o carbonato di propilene.

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Conducibilità dei protoni

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La conduttività protonica σ rappresenta una proprietà cruciale delle membrane a scambio protonico, essenziale per l’efficacia delle celle a combustibile. Questa conduttività è un fattore determinante nella valutazione degli elettroliti utilizzati nelle celle a combustibile, rendendola la caratteristica primaria da considerare nel processo di selezione delle membrane.

Definizione e funzione della membrana a scambio protonico

Una membrana a scambio protonico, o PEM (acronimo di Proton Exchange Membrane), viene impiegata in numerosi contesti, tra cui le celle a combustibile ad idrogeno. Questa tecnologia risale agli anni ’60, quando fu sviluppata dalla General Electric grazie al contributo di Thomas Grubb e Leonard Niedrach.

Il ruolo principale di tali membrane è quello di permettere il passaggio esclusivo degli ioni idrogeno al catodo, mentre bloccano la fuga di elettroni, molecole di idrogeno e acqua. Per garantire un funzionamento ottimale delle celle a combustibile, è fondamentale che queste membrane presentino un’elevata conduttività protonica, essenziale per il passaggio selettivo dei protoni.

Tecniche per la misurazione della conduttività protonica

La conduttività protonica viene comunemente misurata attraverso la spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS), un metodo usato per analizzare il comportamento di sistemi elettrochimici complessi. Questa tecnica utilizza una cella elettrochimica composta da uno o più elettrodi, tra cui l’elettrodo di e il controelettrodo, insieme a un potenziostato/galvanostato e un analizzatore di risposta in frequenza.

Per misurare correttamente la conduttività, si impiega generalmente una cella a quattro elettrodi, che permette di studiare il trasporto ionico attraverso le membrane. Le misurazioni possono avvenire in un ambiente umido al 100% di umidità relativa e varieranno a seconda della temperatura. La conduttività protonica, espressa in (Ω·cm), si calcola in base alla resistenza misurata, utilizzando l’equazione: σ = l/RA, dove l è la distanza tra gli elettrodi, R indica la resistenza della membrana e A è l’area della sezione trasversale.

Meccanismi di trasporto dei protoni

La conduttività protonica delle membrane elettrolitiche polimeriche è influenzata da diversi fattori, come il contenuto di acqua, il peso equivalente e la temperatura. Il trasporto di protoni riveste un’importanza centrale in vari processi biochimici ed elettrochimici, e avviene attraverso due meccanismi principali: il meccanismo di Grotthuss e la migrazione di protoni idrati.

Il meccanismo di Grotthuss, nome che deriva dal pioniere della teoria dell’elettrolisi Theodor Grotthuss, è considerato il metodo di trasporto protonico più efficace. Esso prevede il trasferimento di protoni tra catene di molecole ospiti attraverso reazioni che avvengono nei legami a idrogeno, facilitato dallo ione idronio (H3O+), il quale si muove in modo coordinato con molecole d’acqua.

Innovazioni nelle membrane a scambio protonico

Recentemente, i Metal-Organic Framework (MOF) si sono rivelati potenti materiali per migliorarne la conduttività protonica grazie alla loro porosità e stabilità chimica. Queste strutture offrono la possibilità di integrare proprietà progettate che possono ottimizzare l’ingresso di varie molecole, sia organiche che inorganiche.

Un’altra innovazione riguarda i polimeri scheletrici organici metallici porosi, in grado di soddisfare le esigenze di conduttività nelle celle a combustibile. Inoltre, la modifica post-sintetica consente di ottimizzare le proprietà funzionali dei MOF, ampliando così le loro applicazioni nel settore energetico.

Il Nafion, un noto ionomero perfluorocarbonico, rappresenta la membrana di riferimento nel campo delle celle a combustibile. La efficienza stempera, tuttavia, in condizioni di bassa umidità, il che ha spinto la ricerca verso materiali alternativi e metodi di sintesi più efficaci. Approcci come l’integrazione con nanofibre potrebbero rivelarsi promettenti, contribuendo a migliorare la stabilità e la resistente chimica delle membrane attuali.

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Polimeri di coordinazione: nuovi materiali e loro applicazioni innovative nei settori della scienza e tecnologia.

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I polimeri di coordinazione (CP) sono composti da ioni o cluster metallici uniti a ligandi organici tramite legami di coordinazione o interazioni supramolecolari. Questi materiali presentano una altamente ordinata, con entità di coordinazione ripetute che possono estendersi in dimensioni unidimensionali, bidimensionali o tridimensionali. Combinano caratteristiche uniche, sia dei polimeri che dei composti di coordinazione.

Origini e sviluppo

Seppur noti fin dagli anni ’60, i polimeri di coordinazione hanno attirato l’attenzione della comunità chimica solo dopo che il chimico australiano Richard Robson ha documentato le strutture cristalline di diversi polimeri di coordinazione porosi (PCP). Queste strutture possiedono capacità di scambio ionico, rivitalizzando il dominio della chimica dei polimeri di coordinazione.

I polimeri di coordinazione possono essere progettati per formare architetture porose, conosciute come Metal-Organic Frameworks (MOF). Questi materiali possono essere prodotti sia in forma massiva che su scala nanometrica, utilizzando metodi bottom-up o top-down.

Applicazioni e utilizzi

A causa della loro diversità in termini di struttura e composizione, i polimeri di coordinazione trovano applicazione in vari campi, tra cui chimica inorganica e organica, dei materiali, farmacologia ed elettrochimica. Tra le loro applicazioni rientrano l’uso come coloranti commerciali, nella separazione degli idrocarburi e come setacci molecolari e diodi a emissione di luce.

I polimeri di coordinazione possono essere distinti per la loro struttura e composizione in porosi e non porosi. I polimeri di coordinazione porosi (PCP) sono materiali microporosi con una superficie specifica elevata e si suddividono in flessibili e rigidi. Quelli flessibili presentano strutture adattabili che rispondono agli stimoli esterni, mentre i polimeri rigidi hanno strutture non trasformabili.

Un’altra classificazione considera la dimensionalità della struttura: unidimensionale, bidimensionale e tridimensionale. I polimeri unidimensionali si estendono lungo una direzione, mentre quelli bidimensionali hanno legami di coordinazione in due direzioni e quelli tridimensionali in tre.

Per quanto riguarda i centri metallici, gli ioni metallici nei polimeri di coordinazione possono includere lantanidi, i quali hanno un numero di coordinazione che va da 7 a 10. L’inserimento di questi elementi conferisce proprietà fisico-chimiche interessanti e altera significativamente la configurazione strutturale del polimero.

Negli ultimi anni, l’attenzione si è intensificata sulla progettazione di polimeri di coordinazione a base di lantanidi (Ln-Cps) come sensori luminescenti, noti per la loro sensibilità, selettività e rapida risposta. Questi polimeri hanno mostrato promesse come sensori per il rilevamento di diversi anioni e cationi.

In merito agli ioni metallici di transizione, essi vengono impiegati per creare polimeri di coordinazione con varie geometrie, a seconda dell’elemento metallico e della valenza. Alcuni metalli, come e nichel, sono candidati ideali per applicazioni negli elettrodi di batterie avanzate.

I ligandi svolgono un ruolo cruciale nella formazione di questi polimeri; essi possono essere monodentati o polidentati e forniscono coppie elettroniche solitarie ai cationi metallici. I ligandi monodentati formano un singolo legame, mentre quelli polidentati, in grado di collegare più centri metallici, permettono di costruire strutture polimeriche più complesse.

I ligandi più comunemente utilizzati includono le polipiridine e i policarbossilati, mentre la scelta del ligando influisce sulla struttura finale del polimero di coordinazione. La teoria HSAB, sviluppata da R.G. Pearson, offre una base per comprendere le interazioni tra ligandi e metalli, caratterizzandoli in base alla loro durezza e morbidezza.

Infine, la possibilità di scelta e orientamento dei ligandi contribuisce ulteriormente alla varietà strutturale osservabile nei polimeri di coordinazione, rendendo questo campo della chimica particolarmente affascinante per futuri sviluppi e applicazioni.

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Scoperta una tomba che riscrive la storia dell’Antico Egitto: il medico dentista del faraone

A Saqqara è emersa una risalente a 4.100 anni fa, appartenente a Tetinebefou, un reale e incantatore della dea Serket: la scoperta arricchisce le conoscenze sull’antica medicina egizia e le pratiche funerarie

©Ministry of Tourism and Antiquities

Recenti scavi a Saqqara, necropoli situata a sud del Cairo, hanno portato alla luce la tomba di Tetinebefou, un medico-sacerdote vissuto 4.100 anni fa. Questa scoperta arricchisce le conoscenze sull’Antico Regno egiziano, grazie alla presenza di decorazioni e iscrizioni che raccontano la vita di un professionista altamente qualificato per l’epoca.

Tetinebefou è descritto nei suoi titoli come “incantatore della dea Serket”, “direttore delle piante medicinali” e “capo ”, ruoli che evidenziano la posizione di medico principale alla corte reale, probabilmente responsabile della salute del faraone. Serket, la divinità a cui si rivolgeva, aveva il compito di proteggere dalle punture di scorpione, simbolo di guarigione, del quale Tetinebefou si faceva portavoce.

Uno degli aspetti notevoli della scoperta è il titolo di “direttore delle piante medicinali”, raramente documentato fino ad ora, che fa luce sui metodi curativi utilizzati nell’epoca. La sua competenza odontoiatrica rappresenta un ulteriore elemento che arricchisce il panorama della medicina egizia antica.

Dettagli della tomba

La tomba di Tetinebefou presenta un grande cofano in pietra, ornato con geroglifici che riportano il suo nome e i suoi titoli. Le pareti sono decorate con scene di offerte funebri, mentre una falsa porta decorata è un elemento tipico delle tombe egizie, concepita per facilitare il passaggio dello spirito nell’aldilà. Sebbene la tomba fosse stata saccheggiata in tempi antichi, gli archeologi sono riusciti a trarre importanti informazioni sito.

Philippe Collombert, a capo della squadra di ricerca, ha sottolineato l’importanza della scoperta, affermando: “Questo ritrovamento svela nuovi dettagli sulla cultura e la vita quotidiana durante il regno di Pepi II, della sesta dinastia.”

Scoperte mediche nell’Antico Egitto

Questa tomba contribuisce a rivelare i progressi medici dell’Antico Egitto. Gli studi precedenti hanno dimostrato che già 4.000 anni fa era praticata una medicina avanzata, inclusa la rimozione di tumori cerebrali. Le competenze di Tetinebefou significano che la salute era una priorità anche per la corte reale, riflettendo una profonda attenzione alla scienza e alla medicina nell’Antico Regno.

La scoperta a Saqqara, insieme ad altri recenti ritrovamenti, continua a illuminare il passato e a mostrare il livello di raffinatezza culturale e scientifica di una delle civiltà più affascinanti della storia.

Fonte: Ministry of Tourism and Antiquities

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L’ultimo trend di TikTok, i sottaceti glitterati, solleva interrogativi sulla sua utilità

Glitter commestibili da applicare sui per decorarli, generando alimenti scintillanti da condividere su social , rappresentano l’ultima moda virale. Questa tendenza ha preso piede su , raggiungendo un’ampia audience di utenti.

I sottaceti , comunemente descritti come “Glickles”, hanno sorpreso per la loro apparente semplicità. L’idea è nata quando un utente ha sperimentato l’aggiunta di glitter commestibili all’interno di un barattolo di sottaceti. Da quel momento, la mania si è diffusa, attirando l’attenzione con milioni di visualizzazioni e interazioni sui social.

La preparazione

La realizzazione è diretta: basta incorporare i glitter nel barattolo e agitare fino a ottenere un rivestimento uniforme. Questa decorazione non ha vincoli relativi al tipo di sottaceto, permettendo a chiunque di creare un effetto visivo accattivante.

Motivazioni dietro la tendenza

Nonostante il loro aspetto originale, i glitter non alterano il sapore dei sottaceti; l’intento è puramente estetico. La tendenza ha suscitato reazioni entusiaste online, spingendo molti a pubblicare video e immagini del processo. L’interesse verso la creatività e l’umorismo coinvolti in questa moda è evidente e persino marchi di fama hanno sfruttato la situazione a scopi di marketing.

Riflessioni sulla cultura alimentare

Questa moda offre spunti crescente fascino per esperienze sensoriali e visive, in una società sempre più influenzata dai social media. Tuttavia, resta importante considerare il valore nutrizionale del cibo e il suo ruolo primario come fonte di sostentamento, piuttosto che limitarne la percezione a un fenomeno estetico. Mantenere una visione equilibrata sulla nostra alimentazione è essenziale, anche di fronte a tendenze divertenti come i sottaceti glitterati.

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Chiarezza sul raro allineamento di pianeti in arrivo

In prossimità delle date del 21 e 25 gennaio, si moltiplicano web gli annunci riguardanti un presunto rarissimo di nel Sistema Solare. Tuttavia, la realtà è diversa: benché non si tratti di un allineamento perfetto, uno spettacolo interessante sarà comunque osservabile.

Il 21 gennaio sei pianeti saranno visibili contemporaneamente nel cielo, anche se non tutti saranno osservabili a occhio nudo. Secondo le informazioni fornite dalla fonte StarWalk, questa configurazione potrà ripetersi in altre date, ma il 21 gennaio rappresenta l’opportunità migliore per gran parte del pubblico globale.

Dettagli dell’evento

Nonostante l’effetto visivo sarà affascinante, è fondamentale chiarire che non si assisterà a un vero e proprio allineamento planetario. Il termine ‘Parata di pianeti’ rispecchia meglio l’evento, come dimostrano le mappe stellari fornite da Stellarium.

In Italia, la fascia oraria più favorevole per l’osservazione sarà intorno alle 19:30. In quel momento, Giove, Marte e Urano saranno visibili a sud-sud-est, mentre Venere, Saturno e Nettuno appariranno a ovest-sud-ovest.

Osservazione continuativa

Il fenomeno non si esaurirà subito, poiché anche nelle ore successive alcuni pianeti continueranno a essere visibili nel cielo, specialmente nella porzione sud-est, come mostrano le mappe relative alle 21:30 del 21 gennaio.

Il 21 gennaio rappresenta quindi un’importante opportunità per gli appassionati di astronomia e per chiunque desideri osservare un’affascinante configurazione planetaria. La delle informazioni è fondamentale per una corretta percezione dell’evento astronomico.

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