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Borofosfina

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Il fosfuro di boro (BP) si distingue come un semiconduttore rinomato per la sua notevole durezza e resistenza, con una temperatura di fusione di 1100 °C a pressione ambiente. La sua stabilità chimica elevata a temperature elevate lo rende un materiale di grande interesse per una vasta gamma di applicazioni tecnologiche.

Caratteristiche del fosfuro di boro

Classificato tra i semiconduttori III-V, il fosfuro di boro è composto da elementi presenti gruppi III e V della Tavola Periodica. La sua risale agli anni ’50, grazie a studi condotti presso l’Istituto Ioffe, dove fenomeni fondamentali legati a questi semiconduttori sono stati esplorati da scienziati illustri. Tra le loro principali caratteristiche, spiccano la combinazione degli elementi del gruppo III, come il boro e l’, con quelli del gruppo V, come il fosforo e l’arsenico.

Nonostante il suo potenziale, il fosfuro di boro è meno studiato rispetto ai suoi omologhi più noti, come l’arseniuro di gallio e il fosfuro di indio. La sua conduttività termica elevata e la durezza straordinaria lo pongono come candidato ideale per applicazioni in cui è richiesta stabilità e resistenza. Esso è stato studiato per usi nei rivestimenti resistenti alla corrosione, nelle celle solari e come fotocatalizzatore.

Proprietà strutturali e sintesi

La cristallina del fosfuro di boro, simile a quella dell’arseniuro di gallio, mostra atomi di boro e fosforo coordinati in modo tetraedrico. Questa configurazione è responsabile delle sue eccellenti proprietà chimiche e semiconduttrici. L’ampio band gap di 2.1 eV lo rende un candidato promettente per applicazioni in fotocatalisi e generazione di ossigeno.

La sintesi del fosfuro di boro pone delle sfide a causa delle diverse reattività dei componenti coinvolti. Mentre il fosforo è molto reattivo, il boro richiede temperature estremamente elevate per reagire. Nel corso degli anni, diversi metodi chimici e precursori sono stati utilizzati per ottenere questo semiconduttore, inclusi alogenuri di boro e fosforo. Tecniche innovative, come la sintesi solvotermica, sono state sviluppate per migliorare l’efficienza nella produzione di nanocristalli di fosfuro di boro, facilitando l’uso di solventi a temperature elevate in sistemi chiusi.

Ultimamente, un processo ad alta temperatura auto-propagante ha dimostrato di essere efficace per ottenere fosfuro di boro puro, sebbene la presenza di impurità come il subfosfuro di boro continui a rappresentare una . La ricerca è in corso per ottimizzare i metodi di sintesi e migliorare la purezza e l’efficienza dei materiali prodotti.

Grazie alle sue proprietà, il fosfuro di boro può posseggere applicazioni significative nei settori della microelettronica e dei materiali termici, fungendo da materiale di imballaggio o dissipazione del calore. La sua capacita di mantenere elevati livelli di conduttività termica lo rende ideale per i dispositivi che operano in condizioni termiche estreme.

Fonte Verificata

Arsenico e indio in combinazione: proprietà e applicazioni dell’arseniuro di indio.

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L’arseniuro di indio è un semiconduttore di tipo n a banda stretta, composto da arsenico e indio, con una formula chimica di AsIn. Questo materiale è noto per la sua elevata mobilità elettronica, rendendolo ideale per l’impiego in fotodiodi operanti nella gamma dell’infrarosso.

Caratteristiche e composizione

Classificato come un semiconduttore III-V, l’arseniuro di indio si compone di elementi appartenenti ai gruppi III e V della Tavola Periodica. La e il progresso della tecnologia dei semiconduttori III-V furono avviati negli anni ’50 presso l’Istituto Ioffe. Sotto la direzione di scienziati di spicco come Nina Aleksandrovna Goryunova e Dmitry Nikolayevich Nasledov, iniziò la ricerca delle loro proprietà fondamentali.

I semiconduttori III-V, che vantano una transizione energetica a gap diretto, integrano elementi del gruppo III, come boro, , gallio e indio, con quelli del gruppo V, tra cui azoto, fosforo, arsenico e antimonio. Materiali come il fosfuro di indio e l’arseniuro di indio si stanno affermando come alternative più ecologiche rispetto agli emettitori NC basati su metalli pesanti, come il seleniuro di cadmio e il tellururo di cadmio.

Varie tipologie di semiconduttori III-V, tra cui arseniuro di gallio, fosfuro di indio e nitruro di gallio, sono ampiamente utilizzate e rappresentano componenti fondamentali di dispositivi optoelettronici, come diodi a emissione luminosa, fotorivelatori, laser e celle solari ad alta efficienza.

Proprietà fisiche

Un aspetto distintivo dell’arseniuro di indio è la presenza di un accumulo superficiale naturale, dovuto a un’alta densità di stati superficiali donatori che posizionano il livello di Fermi al di sopra della banda di conduzione. La sua struttura cristallina, nota come blenda di zinco, consiste in quattro atomi di arsenico e quattro atomi di indio.

Questo semiconduttore presenta un band gap di 0.354 eV a temperatura ambiente (300 K), una densità di 5.67 g/cm³ e una temperatura di fusione di 942 °C. La mobilità elettronica, una misura della rapidità degli elettroni in un campo elettrico, raggiunge i 40.000 cm²/V·s. Inoltre, la conducibilità termica è di 0.27 W/cm·K, mentre l’indice di rifrazione si attesta a 4, con una costante reticolare di 6.05838 Å.

Sintesi del materiale

Esistono diversi metodi per la produzione di film sottili di arseniuro di indio, tra cui la deposizione in bagno chimico (CBD) e l’elettrodeposizione (ED). Nella CBD, ioni acquosi si depositano su un substrato solido, mentre l’elettrodeposizione comporta l’accumulo di materiali da una soluzione liquida.

Altri approcci includono la pirolisi a spruzzo chimico (CSP), in cui una soluzione spruzzata su una superficie calda e reagisce formando un film chemico. La tecnica di evaporazione termica è ben nota per la creazione di film sottili, in cui il materiale sorgente viene vaporizzato e depositato su un substrato, solitamente vetro.

Inoltre, i punti quantici di arseniuro di indio sono stati prodotti attraverso una procedura di iniezione a caldo, utilizzando il cloruro di indio (I) come precursore chiave, per generare arsenuiro di indio colloidale.

Punti quantici di arseniuro di indio

I punti quantici, noti anche come quantum dots colloidali, rappresentano particelle semiconduttrici di dimensioni nanometriche, caratterizzate da proprietà ottiche ed elettroniche uniche legate ai loro effetti meccanici quantistici. Questi materiali si presentano come opzioni promettenti per i sistemi fotovoltaici di nuova generazione, poiché la loro dimensione influenza il band gap ottico, favorendo un assorbimento efficiente della luce solare.

I punti quantici che emettono nella regione infrarossa sono considerati elementi costitutivi vitali per diverse applicazioni fotoniche, optoelettroniche e biomediche. Tuttavia, preoccupazioni riguardo alla tossicità dei materiali convenzionali, come i CQD a base di piombo e mercurio, stanno spingendo la ricerca verso alternative più sicure, come i CQD di arseniuro di indio, capaci di assorbire ed emettere luce nell’intera gamma dello spettro infrarosso.

Applicazioni pratiche

L’arseniuro di indio trova molteplici applicazioni nell’elettronica dei semiconduttori, in particolare nei rilevatori a infrarossi e sensori piroelettrici. Questi dispositivi, essenziali per analisi di gas, rilevamento di fiamme, analisi spettrali e misurazioni di temperatura senza contatto, si basano proprietà uniche del materiale.

In aggiunta, viene utilizzato nella generazione di radiazioni terahertz e in laser a diodi ad alte prestazioni. Grazie alla sua alta mobilità elettronica, l’arseniuro di indio è indicato per applicazioni elettroniche di alta velocità, come i transistor a effetto di campo, molto diffusi nei circuiti elettronici.

Infine, è impiegato nella realizzazione di refrigeratori termoelettrici, mini pompe di capaci di ottimizzare la temperatura nei chip di rilevamento, garantendo prestazioni eccellenti anche a -70 °C e un controllo preciso di 0.1 °C.

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Energia misteriosa scoperta nella piramide più grande d’Egitto, prodotta anche dalle stelle

La Grande Piramide di Giza non è solo una meraviglia storica: recenti studi rivelano che amplifica e concentra l’energia elettromagnetica, un fenomeno che ispirare innovazioni future nella nanotecnologia e nella produzione di energia rinnovabile.

@Pixabay

La Grande Piramide di Giza, ultima meraviglia del mondo antico, continua a sorprendere scienziati e ricercatori moderni. Recenti studi hanno rivelato che la struttura monumentale possiede capacità fisiche sorprendenti, in particolare la concentrazione di energia elettromagnetica, suggerendo potenziali innovazioni tecnologiche future.

Per lungo tempo, le piramidi egizie sono state oggetto di speculazioni riguardo le loro proprietà fisiche. Attraverso l’impiego di modelli di fisica teorica e simulazioni computerizzate, un gruppo di ricercatori ha studiato le interazioni tra la Grande Piramide e le onde elettromagnetiche, in particolare con le onde radio di lunghezza compresa tra 200 e 600 metri.

I risultati hanno dimostrato che, in condizioni di risonanza, la piramide è capace di concentrare l’energia elettromagnetica sia all’interno delle sue camere che sotto la sua base. La geometria della struttura gioca un ruolo decisivo nell’amplificazione delle onde incidenti. Attraverso la misurazione della sezione trasversale di estinzione, che indica l’assorbimento e la dispersione dell’energia, i ricercatori hanno chiarito come la progettazione specifica della piramide ottimizzi la distribuzione energetica.

Varie ipotesi sono emerse riguardo ai materiali impiegati, descritti come calcare uniforme, ma i risultati indicano che la piramide potrebbe operare come una grande antenna, capace di raccogliere e concentrare l’energia elettromagnetica.

Dalla piramide alla nanotecnologia: le applicazioni future dell’energia concentrata

Oltre alle proprie proprietà elettromagnetiche, la Grande Piramide di Giza offre spunti per applicazioni moderne e futuristiche. Gli scienziati ipotizzano che replicare questi principi su scala nanometrica potrebbe aprire la strada a tecnologie innovative. Ad esempio, nanoparticelle a forma piramidale potrebbero concentrare l’energia con la stessa efficienza della piramide, trovando applicazioni in vari ambiti:

  • Nanotecnologie avanzate: Sviluppo di nanosensori altamente sensibili in grado di rilevare minime variazioni ambientali, utili per diagnostica medica e sistemi di sicurezza.
  • Efficienza energetica: L’adozione delle proprietà di concentrazione energetica in celle solari potrebbe migliorare l’efficienza nella raccolta e conservazione dell’energia solare, rappresentando una soluzione sostenibile per la produzione energetica globale.

Queste innovazioni, ispirate dall’antico , pongono un collegamento tra passato e futuro, proponendo risposte moderne a sfide energetiche attuali e avvicinando e storia.

Le connessioni universali tra piramidi ed energia stellare

La Grande Piramide, oltre a stupire per la sua capacità di concentrare l’energia elettromagnetica, è collegata a un concetto più ampio: le connessioni cosmiche. Le stelle, incluso il Sole, emettono energia a seguito di complessi fenomeni di interazione tra campi magnetici e plasma. La piramide, attraverso la sua capacità di focalizzare energia, riflette su scala ridotta ciò che avviene nell’universo.

Questo principio ricorda che l’energia e il magnetismo seguono leggi comuni, sia che si manifestino tra le mura di un’antica piramide, sia che governino l’espansione delle galassie. L’ di tali fenomeni consente una comprensione più approfondita delle leggi universali che regolano energia e materia, collegando la Terra al cosmo in un ciclo energetico perpetuo.

La Grande Piramide di Giza continua a essere simbolo non solo di rilevanza storica, ma anche di modello scientifico che stimola la riflessione interazioni dell’energia. Analizzando l’interazione elettromagnetica, si stabilisce un legame tra l’ingegneria egizia antica e la fisica moderna, suggerendo spunti per applicazioni in settori come nanotecnologia ed energie rinnovabili.

Questa monumentale struttura rappresenta un’opportunità per scoprire nuovi aspetti, amalgamando elementi architettonici storici con le dinamiche energetiche dell’universo.

Fonte: Journal of Applied Physics

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Il “bacio” Luna-Marte non sarà perso, visibile a occhio nudo e circondato di stelle cadenti

Stasera, 18 dicembre, si preannuncia un evento celeste di suggestione, con la congiunzione tra Luna e Marte, a occhio , condizioni meteorologiche permettendo. Inoltre, il cielo potrebbe regalare lo spettacolo delle stelle , grazie ai picchi di due sciami previsti nei prossimi giorni, le Lincidi e le Ursidi, accompagnati dall’attività delle Geminidi ancora presente.

Canva

La serata del 18 dicembre caratterizzata dalla congiunzione tra la Luna e Marte, che appariranno nella stessa costellazione, il Cancro, creando un effetto visivo noto come “bacio”. Questo fenomeno astrale sarà meglio osservabile intorno alle 22:00.

luna marte bacio 18 dicembre 2024
luna marte bacio 18 dicembre 2024

©Stellarium

A seguito di questo fenomeno, due sciami di meteoriti, le Lincidi e le Ursidi, raggiungeranno il picco di attività nei giorni immediatamente successivi, precisamente la notte fra il 20 e il 21 dicembre. Le Lincidi, il cui radiante sarà visibile per tutta la notte, culmineranno intorno alle 3:30 con un’ottima visibilità dall’inizio del crepuscolo fino a mezzanotte.

Le Ursidi, legate alla cometa 1790 II Mechain / Tuttle, presenteranno anch’esse un radiante visibile per tutta la notte, con il massimo della visibilità prevista al mattino. Anche in questo caso, l’osservazione sarà più favorevole dal crepuscolo serale fino a mezzanotte.

Questi eventi celesti rappresentano un’opportunità da non perdere per gli appassionati di astronomia e per chi desidera osservare fenomeni naturali di bellezza straordinaria.

Fonti: UAI / UAI meteore

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Il calore corporeo può alimentare smartwatch e dispositivi indossabili, addio alle batterie?

Utilizzare il calore del corpo per alimentare un orologio o un sistema di aria condizionata personale? Non è così inverosimile come sembra.

©QUT

Un team australiano ha sviluppato una pellicola termoelettrica ultra-sottile e flessibile che genera energia sfruttando il calore corporeo: nuove applicazioni per , raffreddamento di elettronici e gestione termica personale sono all’orizzonte.

L’idea di sfruttare il calore corporeo come fonte di energia per alimentare elettronici non è più un semplice concetto fantascientifico. Con l’aumento esponenziale della domanda globale di e la conseguente pressione sulle risorse del pianeta, ricercatori di tutto il mondo stanno studiando soluzioni alternative. Una delle più promettenti arriva dall’Università del Queensland (QUT), in Australia, dove è stata sviluppata una pellicola ultra-sottile e flessibile capace di trasformare la differenza di temperatura tra il corpo umano e l’ambiente in energia elettrica.

LEGGI anche: Usare il calore del corpo al posto delle batterie per ricaricare i device, sviluppato prototipo che ci riesce davvero

Come funzionano i dispositivi termoelettrici indossabili?

I dispositivi termoelettrici sfruttano il gradiente di temperatura tra il calore corporeo e l’aria circostante per generare elettricità. Tuttavia, flessibilità e costi di produzione hanno sempre rappresentato ostacoli alla commercializzazione. Il professor Wenyi Chen, autore principale dello studio, spiega: “Sebbene questi dispositivi possano essere indossati comodamente sulla pelle, la scarsa flessibilità e i processi di fabbricazione complessi ne hanno limitato l’efficienza e la diffusione.”

Tradizionalmente, i dispositivi termoelettrici sono costruiti utilizzando il bismuto telluride, un semiconduttore particolarmente adatto a generare energia da piccole differenze di temperatura, ideale per monitorare parametri come battito cardiaco, temperatura corporea o movimento.

La vera svolta del team della QUT è stata l’uso di nanocristalli, o nanobinders, che permettono di ottenere un film stampabile estremamente sottile e flessibile, mantenendo al contempo prestazioni eccellenti. Questo processo, chiamato sintesi solvotermica, produce nanocristalli sotto alta pressione e temperatura, che successivamente legati con un metodo di stampa su larga scala e riscaldamento fino quasi al punto di fusione.

Possibili applicazioni

Secondo il professor Chen, le applicazioni di questa innovazione sono molteplici e potrebbero rivoluzionare vari settori tecnologici. Oltre a smartwatch e dispositivi wearable per il monitoraggio della salute, questa tecnologia potrebbe essere utilizzata per raffreddare i chip elettronici in spazi ristretti, come smartphone o computer, migliorandone notevolmente l’efficienza energetica.

Un altro utilizzo innovativo potrebbe riguardare la gestione termica personale. Immaginate un sistema di condizionamento e ventilazione indossabile, alimentato direttamente dal calore corporeo: un’idea che potrebbe presto diventare realtà grazie a questo progresso tecnologico.

Fonte: QUT

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Il rompicapo matematico più frustrante del mondo viene risolto in un trattato di 100 pagine.

Dopo mezzo secolo, la matematica risolve il problema del divano più grande: una geometrica che esplora i limiti di spazio, forma e ottimizzazione, con applicazioni dalla vita quotidiana fino alla robotica.

YouTube – @numberphile

Immaginate di dover trascinare un divano lungo un corridoio stretto e affrontare un angolo di 90 gradi senza rimanere bloccati. Quella che sembra una situazione comune durante un trasloco si è rivelata una sfida matematica complessa, nota come il Problema del Divano in Movimento. Questa questione, formulata oltre 50 anni fa, cerca di determinare quale sia la forma più grande che un divano può avere per attraversare un angolo retto.

Recentemente, il Jineon Baek, ricercatore presso la Yonsei University in Corea del Sud, ha avanzato una possibile soluzione. Nel dicembre scorso, Baek ha pubblicato un documento di 100 pagine sull’archivio online arXiv, dimostrando che la superficie massima di un divano in grado di superare questa sfida è di 2,2195 unità.

La del problema inizia con il matematico austro-canadese Leo Moser, che lo formulò per la prima volta. Da allora, numerosi esperti hanno cercato una soluzione definitiva. Nel 1992, Joseph Gerver, matematico della Rutgers University, propose un modello innovativo conosciuto come il divano di Gerver, una figura a forma di U composta da 18 curve.

Sebbene questo design avesse calcolato un’area massima di 2,2195 unità, nessuno era riuscito a dimostrare che fosse effettivamente la soluzione ottimale. Baek, utilizzando strumenti matematici moderni e dettagliate, ha confermato che il divano di Gerver è realmente il più grande possibile per affrontare un angolo retto senza bloccarsi.

Perché il problema del divano è così importante?

Sebbene possa sembrare un semplice esercizio teorico, il problema del divano rappresenta una sfida fondamentale nella geometria e nell’ottimizzazione. Esplorare i limiti di forma e spazio apre la porta a scoperte matematiche più ampie e inaspettate. Le applicazioni pratiche includono strategie per spostare oggetti ingombranti e simulazioni per veicoli autonomi che devono muoversi in spazi ristretti, dimostrando che situazioni apparentemente banali possono evolversi in questioni accademiche profonde.

La variante del problema: l’enigma del divano ambidestro

Oltre al problema originale, esiste una variante ancora più complessa: il Problema del Divano Ambidestro, che prevede il passaggio attraverso due angoli consecutivi. Il matematico Dan Romik ha proposto una soluzione intrigante per questa sfida, un divano dalla forma simile a un “reggiseno bikini”. Tuttavia, come per il modello di Gerver, manca ancora una dimostrazione definitiva.

Il lavoro di Baek, sebbene non ancora sottoposto a revisione paritaria, ha già suscitato grande entusiasmo. Immagini del divano di Gerver e discussioni sull’argomento si sono diffuse rapidamente, alimentando la curiosità di appassionati e studiosi. Una conferma del suo teorema mettere fine a un dibattito durato più di mezzo secolo, consolidando un capitolo affascinante nella storia della matematica.

Fonte: arXiv

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Le carote e il mito della vista migliore

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Le sono da sempre associate a benefici per la , in particolare a un presunto miglioramento della visione. Tuttavia, questa credenza storicamente diffusa si basa su affermazioni prive di sostegno scientifico.

Si ritiene che tale convinzione abbia avuto origine durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il governo britannico diffuse l’informazione per incentivare il consumo di carote e garantire una dieta bilanciata in un periodo di razionamento . Sebbene le carote non migliorino effettivamente la vista, sono comunque un alimento importante per la salute oculare grazie al loro contenuto di vitamina A.

Mito o verità: le carote migliorano davvero la vista?

Consumare regolarmente carote non conferisce una supervista. La vitamina A, derivata dal beta-carotene contenuto nelle carote, è cruciale per una visione sana, poiché aiuta l’ a convertire la luce in segnali visivi da trasmettere al cervello, consentendo di vedere anche in condizioni di scarsa illuminazione. È importante notare che una carenza di vitamina A può portare a gravi problemi oculari, inclusa la cecità, con tassi significativi di cecità pediatrica nel mondo dovuti alla sua insufficienza. Pertanto, le carote svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere la salute degli occhi, ma non è necessario eccedere nel consumo per ottenere benefici visivi.

La nascita della bufala

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Regno Unito subì regolarmente attacchi aerei da parte della Luftwaffe. Per complicare l’identificazione dei bersagli, vennero attuati blackout nelle città. Per mascherare l’uso di una tecnologia radar segreta che consentiva di rilevare aerei anche al buio, il governo britannico diffuse la leggenda secondo cui i soldati consumassero grandi quantità di carote per migliorare la visione notturna, così da individuare gli aerei nemici in condizioni di oscurità. Questa strategia informativa non solo mascherò le tecnologie segrete, ma incentivò anche il consumo di carote tra la popolazione, suggerendo di adottare una dieta più sana.

Il razionamento del cibo durante la guerra

Fra il 1940 e il 1942, nel Regno Unito furono introdotte misure di razionamento per le principali derrate alimentari, come zucchero, burro, carne e latte, mentre pane e vegetali rimasero disponibili in abbondanza. L’obiettivo delle autorità era di bilanciare i cibi razionati attraverso un maggiore consumo di alimenti freschi.

Per promuovere le carote, l’ex Ministero del Cibo creò una mascotte, il Dr. Carrot, e lanciò campagne informative sui benefici dei vegetali. Anche la guerra, la convinzione che “le carote migliorano la vista” continuò a diffondersi, dando vita a una tradizione che persiste ancora oggi in diverse culture.

Immagine Credit: Imperial War Museum

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Il kit per aggiungere un motore elettrico al passeggino elimina la fatica di spingere

Easy-Way, il che trasforma i passeggini tradizionali in elettrici, semplifica gli spostamenti quotidiani con innovazione e sicurezza: una soluzione ecologica e sostenibile che riduce gli sforzi.

Facebook – @Easy-Way Poland

Affrontare la città con un trasformarsi in una vera odissea. Salite faticose, discese pericolose e le immancabili scale, diventano insormontabili senza un aiuto esterno. Tuttavia, una soluzione innovativa e sostenibile per superare questi ostacoli è il kit Easy-Way, ideato in Polonia, progettato per semplificare gli spostamenti di genitori e non solo.

Funzionalità del Kit

Easy-Way è un sistema di motorizzazione che si installa direttamente sul passeggino, trasformandolo in un modello altamente funzionale. La sua configurazione ricorda quella dei kit di conversione per biciclette, ed è composto da un centrale da 300 watt complessivi, distribuiti su due motori elettrici da 150 watt ciascuno, i quali sono collegati a rulli in gomma che spingono le ruote posteriori del passeggino.

Processo di Installazione e Sicurezza

L’installazione è sorprendentemente intuitiva: basta fissare il kit al telaio del passeggino, inclinare i rulli per garantire il contatto con le ruote e bloccare il sistema. I genitori possono regolare la velocità e monitorare lo stato della batteria tramite un comando posizionato sul manubrio. Easy-Way integra un meccanismo di blocco automatico che immobilizza le ruote in caso di rilascio del manubrio, evitando rischi per il bambino. Inoltre, consente di riciclare e riutilizzare passeggini già in uso, trasformandoli in modelli elettrici senza la necessità di acquistarne uno nuovo, contribuendo a una soluzione ecologica e sostenibile per le famiglie.

Il kit Easy-Way, lanciato su Kickstarter, ha suscitato l’attenzione di molti genitori, ma la campagna è stata interrotta lo scorso 12 novembre senza motivazioni ufficiali. Il progetto rappresenta comunque un’idea brillante, dimostrando come la tecnologia possa migliorare la vita quotidiana nel rispetto del pianeta.

Fonte: Kickstarter

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Gli scienziati lanciano satelliti nello spazio per creare eclissi solari artificiali

La missione Proba-3 dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) utilizza due per generare eclissi solari , una tecnologia innovativa in grado di rivelare i misteri della corona solare e di migliorare la nostra comprensione del clima spaziale. Il lancio è avvenuto il 5 dicembre dalla costa orientale dell’India.

Nella corona solare, che si estende sopra la superficie del Sole, le temperature raggiungono milioni di gradi, superando di gran lunga i 5.500°C del nucleo . Questo fenomeno, che le leggi fisiche conosciute, è legato all’origine di eventi di meteorologia spaziale, come brillamenti solari ed espulsioni di massa coronale, che possono influenzare le comunicazioni sulla Terra e danneggiare i satelliti.

Fino ad ora, gli scienziati hanno potuto osservare la corona solo durante le rare eclissi totali di Sole, che durano solo pochi minuti, limitando le possibilità di studio. La missione Proba-3 intende cambiare questa situazione.

Due satelliti in sincronia

Proba-3 è formata da due satelliti: l’Occulter, che blocca la luce del Sole, e il Coronagraph, che osserva la corona dietro l’ombra generata. I satelliti devono mantenere un allineamento preciso di 144 metri nello , un compito reso possibile grazie a tecnologie avanzate, inclusi giroscopi e sensori stellari. Secondo le dichiarazioni di uno dei ricercatori del progetto, Daniel Seaton, il processo è paragonabile a lanciare una palla da calcio da una parte all’altra di un campo e farla atterrare esattamente su una monetina.

Le eclissi artificiali generate da Proba-3 non saranno visibili dalla Terra, ma si svolgeranno nello spazio, durando fino a sei ore, un significativo miglioramento rispetto ai pochi minuti concessi dalle eclissi naturali. Questo permetterà agli scienziati di osservare fenomeni solari prolungati.

Opportunità future

Le immagini raccolte verranno condivise dall’ESA, aprendo nuove vie per comprendere i processi della corona e il loro impatto sulla Terra. Se la missione avrà successo, la tecnologia potrebbe essere applicata per bloccare la luce di altre stelle, facilitando la scoperta di pianeti lontani e l’esplorazione di sistemi stellari.

Fonte: ESA

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Scoperta di un relitto nei pressi del Kenia potrebbe indicare il galeone di Vasco da Gama con una svolta per l’archeologia

Gli archeologi credono di aver trovato il São Jorge, appartenuto a da Gama, al largo della costa kenyota: il relitto offre reperti preziosi e storie mai raccontate sulla navigazione e l’esplorazione del XVI secolo.

©CFE

Un team di archeologi marittimi ha individuato quello che potrebbe essere un importante relitto storico: la São Jorge, un galeone portoghese collegato alla flotta di Vasco da Gama, è stato scoperto fondali marini di Malindi, in Kenya. Qualora le analisi confermassero l’identità della nave, la potrebbe costituire un evento significativo per gli studi di archeologia marittima e per la comprensione delle esplorazioni europee nel XVI secolo.

La ricerca ha avuto inizio nel 2013, quando Caesar Bita, archeologo subacqueo del Museo Nazionale del Kenya, ha ricevuto una segnalazione da un pescatore. Questa segnalazione ha avviato un processo di indagini che ha portato all’identificazione dei resti di una nave. Successivamente, Bita ha collaborato con Filipe Castro, esperto dell’Università di Coimbra, per esaminare il sito. I due ricercatori considerano molto probabile che il relitto sia quello della São Jorge, affondata nel 1524 durante la terza spedizione verso l’India da parte di Vasco da Gama. Se confermata, si tratterebbe del più antico relitto europeo scoperto nell’Oceano Indiano.

Cosa è stato recuperato

Il galeone si trova a una profondità di appena 6 metri, tutelato dalla comunità locale, coinvolta in un progetto di archeologia comunitaria. Questo approccio non solo serve a salvaguardare il sito, ma permette anche alla popolazione di partecipare attivamente alle ricerche e alla documentazione.

Tra i reperti finora estratti ci sono avorio d’elefante, lingotti di rame e frammenti dello scafo, sebbene l’80% del relitto rimanga ancora coperto da uno strato di corallo. Gli oggetti recuperati risalgono al primo quarto del XVI secolo, indicando che la nave stesse navigando verso l’India, piuttosto che di ritorno verso il Portogallo.

Misteri da svelare

Nonostante ci siano indizi che suggeriscano l’identificazione della nave come São Jorge, la sua vera identità non è stata ancora confermata. Alcuni esperti ipotizzano possa trattarsi della Nossa Senhora da Graça, un’altra nave portoghese affondata nel 1544.

Sean Kingsley, archeologo marittimo non coinvolto nelle ricerche, ha descritto la scoperta come “polvere di archeologica”, evidenziando l’importanza di tutelare un relitto di tale rilevanza. Il team di ricerca ha pertanto avviato un programma di formazione per i membri della comunità locale, affinché possano monitorare il sito e contribuire alle indagini future.

Fonte: CFE

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Willow: il chip quantistico di Google sfida l’impossibile e può cambiare il mondo

Il calcolo quantistico fa passi da gigante con , il nuovo chip di in grado di eseguire in pochi minuti calcoli impossibili per i supercomputer.

©Google Willow

Google ha presentato Willow, un chip di calcolo quantistico capace di eseguire in pochi minuti calcoli che richiederebbero ai supercomputer più avanzati circa 10 settilioni di anni. Hartmut Neven, fondatore di Google Quantum AI, ha definito questo risultato “sbalorditivo”, evidenziando la portata di un tale lasso di tempo.

Il progresso verso un calcolo quantistico pratico è ancora in fase embrionale, ma Willow rappresenta un significativo passo avanti. Neven e un team di circa 300 ricercatori puntano alla realizzazione di computer quantistici in grado di affrontare importanti sfide globali, tra cui la fusione nucleare sicura, il cambiamento climatico e la progettazione di batterie ecologiche innovative.

Una tecnologia con potenziale trasformativo

Il nucleo di Willow è la sua capacità di correggere errori con una precisione senza precedenti. Questo problema, che ha rappresentato una sfida per la comunità scientifica per quasi trent’anni, potrebbe avere una soluzione grazie a un principio innovativo: aumentare il numero di qubit nel sistema contribuisce a ridurre gli errori. Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, è come un vero e proprio trampolino per la costruzione di computer quantistici affidabili, come spiegato da Julian Kelly, direttore dell’hardware quantistico di Google. Tuttavia, il è ancora nelle fasi iniziali.

La correzione degli errori resta l’obiettivo finale nel calcolo quantistico.

Il calcolo quantistico genera entusiasmo perché i qubit, a differenza dei bit tradizionali degli attuali computer (che possono essere solo 0 o 1), possono esistere simultaneamente in più stati. Questo significa che è possibile analizzare un numero considerevole di possibilità contemporaneamente, promettendo di risolvere problemi che oggi sembrano insormontabili.

Una corsa globale verso l’innovazione tecnologica

La rivoluzione quantistica rappresenta non solo una sfida scientifica, ma anche una questione geopolitica di rilevanza cruciale. Stati Uniti e Cina competono attivamente, investendo notevoli risorse per prevalere in questo settore. Secondo Olivier Ezratty, esperto di tecnologie quantistiche, negli ultimi cinque anni il campo ha ricevuto finanziamenti pubblici e privati per oltre 20 miliardi di dollari a livello mondiale. In aggiunta, il governo statunitense ha stabilito restrizioni severe esportazioni di questa tecnologia verso la Cina, riconoscendone l’importanza strategica.

Willow è più di un semplice chip; rappresenta una visione per un futuro dove scienza e tecnologia possono integrarsi per affrontare grandi problematiche globali. Le possibili applicazioni spaziano dalla creazione di farmaci personalizzati alla produzione di energia rinnovabile, illustrando l’impatto potenziale di tale innovazione.

È stata descritta da Sundar Pichai, CEO di Google, come “un passo importante per realizzare computer quantistici con applicazioni pratiche”, con esempi che includono la scoperta di nuovi farmaci e la progettazione di materiali sostenibili. Nonostante ci vorrà del tempo per vedere un computer quantistico pienamente operativo, ogni progresso ci avvicina a questo ambizioso obiettivo.

Fonte: Nature

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Il volto del più grande faraone dell’Antico Egitto è ricreato dopo 3.350 anni

3.350 anni dalla sua morte, Amenhotep III torna a “vivere” grazie a una ricostruzione scientifica che ripercorre la sua magnificenza: il , simbolo di un’epoca di pace e prosperità, rivela il suo volto al mondo moderno.

©Cícero Moraes

Noto per il suo superbo soprannome “il Magnifico”, Amenhotep III regnò per quasi quarant’anni durante la XVIII dinastia del Nuovo Regno, ascendendo al trono in giovane età. Il suo regno, datato tra il 1388 e il 1351 a.C., è considerato il periodo più glorioso dell’antico , contraddistinto da una notevole grandiosità architettonica. Le opere più significative del faraone includono il complesso del tempio di Luxor, i monumenti di Karnak e Memphis, e il tempio commemorativo a Kom el-Hettan, sorvegliato dai Colossi di Memnone.

Il corpo mummificato di Amenhotep III ha subito ampi danni a causa del trascorrere dei secoli, rendendo difficile l’interpretazione del suo aspetto reale. Gli studiosi hanno evidenziato che “non è possibile dedurre i tratti del volto in modo diretto, come avviene per le mummie meglio preservate”, a causa dello stato di deterioramento del cranio, che si presenta in gran parte scheletrizzato.

Il mistero della conservazione atipica

Il particolare stato di deterioramento è attribuibile a un inusuale processo di mummificazione. Amenhotep III, contrariamente alla prassi consueta, fu immerso in un bagno di natron liquido, successivamente sigillato con resina, trasformandolo in una “statua-mummia”. Questo processo ha reso la ricostruzione del volto un’operazione complessa.

Per la ricostruzione, sono state utilizzate le note dell’anatomista Grafton E. Smith, che analizzò la mummia nel 1905. Comparando i dati di Smith con fotografie dell’epoca, è emerso un errore nelle misure del cranio, inizialmente stimate a 194 millimetri, quando in realtà erano di 174 millimetri. Questi dati, insieme a dettagli quali la distanza tra gli occhi e la dimensione delle orbite oculari, hanno contribuito a un modello cranico accurato.

La ricostruzione del volto di Amenhotep III è stata realizzata sovrapponendo scansioni tomografiche di individui moderni al modello cranico per definire i tessuti molli. Questo ha prodotto due versioni dell’immagine: una neutra, in scala di grigi e con gli occhi chiusi, e una più artistica con occhi aperti, colori realistici e abiti dell’epoca, rappresentando al meglio l’essenza del faraone soprannominato “il Magnifico”.

Fonte: Clinical Anatomy

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