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Acidi forti: caratteristiche, esempi, costanti di equilibrio

Acidi Forti: Caratteristiche, Esempi e Costanti di Equilibrio

Gli acidi forti si distinguono per la completa dissociazione in soluzione, determinando un corrispondente al logaritmo negativo della dell’acido. Secondo la teoria di Arrhenius, gli acidi sono capaci di liberare ioni H+ in soluzione, mentre secondo la teoria di Brönsted-Lowry, gli acidi fungono da donatori di protoni. La maggior parte degli acidi considerati acidi di Arrhenius sono anche considerati acidi forti.

A differenza degli acidi deboli, gli acidi forti sono in minor numero sia inorganici che organici.

Caratteristiche degli Acidi Forti

Gli acidi forti spiccano per la loro elevata costante di equilibrio Ka, che li rende capaci di avere un pH inferiore a zero quando sono molto concentrati. Ad esempio, l’, caratterizzato da una costante dell’ordine di 106, avrà un pH inferiore a zero se la sua concentrazione supera 1 M.

La concentrazione degli ioni H+ in soluzione coincide con la concentrazione dell’acido. Ad esempio, per l’acido cloridrico, la sua dissociazione in acqua può essere espressa come: HCl + H2O → H3O+ + Cl. Quindi, se la concentrazione di HCl è 0,10 m, avremo [H3O+] = 0,10 e il pH sarà 1,0.

Valori delle Costanti di Equilibrio

Ecco un elenco di alcuni acidi forti, ordinati in base all’ decrescente, e le rispettive costanti di dissociazione (Ka):

(HClO4), Ka = 1010
– Acido iodidrico (HI), Ka = 109,3
– Acido bromidrico (HBr), Ka = 108,7
– Acido cloridrico (HCl), Ka = 106
– Acido solforico (H2SO4) *, Ka = 103
– Acido p-toluensolfonico (CH3C6H4SO3H)**, Ka = 102,8
– Acido nitrico (HNO3), Ka = 102
– Acido metansolfonico (CH3SO3H), Ka = 101,9

*Si fa notare che l’acido solforico è un acido diprotico, forte solo nella prima dissociazione, mentre la seconda è regolata da una Ka dell’ordine di 10-2.

Conclusione


Gli acidi forti presentano costanti di equilibrio notevolmente elevate, conferendo loro una capacità di ridurre il pH a valori inferiori a zero quando sono altamente concentrati. Questo rende gli acidi forti particolarmente importanti in vari contesti a livello chimico e industriale, sottolineando l’importanza di comprenderne le caratteristiche e le costanti di equilibrio per un’approfondita conoscenza della chimica.

Composti inorganici del carbonio: ossidi, carbonati, idrogenocarbonati

Composti inorganici del carbonio

I composti inorganici del carbonio sono sostanze che contengono carbonio estratte da minerali, secondo un’antica definizione ancora accettata.

Nel 1807, il chimico svedese Berzeluis coniò il termine “chimica organica” per indicare la branche della chimica che si occupa di composti contenenti carbonio estratti da organismi viventi. In contrapposizione, i composti contenenti carbonio estratti dai minerali venivano definiti “composti inorganici del carbonio”. Nonostante nel 1828 il chimico tedesco Wöhler abbia sintetizzato l’urea a partire dalla decomposizione del cianato di ammonio, la suddivisione ipotizzata da Berzelius è ancora oggi utilizzata.

Il carbonio si presenta in varie forme allotropiche, tra cui il diamante e la grafite. Solo negli ultimi decenni sono state scoperte altre forme allotropiche, come i fullerene e il grafene.

La chimica del carbonio è determinata da tre fattori principali: l’ibridazione del carbonio, l’elettronegatività e la formazione di doppi legami con i non metalli come azoto, ossigeno, e zolfo.

Composti

I composti inorganici del carbonio includono carburi, ossidi e carbonati.

I carburi possono essere classificati in base alle loro proprietà e si distinguono in carburi covalenti o molecolari, ionici o salini e interstiziali. Tra i carburi più importanti ci sono il carburo di silicio, il carburo di calcio e il .

Ossidi

Gli ossidi del carbonio includono il monossido di carbonio (CO) e il biossido di carbonio (CO2), derivanti rispettivamente dalla combustione incompleta e completa del carbonio. Il monossido di carbonio può essere ottenuto anche dalla reazione tra carbonio e vapore acqueo.

Il monossido di carbonio è un gas tossico che reagisce con l’emoglobina del sangue per formare la carbossiemoglobina. È un gas incolore, insapore e inodore.

Il biossido di carbonio è un gas incolore, inodore e incombustibile costituito da una molecola lineare apolare. E’ un gas presente nell’atmosfera ottenuto da processi di combustione, dalla fermentazione dei carboidrati ed è un sottoprodotto della respirazione. E’ una sostanza di fondamentale importanza nei processi vitali di animali e piante.

Inoltre, il biossido di carbonio trova ampio utilizzo nell’industria chimica.La fotosintesi clorofilliana e la respirazione sono processi cruciali nel ciclo del carbonio. Le piante verdi, organismi autotrofi, sono in grado di convertire il biossido di carbonio e l’acqua in glucosio e ossigeno secondo l’equazione: 6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2. Al contrario, nel processo di respirazione, viene assunto ossigeno e la reazione avviene in senso inverso.

Il biossido di carbonio si solubilizza in acqua a pressione atmosferica per formare un equilibrio con l’acido carbonico. La sua solubilità è influenzata dalla pressione secondo la legge di Henry. Questo gas incombustibile è utilizzato in diversi settori, tra cui nell’industria alimentare come regolatore dell’acidità e negli estintori.

I carbonati, composti inorganici del carbonio, includono il (soda), che trova impiego nell’igiene domestica, nella produzione di vetro, carta, e detergenti. Questo composto è inoltre utilizzato come addolcitore dell’acqua, per precipitare gli ioni di calcio e magnesio presenti nelle acque dure, e come materia prima per la sintesi di vari composti chimici.

Altri carbonati comuni sono il carbonato di potassio (potassa), utilizzato nella produzione di vetro e saponi, quello di litio, impiegato nelle batterie al litio e come stabilizzante dell’umore, e il carbonato di calcio, impiegato nella fabbricazione di carta e materie plastiche e come correttivo dell’acidità del terreno.

Inoltre, ci sono altri composti legati al carbonato come quelli di stronzio, nichel e cobalto, ognuno con diversi utilizzi industriali e chimici. Gli idrogeno carbonati, noti come bicarbonati, sono impiegati in come lieviti chimici, antiacidi, dentifrici e per la deacidificazione dei fumi industriali derivanti da processi di combustione.

In conclusione, i carbonati e gli idrogeno carbonati giocano un ruolo significativo in numerosi settori industriali e chimici, fornendo una vasta gamma di utilizzi e applicazioni nella vita di tutti i giorni.

Perossiacidi: proprietà, sintesi, reazioni

Perossiacidi: caratteristiche, generazione e applicazioni

I perossiacidi, noti anche come acidi perossicarbossilici o peracidi, sono composti organici che presentano il gruppo funzionale –OOH con una formula generale di R-CO-OOH, dove R può essere un gruppo alchilico o arilico. Questa categoria include anche i perossiacidi inorganici come l’acido di Caro e l’acido perossifosforico.

I perossiacidi organici assumono il nome dell’acido carbossilico con lo stesso numero di atomi di carbonio anteponendo il prefisso per-.

Proprietà dei Perossiacidi

I perossiacidi agiscono come potentissimi agenti e vengono impiegati principalmente nell’ossidazione degli a (reazione di Prilezhaev), dei chetoni a esteri (reazione di Baeyer-Villiger), delle a ossidi di ammina e dei a solfossidi. Sebbene siano agenti ossidanti, i perossiacidi sono meno acidi rispetto agli acidi carbossilici con lo stesso numero di atomi di carbonio, determinato dal fatto che la forma deprotonata non è stabilizzata per risonanza come avviene per gli acidi carbossilici. Ad esempio, il pKa dell’acido acetico è di 4.7, mentre quello dell’acido peracetico è di 8.2. Inoltre, i perossiacidi alifatici hanno un odore sgradevole che irrita la pelle e le mucose.

Sintesi dei Perossiacidi

I perossiacidi possono essere sintetizzati per ossidazione dell’acido carbossilico corrispondente con perossido di idrogeno o dalla reazione di un alogenuro acilico con perossido di idrogeno. Tuttavia, sono generalmente poco stabili, con l’eccezione dell’acido m-cloroperossibenzoico, che viene comunemente utilizzato come reagente in laboratorio.

Reazioni dei Perossiacidi

I perossiacidi reagiscono con gli alcheni per formare gli epossidi in modo stereospecifico in cis. Inoltre, reagiscono con i chetoni per formare gli esteri e con i chetoni ciclici per produrre i lattoni attraverso la reazione di ossidazione di Baeyer-Villiger. Infine, reagiscono con le ammine terziarie per formare gli ossidi di ammina.

In conclusione, i perossiacidi presentano interessanti proprietà e un’ampia gamma di applicazioni, dalle reazioni di sintesi in laboratorio all’industria chimica, grazie alla loro azione come agenti ossidanti in diverse condizioni.

Acidi e basi: forti e deboli

Acidi e basi: caratteristiche e differenze

Gli acidi e le basi sono composti chimici che svolgono un ruolo fondamentale nella chimica, sia organica che inorganica. Le tampone biologiche, costituite da acidi e basi deboli, sono fondamentali per mantenere adeguato il del corpo e permettere lo svolgimento ottimale dei processi biochimici.

Secondo la definizione di Brønsted-Lowry, gli acidi sono capaci di donare ioni H+ mentre le basi sono accettori di ioni H+. Queste definizioni sono strettamente connesse, poiché la presenza di una specie in grado di donare ioni H+ implica la presenza di una specie in grado di accettarli.

Ad esempio, considerando la reazione tra acido acetico e ammoniaca:
CH3COOH(aq) + NH3(aq) ⇌ CH3COO-(aq) + NH4+(aq)

Nel suddetto equilibrio, l’acido acetico cede uno ione H+ comportandosi da acido, mentre l’ammoniaca accetta uno ione H+ e si comporta da base. Quando gli acidi e le basi reagiscono, i prodotti sono un nuovo acido e una nuova base. Ad esempio, lo ione acetato CH3COO- è una base in quanto può accettare uno ione H+, mentre lo è un acido in quanto può cedere uno ione H+.

Acidi forti e acidi deboli

La reazione tra un acido e un solvente è una reazione di dissociazione. Gli acidi possono essere suddivisi in due categorie: acidi forti e acidi deboli. Un acido forte, come l’acido cloridrico, trasferisce completamente il suo protone all’acqua:

HCl(aq) + H2O(l) → H3O+(aq) + Cl-(aq)

Nota che in un solvente diverso dall’acqua, un acido forte potrebbe comportarsi diversamente. Gli acidi che sono considerati forti in acqua includono l’acido cloridrico, l’acido iodidrico, l’, l’acido bromidrico, l’ e l’acido solforico relativamente alla prima dissociazione.

Al contrario, un acido debole, come l’acido acetico, non si dissocia completamente. La reazione rimane in equilibrio, con la maggior parte dell’acido rimanendo indissociato e solo una piccola quantità della base coniugata presente.

Acidi poliprotici

Alcuni acidi hanno più di un protone acido, come ad esempio l’acido solfidrico con due protoni acidi e l’acido fosforico con tre protoni acidi. Questi acidi sono rispettivamente classificati come diprotici e triprotici, o più generalmente poliprotici, e sono caratterizzati da due o tre costanti di dissociazione.

Basi forti e basi deboli

Un esempio di base forte è l’idrossido di un metallo alcalino come NaOH, che si dissocia completamente per dare lo ione idrossido. Al contrario, una base debole, come l’ammoniaca, accetta solo parzialmente un protone dal solvente ed è caratterizzata da una costante basica.

Le basi deboli poliprotiche, analogamente agli acidi poliprotici, sono caratterizzate da due o tre costanti di equilibrio.

Queste distinzioni sono fondamentali per comprendere le proprietà e il comportamento degli acidi e delle basi in diverse situazioni e solventi.

Solventi organici: non polari, polari protici, polari aprotici

Solventi Organici: Caratteristiche e Classificazione

I solventi organici sono liquidi con bassa di ebollizione, basso peso molecolare e inerzia chimica. Essi sono utilizzati per solubilizzare altre sostanze estrarre composti chimici, grazie alle loro caratteristiche acido-base: possono essere polari protici, polari aprotici, o non polari. I solventi protici possiedono un atomo di idrogeno dissociabile e sono in grado di formare legami a idrogeno, mentre i solventi aprotici non presentano un atomo di idrogeno dissociabile.

Classificazione dei Solventi Organici

I solventi organici si suddividono in:
1) Solventi non polari
2) Solventi polari protici
3) Solventi polari aprotici

Tale classificazione può essere ulteriormente basata sulla loro temperatura di ebollizione o sulla polarità crescente.

Esempi di Solventi Organici

Tra i solventi non polari, troviamo solventi alifatici come il n-pentano, il ciclopentano, e il n-esano. Tra i solventi non polari alogenati ci sono il cloroformio e il diclorometano, mentre tra i solventi non polari contenenti ossigeno troviamo il 1,4-diossano e l’etere etilico. Per quanto riguarda i solventi polari aprotici, alcuni esempi sono il tetraidrofurano (THF), l’acetone e il dimetilsolfossido (DMSO).

Concludendo, i solventi organici sono fondamentali in chimica per la loro capacità di solubilizzare altre sostanze e sono categorizzati in base alla loro polarità.I solventi organici sono sostanze chimiche utilizzate per sciogliere materiali non miscibili, come solidi, liquidi o gas. Questi solventi sono ampiamente diffusi in ambito chimico e industriale per la loro capacità di sciogliere varie sostanze. Alcuni esempi di solventi organici sono l’acetone, il , il nitrometano e molti altri.

La temperatura di ebollizione dei solventi organici è un’importante caratteristica che è direttamente correlata alla velocità di evaporazione. Questi solventi possono essere classificati in base alla temperatura di ebollizione, ad esempio, il dietiletere, il clorometano e l’acetone evaporano rapidamente a temperatura ambiente, mentre il dimetilsolfossido richiede temperature molto elevate per evaporare.

Oltre alla capacità di sciogliere altre sostanze, i solventi organici hanno un’influenza significativa sulla reattività chimica. Possono influenzare la solubilità, la stabilità, la velocità della reazione, la posizione dell’equilibrio, la stereoselettività e il meccanismo della reazione. L’uso del solvente appropriato può consentire il controllo della cinetica e della termodinamica della reazione chimica.

In conclusione, i solventi organici svolgono un ruolo cruciale in vari settori industriali e chimici, influenzando significativamente le proprietà e la reattività delle sostanze con cui vengono a contatto. È pertanto fondamentale selezionare e utilizzare i solventi in modo oculato per ottenere i risultati desiderati nelle diverse applicazioni.

Composti organici dello zolfo: tioli, acidi solfonici, solfinici, solfuri, disolfuri

Composti organici dello : tioli, , solfinici, solfuri, disolfuri

I composti organici dello zolfo comprendono una vasta gamma di specie, ognuna con diverse proprietà e reattività, ad esempio i tioli.

Tra i composti organici dello zolfo, i tioli o mercaptani rappresentano una delle categorie più importanti. Si tratta di analoghi agli alcoli, noti anche come tioalcoli, che presentano il gruppo funzionale –SH invece del gruppo funzionale –OH tipico degli alcoli. La nomenclatura di questi composti è simile a quella degli alcoli: ad esempio, CH3SH può essere chiamato metantiolo (mercaptano metilico o tiolo metilico) e CH3OH è conosciuto come (alcol metilico).

Gli analoghi solforati degli eteri sono chiamati solfuri o , mentre i disolfuri hanno una struttura RSSR, simile a quella dei perossidi. La nomenclatura di questi composti è analoga a quella degli eteri.

Esistono altre classi di composti dello zolfo che presentano legami con altri atomi, principalmente ossigeno, portando alla formazione di composti simili agli acidi solforico e solforoso.

Gli acidi solfonici e solfinici sono sempre denominati come derivati degli idrocarburi e sono analoghi agli acidi carbossilici, sostituendo il gruppo CO con SO2 o SO e formando derivati simili.

I sono composti che contengono cationi con tre gruppi idrocarburici connessi a un atomo di zolfo, con proprietà tipiche dei sali inorganici.

I mercaptani differiscono dagli alcoli corrispondenti per la loro temperatura di ebollizione inferiore e per la mancanza di legami ad idrogeno. Alcune proteine contengono il gruppo solfidrilico –SH e legami S-S, mentre la cipolla emana il suo odore pungente a causa della presenza di solfuri.

Gli acidi solfonici sono importanti prodotti chimici industriali, simili per forza all’acido solforico, e trovano impiego come catalizzatori acidi in reazioni organiche, grazie alla loro alta solubilità in molti solventi organici.

In conclusione, i composti organici dello zolfo rappresentano una vasta gamma di specie chimiche con diverse applicazioni e proprietà, dalle caratteristiche odorose dei mercaptani all’importanza industriale degli acidi solfonici e dei loro sali.

Composti fosforo-organici: proprietà, reazioni

Composti organofosforici: caratteristiche e reazioni

I composti organofosforici sono sostanze organiche che presentano un legame -ossigeno, in cui il fosforo assume un numero di ossidazione di +3 o +5. Il fosforo, con configurazione elettronica [Ne] 3s^2 3p^3, composti PX3 con numero di ossidazione +3 e, se promuove un elettrone nell’orbitale 3d vuoto, dà origine a composti del tipo PX5, con numero di ossidazione +5. Quest’ultimo caso rappresenta un’espansione dell’ottetto.

Il fosforo, appartenente al Gruppo 15 insieme all’azoto, presenta numerose analogie con quest’ultimo. È importante notare che il fosforo, a differenza dell’azoto, possiede orbitali d accessibili, è più grande, più polarizzabile e meno elettronegativo.

Proprietà dei composti organofosforici

I composti con fosforo a numero di ossidazione +3 si comportano come nucleofili migliori rispetto ai corrispondenti composti azotati. Inoltre, i centri al fosforo sono più elettrofili, ovvero più suscettibili all’attacco nucleofilo, rispetto agli analoghi composti contenenti azoto. Analogamente alle , i composti organofosforici sono debolmente basici e formano addotti con gli acidi.

Reattività e analogie con le ammine

La velocità delle reazioni dei composti organofosforici aumenta con il numero di sostituenti alchilici a causa delle proprietà elettrondonatrici dei gruppi alchilici. Al contrario, nelle reazioni delle ammine con agenti alchilanti, l’ordine è inverso a causa del predominio del fattore sterico.

Ad esempio, la (C6H5)3P reagisce facilmente con lo ioduro di metile CH3I, mentre la trifenilammina (C6H5)3N risulta inerte. Questo può essere attribuito all’effetto sterico e alla delocalizzazione del doppietto elettronico dell’azoto negli anelli aromatici.

Reazioni e applicazioni

Un esempio ben noto è la , in cui un alogenuro alchilico reagisce con un trialchilfosfito per formare un estere fosfonato. La reazione procede attraverso un meccanismo SN2 che coinvolge un attacco nucleofilo del fosforo all’alogenuro alchilico, formando un fosfonio intermedio. Successivamente, l’anione alogenuro reagisce con l’intermedio per formare il fosfonato e un altro alogenuro alchilico.

In conclusione, i composti organofosforici presentano interessanti proprietà e reattività, offrendo un ampio spettro di applicazioni in diversi campi della chimica.

Pigmenti organici: generalità, coloranti

Pigmenti Organici: Caratteristiche e Classificazione

I pigmenti organici di origine naturale sono stati utilizzati dall’umanità sin dall’antichità per decorare e colorare oggetti. Nel corso della , la ricerca di materiali coloranti ha portato all’estrazione di sostanze da frutti, fiori, insetti e cortecce. Il primo pigmento organico di sintesi, noto come malveina o violetto di Perkin, fu sviluppato da Perkin nel 1856.

Gruppi di Pigmenti

I pigmenti organici sono generalmente suddivisi in tre gruppi principali: pigmenti, sali insolubili e lacche. I pigmenti sono composti organici insolubili utilizzati direttamente dalla sintesi. I sali insolubili, noti anche come toner, provengono da coloranti acidi o basici solubili in acqua, convertibili in insolubili mediante precipitazione. Le lacche sono ottenute per precipitazione del colorante organico solubile su un supporto inorganico.

Tipologie di Coloranti

I coloranti organici possono essere classificati in base al processo impiegato per la loro applicazione. Si distinguono coloranti a mordente, e . I coloranti a mordente si legano a una matrice tessile tramite l’aggiunta di un mordente, mentre i coloranti al tino vengono ridotti in solubile per essere successivamente ossidati a forma insolubile e colorata. I coloranti diretti contengono cromofori solubili in acqua con un’alta affinità rispetto alle fibre tessili.

Proprietà dei Pigmenti Organici

I pigmenti organici, rispetto a quelli inorganici, presentano colori più puri e brillanti, ma sono inferiori in termini di potere coprente, resistenza alla migrazione, al calore e alla luce. Tuttavia, la loro estrema versatilità cromatica dipende dalla struttura cristallina e conformazione granulometrica, nonché dalla natura chimica che può essere modificata sfruttando le possibilità di introduzione di gruppi sostituenti nelle strutture chimiche.

Conclusioni

Nonostante alcune limitazioni come la resistenza chimica e il sanguinamento, i pigmenti organici trovano impiego in vari settori per la capacità di creare effetti decorativi in una vasta gamma di colori. Spesso, vengono utilizzati in combinazione con pigmenti inorganici per sfruttare il potere coprente di questi ultimi insieme alle caratteristiche cromatiche dei pigmenti organici.

Marcamento isotopico: applicazioni, identificazione delle proteine

Marcamento isotopico nelle scienze chimiche

Il marcamento isotopico è una tecnica che consiste nella sostituzione di uno o più atomi di una molecola con i loro per tracciare il loro destino in una reazione chimica. Questi isotopi possono essere individuati usando specifici metodi analitici, consentendo di seguire il percorso di un atomo marcato e ipotizzare il suo coinvolgimento nei di reazione. Nella chimica organica e biologica, vengono comunemente impiegati isotopi come il deuterio (2H), il trizio (3H), il carbonio-13 (13C), il carbonio-14 (14C), l’azoto-15 (15N) e l’ossigeno-18 (18O).

Per individuare la presenza di isotopi in una molecola vengono impiegati metodi come la spettrometria di massa, la spettrometria I.R., la e la camera di ionizzazione. Un esempio comune di applicazione del marcamento isotopico è rappresentato dalla reazione di tra un acido carbossilico e un alcol in ambiente acido. In un caso specifico, è stato marcato isotopicamente l’ossigeno dell’alcol per identificare quale ossigeno fosse presente nel prodotto di reazione, fornendo importanti indicazioni sul meccanismo reattivo.

Nel campo della proteomica, che si occupa dell’identificazione e caratterizzazione delle in termini di struttura, funzione e interazioni molecolari, vengono introdotti isotopi naturali a bassa abbondanza di carbonio, azoto, idrogeno e talvolta ossigeno in una proteina o peptide. Questa tecnica, nota come proteomica comparativa, consente di confrontare due campioni, uno marcato e l’altro non, per analizzarne le relative quantità di determinate proteine attraverso la spettrometria di massa.

Il marcamento isotopico si presenta come una potente metodologia per l’identificazione delle proteine e per comprendere i meccanismi reattivi nelle scienze chimiche, offrendo una visione dettagliata dei processi molecolari e biochimici.

Amminoacidi: equilibri acido-base, punto isoelettrico

Equilibri acido-base e punto isoelettrico degli amminoacidi

Gli amminoacidi sono composti organici che presentano proprietà anfotere, poiché contengono almeno un e almeno un basico nella loro struttura molecolare. In particolare, negli amminoacidi naturali, il gruppo amminico si trova in posizione α rispetto al carbossile, e alcuni di essi possiedono più gruppi acidi o basici, venendo definiti amminoacidi polifunzionali.

Allo stato solido, gli amminoacidi si presentano come sostanze cristalline e decompongono solo a temperature elevate. Essi risultano insolubili nei solventi non polari, ma altamente solubili in acqua, dotati di momento dipolare e con elevate costanti dielettriche.

Le molecole di amminoacidi ionizzate interagiscono tra loro e con le molecole di acqua tramite forze di natura elettrostatica. In soluzione, gli amminoacidi possono dunque reagire sia con gli acidi che con le basi, in conformità alla loro natura anfotera.

Secondo la , un amminoacido può essere considerato come un acido debole biprotico, in cui competono due costanti di , Ka1 e Ka2. La Ka1 (la maggiore delle due) è relativa al carbossile, mentre la Ka2 è associata al gruppo acido NH3+. Entrambe le costanti dipendono dal della soluzione.

Il punto isoelettrico degli amminoacidi corrisponde al pH al quale la carica netta dell’amminoacido è uguale a zero, e in soluzione è presente solo lo ione dipolare +NH3-R-COO. In corrispondenza di questo punto, la soluzione avrà la minima conducibilità elettrica e la minima solubilità dell’amminoacido.

Inoltre, a valori più bassi di pH, la forma +NH3-R-COOH prevale, mentre a pH più alti, è la forma NH2-R-COO a essere predominante. L’insieme di questi equilibri può essere rappresentato come segue, con l’incremento del pH: +NH3-R-COOH ⇌ +NH3-R-COO (zwitterione) ⇌ NH2-R-COO.

In conclusione, il punto isoelettrico rappresenta una fase in cui la solubilizzazione delle particelle di amminoacido è ostacolata a causa della formazione di aggregati molecolari legati tra loro tramite cariche di segno opposto, riducendo la solvatazione da parte delle molecole d’acqua.

Acidi carbossilici: nomenclatura e proprietà, acidità

Acidi carbossilici: nomenclatura e proprietà

Gli acidi carbossilici sono composti organici con la formula generale RCOOH, in cui R può essere un gruppo alchile, arile o alchenile. Ne esistono diversi tipi, tra cui gli acidi bicarbossilici, che presentano due gruppi carbossilici –COOH nella molecola. La nomenclatura degli acidi carbossilici può essere fatta in modo sistematico secondo le norme I.U.P.A.C. oppure in modo comune.

Nomenclatura degli acidi carbossilici

La nomenclatura sistematica segue le regole I.U.P.A.C. e stabilisce che il nome dell’acido carbossilico si ottiene dal nome dell’idrocarburo corrispondente alla più lunga catena di atomi di carbonio contenente il carbossile. In caso di acidi monocarbossilici, si sostituisce il suffisso –ano o –ene con –oico; mentre per gli acidi bicarbossilici, il suffisso diventa –dioico. La posizione degli altri sostituenti presenti nella catena è indicata numerando la catena di atomi di carbonio del carbossile con il numero 1.

La nomenclatura comune, invece, si basa su nomi di acidi carbossilici di uso corrente, fornendo un elenco comparativo di nomi sistematici e comuni di acidi mono e dicarbossilici.

Ad esempio:

– HCOOH: Acido metanoico (comunemente noto come )
– CH3COOH: Acido etanoico (comunemente noto come )
– CH3CH2COOH: Acido propanoico (comunemente noto come acido propionico)
E così via per gli altri acidi carbossilici.

Proprietà degli acidi carbossilici

Gli acidi carbossilici presentano proprietà acide a causa del –COOH. Questo gruppo funzionale è acido e dona al composto una serie di proprietà tipiche degli acidi come la capacità di reagire con le basi formando sali e acqua, nonché di reagire con gli alcoli formando esteri. Inoltre, possono mostrare comportamento di reazioni di e basicità in quanto il gruppo di ossidrile presente nell’acido può reagire con altre molecole.

Inoltre, gli acidi carbossilici saturi e insaturi presentano diverse proprietà anche in termini di solubilità in solventi non polari o polari e del punto di ebollizione.

Conclusioni

Gli acidi carbossilici sono composti organici importanti con una vasta gamma di applicazioni nelle scienze chimiche e nella vita reale. La loro nomenclatura segue regole specifiche che permettono di identificarli univocamente, mentre le loro proprietà acide li rendono oggetto di continue ricerche e applicazioni innovative per le industrie chimiche e farmaceutiche.Nomenclatura degli acidi carbossilici

Quando si tratta di nominare gli acidi carbossilici, specialmente quelli legati a un ciclo (compresi gli eterocicli), si preferisce utilizzare la nomenclatura sostitutiva funzionale. Invece di sostituire il suffisso –ene con –oico, sarebbe più corretto adottare una nomenclatura di tipo sostitutivo-funzionale.

Ad esempio, la formula dell’acido mostrata nell’immagine può essere chiamata acido 2,4,6-trimetilbenzencarbossilico in nomenclatura sostitutiva-funzionale, acido mesitoico nel nome comune e acido 2,4,6-trimetilbenzoico secondo la denominazione IUPAC.

Proprietà fisiche degli acidi carbossilici

La polarizzazione del legame carbossilico conferisce agli acidi carbossilici un punto di ebollizione più alto rispetto agli alcoli con un peso molecolare simile, a causa della maggiore forza dei legami a idrogeno intermolecolari. Questi acidi sono presenti in dimerica anche in fase vapore. La capacità di formare legami a idrogeno intramolecolari rende gli acidi carbossilici solubili in solventi polari come acqua e alcoli. Tuttavia, con l’incremento del peso molecolare, la solubilità in acqua diminuisce a causa del carattere idrofobo del gruppo R.

Struttura del carbossile e acidità

Studi di diffrazione elettronica e neutronica hanno dimostrato che il gruppo carbossilico è planare; i tre orbitali ibridi sp2 del carbonio formano, mediante sovrapposizione con gli orbitali dell’ossigeno e un orbitale sp3 del carbonio in α, i tre legami che costituiscono lo scheletro del carbossile.

In soluzione acquosa, gli acidi carbossilici presentano una reazione acida poiché il carbossile è un donatore di protoni migliore dell’acqua, come rappresentato nell’equazione chimica:

R-COOH + H2O ⇌ R-COO- (ione carbossilato) + H3O+

L’ione carbossilato può essere rappresentato come un ibrido di risonanza di due strutture di uguale contenuto energetico.

Acidità degli acidi carbossilici

L’acidità degli acidi carbossilici dipende dalla stabilità dei corrispondenti anioni carbossilati. La presenza di sostituenti nella molecola di un acido carbossilico influenza l’acidità, in relazione al contributo che tali sostituenti forniscono alla stabilizzazione dell’ione carbossilato. Ad esempio, i sostituenti elettronattrattori aumentano l’acidità poiché delocalizzano la carica negativa, stabilizzando l’ione carbossilato. Al contrario, i sostituenti elettrondonatori diminuiscono l’acidità poiché intensificano la carica negativa, destabilizzando l’ione carbossilato.

L’acidità diminuisce con l’aumento dei gruppi alchilici in α, mentre aumenta se sono presenti alogeni in α. Inoltre, l’acidità degli acidi carbossilici è influenzata, in misura sempre minore, dall’effetto induttivo che diminuisce con l’aumentare della distanza dei sostituenti elettronattrattori dal carbossile.

Negli acidi carbossilici aromatici, l’acidità è influenzata dagli effetti induttivi e di risonanza dei sostituenti sull’anello. Mentre i sostituenti elettrondonatori impediscono la delocalizzazione sull’anello della carica negativa dell’anione carbossilato, i sostituenti elettronattrattori aumentano l’acidità, delocalizzando la carica negativa e stabilizzando l’anione carbossilato.

Elettrolisi di Kolbe: reazioni, applicazioni

Elettrolisi di Kolbe: Reazioni e Applicazioni

L’elettrolisi di Kolbe rappresenta un processo di ossidoriduzione organica che si verifica all’interno di una cella elettrochimica. Questo metodo offre diversi benefici, inclusa la capacità di controllare il potenziale elettrodico senza la necessità di agenti ossidanti o riducenti esterni.

Hermann Kolbe, chimico tedesco, nel 1849 durante le sue ricerche sull’elettrolisi dell’acetato di potassio, ha identificato una reazione che porta il suo nome. La reazione coinvolge la ossidativa di sali derivanti da acidi carbossilici, generando alcani. Questo processo, noto anche come dimerizzazione decarbossilativa, avviene attraverso un meccanismo radicalico.

L’elettrolisi di Kolbe trova impiego nella sintesi di dimeri simmetrici e asimmetrici a seconda della composizione di acidi carbossilici utilizzati come reagenti. Durante l’elettrolisi, il aumenta a causa della formazione di NaOH.

Le reazioni che avvengono all’anodo e al catodo durante l’elettrolisi di Kolbe, consentono di ottenere alcali e idrogeno come collaterali. La reazione complessiva dell’etanoato di potassio porta alla formazione di , biossido di carbonio, idrogeno e idrossido di potassio.

Questa reazione offre applicazioni pratiche nella sintesi di etano e alcani con un numero superiore di atomi di carbonio rispetto al . Tuttavia, è importante notare che il metano non può essere prodotto tramite l’elettrolisi di Kolbe a causa della sua composizione monoatomica. Inoltre, se un acido carbossilico contiene “n” atomi di carbonio, l’alcano risultante dall’elettrolisi di Kolbe conterrà 2(n-1) atomi di carbonio.

In sintesi, l’elettrolisi di Kolbe offre un metodo efficace per la produzione di alcani e rappresenta un’importante reazione nell’ambito della chimica organica.

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