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Esercizi sull’equilibrio svolti: costruzione di una I.C.E. chart

Costruzione di una I.C.E. chart per gli esercizi di equilibrio chimico gassoso

Gli esercizi sull’equilibrio chimico gassoso rappresentano una delle sfide più impegnative per gli studenti. Una strategia efficace per risolvere questi problemi è la costruzione di una I.C.E. chart. Nel contesto dell’acronimo I.C.E., “I” indica la concentrazione o la pressione iniziale di ogni specie, “C” indica la variazione delle concentrazioni o delle pressioni di ogni specie quando il sistema raggiunge l’equilibrio, e “E” indica le concentrazioni o le pressioni delle specie all’equilibrio. Le concentrazioni delle specie all’equilibrio devono essere utilizzate nell’espressione della costante di equilibrio per calcolare le quantità incognite.

Passaggi per la costruzione di una I.C.E. chart:

. Esprimere tutte le quantità iniziali in termini di molarità se si ha la Kc o in termini di pressione se si ha la Kp.

2. Per determinare la direzione dell’equilibrio, utilizzare le quantità iniziali per determinare il quoziente di , confrontandolo con il valore della costante di equilibrio Kc.

3. Considerare i della reazione di equilibrio per calcolare la variazione di ogni quantità.

4. Inserire le quantità all’equilibrio nell’espressione della costante di equilibrio.

Esercizio sull’equilibrio chimico gassoso:

Una miscela gassosa composta inizialmente da 3.00 moli di NH3, 2.00 moli di N2 e 5.00 moli di H2 e contenuta in un recipiente da 5.00 L viene riscaldata a 900 K fino al raggiungimento dell’equilibrio. Il valore di Kc per la reazione 2 NH3(g) ⇄ N2(g) + 3 H2(g) a 900 K è di 0.0076. Dopo aver espresso le quantità iniziali in termini di molarità e calcolato il quoziente di reazione, si verifica una reazione netta da destra verso sinistra. Calcolando le concentrazioni delle specie all’equilibrio si ottengono i seguenti valori: [NH3] = 1.03 M, [N2] = 0.184 M, e [H2] = 0.352 M.

Un secondo esercizio coinvolge un recipiente di 5.00 L in cui vengono messe 4.00 moli di HI. Dopo aver portato il sistema a 800 K fino al raggiungimento dell’equilibrio, il valore di Kc per la reazione 2 HI(g) ⇄ H2(g) + I2(g) è di 0.016. Le concentrazioni delle specie all’equilibrio risultano essere: [H2] = [I2] = 0.079 M e [HI] = 0.64 M.

Infine, considerando una miscela di H2 e CO2 aventi entrambi concentrazione 0.0150 M e portata a 700 K, si calcolano le concentrazioni delle specie all’equilibrio per la reazioneH2(g) + CO2(g) ⇄ H2O(g) + CO(g), per la quale Kc vale 0.106.

In conclusione, la costruzione di una I.C.E. chart si rivela uno strumento fondamentale per risolvere con successo gli esercizi sull’equilibrio chimico gassoso.Come calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica

Per calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica, è necessario considerare la costante di equilibrio, la e le concentrazioni iniziali dei reagenti. Prendiamo ad esempio l’equilibrio della reazione: CO2(g) + H2(g) ⇄ CO(g) + H2O(g) con Kc = 0.106. Inizialmente, la miscela contiene 0.570 M di H2 e 0.623 M di CO2 a 700 K. La reazione procede verso la formazione dei prodotti.

Dalla tabella delle concentrazioni iniziali e delle variazioni, sostituendo i valori nell’espressione di Kc, si ottiene un’equazione quadratica. Risolvendola, si ottiene che [H2O] e [CO] sono entrambi 0.00369 M, mentre [H2] e [CO2] sono entrambi 0.0113 M.

In un’altra reazione, N2(g) + O2(g) ⇄ 2 NO(g) con Kp = 2.0 x 10-31 a 298 K e concentrazioni iniziali di 0.78 atm di N2 e 0.21 atm di O2, la reazione procede verso la formazione dei prodotti.

Sostituendo i valori nell’espressione di Kp, si potrebbe risolvere un’equazione quadratica. Tuttavia, data la bassa costante di equilibrio, è possibile trascurare la variazione delle concentrazioni rispetto alle concentrazioni iniziali. Con questa approssimazione, la di NO all’equilibrio risulta essere 1.8 ∙ 10-16 atm.

Ecco come calcolare le concentrazioni delle specie in equilibrio in una reazione chimica, considerando le costanti di equilibrio, la temperatura e le concentrazioni iniziali dei reagenti.

Vetroceramica: preparazione, proprietà

Vetroceramica: origine, caratteristiche e

La vetroceramica è il risultato del surriscaldamento accidentale di una fornace utilizzata per produrre il . Questo nuovo materiale policristallino a grana fine è stato scoperto nel 1952 dall’inventore statunitense Stanley Donald Stookey, durante un’esperimento sui vetri, quando il termostato malfunzionante fece innalzare la oltre i 1000°C, generando una sottile polvere bianca che conferiva al materiale una resistenza insolita.

La vetroceramica è caratterizzata da proprietà comuni sia ai vetri che alle ceramiche, in quanto possiede una fase amorfa e una o più fasi cristalline ottenute da una controllata.

Il vetro e le ceramiche

Il vetro è un liquido ad alta viscosità, amorfo, rigido, trasparente ed omogeneo, ottenuto attraverso il lento raffreddamento di silicati fusi. Al contrario, le ceramiche sono materiali solidi inorganici non metallici, duttili allo stato naturale e rigidi dopo la fase di cottura. Presentano proprietà come durezza, resistenza, bassa conducibilità elettrica e resistenza alle alte temperature.

Preparazione della vetroceramica

La preparazione della vetroceramica inizia con tecniche convenzionali per la creazione del vetro. Quest’ultimo viene raffreddato e successivamente riscaldato a una temperatura di 750-1150 °C, avviando così una parziale cristallizzazione del materiale. La vetroceramica contiene almeno il 50% di struttura cristallina, arrivando in alcuni casi fino al 95%.

Durante il processo di cristallizzazione, vengono aggiunti agenti nucleanti alla composizione di base per facilitare e controllare la formazione dei cristalli.

Tipologie di vetroceramica

Le vetroceramiche sono classificate in diversi tipi in base alla composizione, ognuno con proprietà uniche e specifici utilizzi. Alcuni esempi includono LAS (Li2O·Al2O3·n SiO2) per la resistenza agli shock termici, MAS (MgO·Al2O3·n SiO2) per l’elevata resistenza meccanica ad alte temperature, e ZAS (ZnO·Al2O3·n SiO2) utilizzate nel settore meccanico.

Proprietà e utilizzi

Le vetroceramiche presentano elevate resistenza meccanica, resistenza al , assenza di porosità, bassissimo coefficiente di dilatazione termica, elevata tenacità e rigidezza. Sono utilizzate in svariati campi come edilizia, medicina, elettronica, ingegneria e arredamento.

Ad esempio, le corone in vetroceramica sono utilizzate per ricostruzioni dentarie ad alto livello estetico, mentre i piani di cottura in vetroceramica, sebbene più costosi da gestire rispetto a quelli a gas, eliminano i rischi associati a quest’ultimo rendendoli popolari in Europa settentrionale.

Infine, le vetroceramiche trasparenti trovano impiego nell’ottica, per la realizzazione di lenti per telescopi, celle solari, schermi per monitor e componenti ottici di precisione.

Equilibri eterogenei e costante di equilibrio: esercizi

Equilibri eterogenei: concetto e esempi

Gli equilibri eterogenei differiscono dagli equilibri omogenei poiché coinvolgono reagenti e prodotti presenti in più fasi. Un esempio classico è la decomposizione del , dove il CaCO3(s) ⇄ CaO(s) + CO2(g). Se condotta in un sistema chiuso, questa presenterà tre fasi all’equilibrio: carbonato di calcio solido, ossido di calcio solido e biossido di gassoso.

Espressione della

Nell’espressione della costante di equilibrio per la decomposizione del carbonato di calcio, vengono omesse le concentrazioni delle specie solide, e pertanto: Kc = [CO2]. Se si desidera esprimere la costante in termini di Kp, si avrà: Kp = pCO2. Le concentrazioni dei solidi e liquidi non vengono incluse nella costante di equilibrio, mentre vanno inserite le concentrazioni dei gas o le loro pressioni parziali, se la costante viene espressa in termini di Kp.

Variazione di equilibrio e esempi svolti

Nella decomposizione del carbonato di calcio, la concentrazione e la pressione di CO2 all’equilibrio sono costanti, indipendentemente dalla quantità iniziale di carbonato di calcio. Solo una variazione di può influenzare lo stato di equilibrio, in quanto le costanti di equilibrio sono valide solo a temperatura costante.

Alcuni esempi tipici di equilibri eterogenei includono la reazione tra Fe e H2O, la formazione di BaCO3(s) da BaO(s) e CO2(g), la formazione di CO da CO2 e C(s) e l’equilibrio di dissoluzione del fosfato di calcio. Ognuno di essi richiede un’adeguata espressione delle costanti di equilibrio, che differiscono in base alla natura delle specie coinvolte. Per esempio, per la reazione di formazione di Fe3O4(s) da Fe(s) e H2O(g), l’espressione della costante di equilibrio sarà Kc = [H2]4/[H2O]4.

La comprensione di questi concetti è fondamentale per lo studio della chimica fisica, in particolare nell’ambito della termodinamica chimica e delle reazioni in equilibrio.

Trasmissione del calore: meccanismo della conduzione, postulato di Fourier

La Trasmissione del attraverso la conduzione: Postulato di Fourier

La trasmissione del calore avviene attraverso tre diversi meccanismi: conduzione, convezione e irraggiamento. La conduzione si verifica quando l’ si trasferisce da particelle ad alta energia a particelle a bassa energia, senza che vi sia un movimento macroscopico della materia. Questo meccanismo si verifica nei solidi, nei liquidi e nei gas a causa delle collisioni tra le molecole in movimento casuale.

Nei solidi, oltre alla conduzione molecolare, si considera anche il trasferimento di calore grazie al flusso libero degli elettroni. Ad esempio, una lattina contenente un liquido a bassa si riscalda a causa del trasferimento di calore dall’ambiente esterno attraverso il contenitore metallico per conduzione.

Il meccanismo della conduzione è stato studiato da Jean Fourier nel XIX secolo. Questo meccanismo può essere descritto tramite l’equazione differenziale del postulato di Fourier, che prevede il flusso di calore in base al gradiente di temperatura e alla conducibilità termica del materiale.

La conducibilità termica, rappresentata dal simbolo λ, è una misura della capacità di un materiale di condurre il calore. Materiali con una alta conducibilità termica sono considerati buoni conduttori, mentre quelli con una bassa conducibilità termica sono ottimi isolanti. La diffusività termica, indicata con il simbolo a, rappresenta la capacità di un materiale di condurre energia termica rispetto alla sua capacità di accumulare energia.

Il fenomeno conduttivo è descritto dal campo di temperatura all’interno del corpo, che dipende dalle coordinate spaziali e dal . In regime stazionario, le superfici isoterme sono fisse, mentre in regime variabile sono mobili e deformabili. Il postulato di Fourier per la conduzione tiene conto della direzione del flusso termico in accordo con il secondo principio della termodinamica.

L’equazione di conservazione dell’energia lungo l’asse x, espressa in forma differenziale, fornisce una descrizione dettagliata della propagazione termica all’interno di un materiale. Questa equazione tiene conto del flusso termico, della generazione interna di calore e della diffusività termica del materiale.

In definitiva, la comprensione dei meccanismi di conduzione del calore e l’applicazione delle equazioni differenziali adatte sono fondamentali per comprendere e prevedere il trasferimento di calore in diversi materiali e condizioni ambientali.

Reazioni con sviluppo di gas: esempi, reazioni

Reazioni chimiche con sviluppo di gas: esempi e formazione
Le manifestazioni delle reazioni con sviluppo di gas sono spesso accompagnate dalla generazione di un’effervescenza evidente. Questi processi possono portare direttamente alla formazione di un prodotto gassoso, ad esempio quando il catione di uno dei reagenti si combina con l’anione dell’altro reagente. Un esempio di ciò è la tra l’acido solforico (H2SO4) e il solfuro di litio (Li2S):

H2SO4(g) + Li2S(aq) → Li2SO4(aq) + H2S(g)

In altre situazioni, un prodotto gassoso può essere ottenuto da una reazione che forma un intermedio che si decompone successivamente in gas. Questo è il caso della reazione tra acido cloridrico e carbonato acido di sodio, in cui inizialmente si forma l’acido carbonico che poi si decompone in biossido di carbonio e acqua:

HCl(aq) + NaHCO3(aq) → H2CO3(aq) + NaCl(aq) H2CO3(aq) → H2O(l) + CO2(g)

Altre reazioni che generano un prodotto intermedio prima della formazione di gas coinvolgono l’idrogeno solfito e l’ione ammonio. L’acido cloridrico, ad esempio, reagisce con l’idrogeno solfito di sodio per formare dapprima acido solforoso, che si decompone successivamente in biossido di zolfo e acqua:

HCl(aq) + NaHSO3(aq) → H2SO3(aq) + NaCl(aq) H2SO3(aq) → H2O(l) + SO2(g)

In un altro esempio, il cloruro di ammonio reagisce con l’idrossido di sodio per formare inizialmente idrossido di ammonio, il quale si decompone successivamente in ammoniaca e acqua:

NH4Cl(aq) + NaOH(aq) → NH4OH(aq) + NaCl(aq) NH4OH(aq) → H2O(l) + NH3(g)

Le specie chimiche più comuni che possono reagire con sviluppo di gas includono , , , solfiti, e sali di ammonio. È importante notare che i solfuri, a differenza degli altri, non formano intermedi.

Esempi di reazioni che avvengono con sviluppo di gas
– Solfuri: Li2S(aq) + 2 HNO3(aq) → 2 LiNO3(aq) + H2S(g)↑ 3 (NH4)2S(aq) + 2 H3PO4(aq) → 2 (NH4)3PO4(aq) + 3 H2S(g)↑
– Carbonati: H2SO4(aq) + CaCO3(aq) → CaSO4(aq) + H2CO3(aq) H2CO3(aq) → H2O(l) + CO2(g)↑
– Idrogenocarbonati: KHCO3(aq) + HCl(aq) → KCl(aq) + H2CO3(aq) H2CO3(aq) → H2O(l) + CO2(g)↑
– Solfiti: K2SO3(aq) + 2 HCl(aq) → 2 KCl(aq) + H2SO3(aq) H2SO3(aq) → H2O(l) + SO2(g)↑
– Idrogenosolfiti: NaHSO3(aq) + HCl(aq) → NaCl(aq) + H2SO3(aq) H2SO3(aq) → H2O(l) + SO2(g)↑
– Sali di ammonio: NH4Cl(aq) + KOH(aq) → NH4OH(aq) + KCl(aq) NH4OH(aq) → H2O(l) + NH3(g)↑

Effetto solvatocromico: shift batocromico,shift ipsocromico

L’effetto solvatocromico e i suoi shift di colore

Alcune sostanze presentano la particolarità di modificare il loro colore in relazione alla polarità del solvente, fenomeno spiegato dall’effetto solvatocromico. Questo fenomeno correla gli spettri di assorbimento e di emissione con la polarità del solvente, ed è osservabile grazie alla presenza di gruppi che assorbono a una specifica frequenza del campo del visibile.

I composti che mostrano questo effetto possono essere impiegati come indicatori della polarità dei solventi e per caratterizzare sistemi costituiti da diversi solventi e superfici solide solvatate.

L’effetto solvatocromico è causato dalla diversa polarità tra lo stato fondamentale e lo stato eccitato del cromoforo. La variazione della polarità del solvente altera l’ di stabilizzazione di questi due stati, influenzando il gap energetico tra di essi. Questa variazione può essere influenzata da interazioni polari come , e forze di van der Waals.

Questo fenomeno è supportato dal principio di Franck-Condon, il quale considera le transizioni elettroniche dei cromofori disciolti in liquidi.

Il soluto si solubilizza e viene circondato dal solvente, generando un’interazione stabilizzante. Quando queste interazioni sono diverse tra lo stato fondamentale e lo stato eccitato, si manifesta l’effetto solvatocromico.

Shift batocromico e shift ipsocromico

Il solvatocromismo può manifestarsi in due modi: positivamente, noto come shift batocromico o red shift, quando si verifica una variazione di colore in seguito a una diminuzione della polarità del solvente; oppure negativamente, noto come shift ipsocromico o blue shift, quando si verifica una variazione di colore in risposta a un aumento della polarità del solvente.

Il solvatocromismo è comunemente impiegato in diverse aree della ricerca chimica e biologica per studiare le polarità locali presenti nei macrosistemi e per comprendere la conformazione e il legame delle .

Nonostante ciò, il solvatocromismo rimane in larga parte un fenomeno sconosciuto a causa della complessità di molte interazioni e dei processi dinamici coinvolti.

Regola del 5% per gli acidi deboli: validità dell’assunzione

La validità dell’assunzione del 5% per gli acidi deboli: ecco quando vale la pena applicarla

Quando si calcola il di acidi e basi deboli, è importante considerare la regola del 5%. Questa regola si applica perché le costanti di equilibrio sono generalmente note solo con una precisione del ± 5%. Gli acidi deboli sono elettroliti solo parzialmente dissociati nei loro ioni, generando un equilibrio in soluzione acquosa. L’equilibrio è regolato dalla Ka, la cui espressione è Ka =[H3O+][ A]/[HA]. Conoscendo il valore numerico di Ka e la concentrazione iniziale dell’acido C, è possibile determinare la concentrazione delle specie in soluzione e, in particolare, il pH quando è stato raggiunto l’equilibrio.

Quando il valore di Ka è molto piccolo e la soluzione non è molto diluita, si può applicare l’assunzione del 5%. Questa assunzione è valida quando il rapporto (x/C) · 100 è inferiore a 5, dove x è la concentrazione delle specie ioniche. Se il rapporto supera il 5%, diventa necessario risolvere l’equazione di secondo grado per ottenere il pH.

Ecco alcuni esempi pratici per comprendere l’applicazione di questa regola:
– Nel caso del calcolo della concentrazione di H3O+ in una soluzione di HF 0.0100 M (Ka= 6.46 ∙ 10-4), il valore di x non può essere trascurato e si deve risolvere l’equazione di secondo grado.
– Per calcolare il pH di una soluzione 0.00100 M di (pKa = 4.19), è necessario risolvere l’equazione di secondo grado in quanto il rapporto (x/C) · 100 supera il 5%.
– Nel caso del calcolo del pH di una soluzione 0.300 M di HCN (Ka = 4.9 ∙ 10-10), l’assunzione del 5% è valida poiché il rapporto (x/C) · 100 è inferiore al 5%.

In conclusione, la regola del 5% per gli acidi deboli fornisce una guida utile per determinare quando è accettabile applicare approssimazioni durante i calcoli del pH.

Soluzioni gassose: legge di Henry

Soluzioni gassose e : un’analisi completa

Le soluzioni gassose rappresentano un miscuglio di due o più gas che si diffondono liberamente gli uni negli altri, con l’aria come esempio più comune in natura. Sono caratterizzate da proprietà uniformemente distribuite come la concentrazione e la densità, rendendo omogeneo il miscuglio.

Quando si tratta di soluzioni gassose ideali, ci sono alcune proprietà chiave da considerare. Primo, non vi è alcuna interazione energetica tra le molecole delle diverse specie nella soluzione. Secondo, a pressione e temperatura costante, c’è un contributo all’entropia totale noto come . Terzo, le soluzioni ideali sono diluite, con la concentrazione del solvente significativamente maggiore rispetto a quella del soluto.

Le soluzioni gassose presentano diverse peculiarità rispetto alle altre soluzioni, soprattutto quando si tratta della miscelazione dei gas tra loro. Ad esempio, i solidi e i liquidi possono formare soluzioni gassose, ma in misura minima, poiché l’ richiesta per allontanare le molecole tra loro è spesso eccessiva e non bilanciata dall’entropia del volume della soluzione.

Inoltre, i gas si dissolvono in misura minima nei liquidi, poiché le molecole gassose hanno un minor grado di libertà di movimento in un volume più ridotto di solvente, limitando di conseguenza la solubilità dei gas nei liquidi. Un esempio di questo è la diminuzione della solubilità del gas all’aumentare della temperatura, in contrasto con il comportamento tipico delle soluzioni.

La Legge di Henry è uno degli aspetti fondamentali nel comprendere il comportamento dei gas nelle soluzioni liquide. Stabilisce che, a temperatura costante, la solubilità di un gas in un liquido è direttamente proporzionale alla del gas in equilibrio con la soluzione. Inoltre, al variare della pressione, si verifica un cambiamento nella concentrazione del gas in soluzione, disturbandone l’equilibrio.

La legge di Henry trova valide applicazioni in una vasta gamma di gas, ad eccezione di quelli che reagiscono con il solvente, come l’acido cloridrico e l’. Inoltre, illustrate sono anche le implicazioni pratiche di queste leggi, ad esempio la solubilità dell’ammoniaca in acqua a 0°C.

Risultano interessanti le interazioni tra gas e liquidi, soprattutto quando si mescolano e si dissolvono tra loro. L’analisi della legge di Henry e delle sue implicazioni offre un’ulteriore comprensione della chimica delle soluzioni gassose e del loro ruolo nelle interazioni tra gas e liquidi.

Inversione dell’azoto: ammoniaca, ammine

Inversione dell’azoto: meccanismo e applicazioni

L’inversione dell’azoto, nota anche come inversione piramidale, si verifica in molecole piramidali come ammoniaca e . Nell’ammoniaca e nelle ammine primarie, secondarie e terziarie, l’atomo di azoto è ibridato sp3 e presenta un doppietto elettronico solitario in uno dei quattro orbitali.

La di composti del tipo R3N (dove R può essere H o un gruppo alchilico) è tetraedrica. L’atomo di azoto si trova al centro del tetraedro in cui tre vertici sono occupati dai gruppi R e il quarto vertice è occupato dalla coppia elettronica di non legame.

Pertanto il tetraedro è deformato e gli angoli di legame sono di circa 108° rispetto a quello equilatero che ha angoli di legame di 109.5°.

La conversione da una forma enantiomerica all’altra è detta inversione piramidale. Essa, in genere, avviene lentamente a ambiente. Nel caso dell’ammoniaca avviene una rapida inversione dell’azoto, infatti la barriera energetica di inversione è molto bassa (24 kJ/mol) e avviene 100 volte al secondo.

Un’ammina in cui sono presenti tre gruppi diversi legati all’azoto non è sovrapponibile alla sua immagine speculare. Pertanto, esiste in due forme enantiomeriche, sebbene si interconvertono rapidamente al punto che non sono stati isolati gli . L’interconversione è paragonata all’inversione di un ombrello a causa del vento.

Nel corso dell’interconversione da una forma all’altra, l’azoto, nello stato di transizione, assume una ibridazione sp2. Se l’azoto è legato a tre gruppi diversi e impegna il suo doppietto elettronico solitario con un idrogeno dando luogo al catione, questo è otticamente attivo. Ad esempio, lo ione etil, metil, propil ammonio è chirale.

Gli quaternari che hanno quattro sostituenti diversi sono chirali e possono essere stabili da un punto di vista configurazionale dando luogo a due enantiomeri.

Acido glutammico: struttura, reazioni

Acido glutammico: caratteristiche e ruoli biologici

L’acido glutammico, comunemente indicato come Glu o E, è un amminoacido proteinogenico non essenziale, responsabile della sintesi di proteine. È coinvolto anche nella produzione di acido folico, acetilcolina e glutatione, oltre a essere il precursore di , e . Inoltre, partecipa attivamente nel meccanismo di inattivazione dell’ prodotta dal catabolismo delle proteine.

Struttura dell’acido glutammico

L’acido glutammico è un acido bicarbossilico con due gruppi carbossilici (COOH) e un gruppo amminico (NH2) in posizione α rispetto a uno dei due gruppi carbossilici. La sua struttura chirale lo rende otticamente attivo, ma solo una delle forme enantiomeriche è prevalente.

Essendo un amminoacido non essenziale, può essere sintetizzato attraverso processi biosintetici catalizzati da specifici .

Reazioni

Alcune delle principali reazioni dell’acido glutammico includono:
– Glutammina + H2O → Acido glutammico + NH3, catalizzata dalla glutaminasi.
– Acido N-acetilglutammico + H2O → Acido glutammico + acetato. Il catalizzatore di questa reazione è ancora sconosciuto.
– α-chetoglutarato + NADPH + NH4+ → Acido glutammico + NADP+ + H2O, mediata dalla glutammato deidrogenasi.
– α-chetoglutarato + α-amminoacido → Acido glutammico + α-chetoacido, tramite l’azione della transaminasi.

L’acido glutammico è coinvolto anche come intermedio nel ciclo di Krebs e può essere convertito in glutammina, entra nel ciclo di Krebs e partecipa a vari processi biochimici, tra cui la regolazione della permeabilità di membrana nelle cellule nervose.

È importante sottolineare che l’acido glutammico svolge un ruolo cruciale nella stimolazione del sistema immunitario e nella lotta contro i radicali liberi.

In campo alimentare, il sale sodico dell’acido glutammico, noto come glutammato, agisce come esaltatore di sapidità ed è anche il neurotrasmettitore eccitatorio principale nel cervello.

In conclusione, l’acido glutammico riveste un ruolo fondamentale in numerosi processi biologici e biochimici, dimostrandosi essere una molecola di notevole interesse.

Rotazione specifica. Esercizi svolti e commentati

Rotazione specifica dei composti chirali: esempi e spiegazioni

La rotazione specifica è una proprietà di un composto chirale che indica il cambiamento di orientamento della quando questa passa attraverso una soluzione del composto. Gli , molecole chirali, sono capaci di deviare il piano della luce polarizzata in maniera opposta e la rotazione osservata è proporzionale alla quantità di specie otticamente attiva presente. Questa grandezza è espressa dalla formula [α] λT = α/lc, dove α rappresenta la rotazione osservata in gradi, l è la lunghezza del cammino ottico e c è la concentrazione del campione. La rotazione specifica viene solitamente misurata in gradi cm2/grammi.

svolti

1) Se un campione puro di (s)-2-butanolo ha una lunghezza del cammino ottico di 10.0 cm e la densità del composto è di 0.805 g/mL, la rotazione specifica è calcolata tramite l’equazione [α] λT = α/lc, ottenendo un valore di + 129 °.

2) Per calcolare la rotazione osservata di una soluzione contenente 0.5245 g di (S)-1-ammino-1-feniletano diluita in 10.0 mL di metanolo, la formula [α] λT = α/lc viene utilizzata, producendo un valore di – 157°.

3) La rotazione specifica dell’acido (2R,3R)-tartarico a una di 20.0°C viene calcolata per un campione diluito fino a un volume di 10.0 mL di , ottenendo un valore di + 12.4 °C tramite l’equazione [α] λT = α/lc.

4) Infine, la rotazione di una soluzione 1.0 x 10-4 M di taxolo in metanolo viene determinata, con un risultato di – 0.0042° grazie all’equazione [α] λT = α/lc.

In conclusione, la rotazione specifica è una caratteristica distintiva di un composto chirale e può essere calcolata in base alla formula sopra esposta.

Grafici delle leggi cinetiche: ordine di reazione

Leggi cinetiche: Come determinare l’ordine di

Quando si tratta di studiare le leggi cinetiche delle reazioni chimiche, è fondamentale comprendere la dipendenza del dalla concentrazione delle sostanze coinvolte. La velocità della reazione è espressa come k [A]^x[B]^y, in cui [A] e [B] indicano le concentrazioni delle specie coinvolte, mentre k rappresenta il coefficiente di velocità della reazione. Gli esponenti x e y, determinati sperimentalmente, rappresentano rispettivamente l’ordine della reazione rispetto ad A e B. L’ordine di reazione è dato dalla somma di x e y.

Ordine di reazione

L’ordine di reazione non può essere previsto dalla stechiometria della reazione. Ecco i possibili casi:

)

Reazione di ordine zero:

Se la velocità della reazione è indipendente dalle concentrazioni dei reagenti, si tratta di una reazione di ordine zero e la sua espressione è velocità = k.
La legge integrata della velocità per una reazione di ordine zero è [A] = [A]o – kt. Riportando la concentrazione in funzione del tempo produce una retta con pendenza –k.

2)

Reazione del primo ordine:

Se la velocità della reazione è proporzionale solo alla concentrazione di A, si tratta di una reazione del primo ordine e la sua espressione è velocità = k [A].
La legge integrata della velocità per le può essere espressa in forma esponenziale o logaritmica. Riportando la concentrazione in funzione del tempo si ottiene una curva.

3)

Reazione del secondo ordine:

Se la velocità della reazione è proporzionale alla concentrazione di A e di B, si tratta di una reazione del secondo ordine e la sua espressione è velocità = k [A][B].
La legge integrata per una reazione del secondo ordine è 1/[A] = 1/[A]o + kt. Riportando [A]o in funzione del tempo produce una curva, mentre riportando 1/[A]o in funzione del tempo produce una retta.

Comprendere la legge di velocità consente di ottenere informazioni fondamentali sul meccanismo della reazione stessa. Optare per l’esperimento e l’ più adatti è cruciale per ottenere risultati significativi nella chimica cinetica.

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