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EDTA: struttura, equilibri, siti di coordinazione

Acido etilendiamminotetraacetico (EDTA): e proprietà

L’EDTA, conosciuto anche come acido etilendiamminotetraacetico, è un acido poli amminocarbossilico incolore e solubile in . La sua base coniugata è l’etilendiamminotetracetato, un agente chelante esadentato che ha la capacità di “sequestrare” ioni metallici come Ca2+, Mg2+ e Fe3+.

L’EDTA è un agente chelante versatile in grado di formare quattro o sei legami con lo ione metallico ed è comunemente utilizzato nei saponi e nei detergenti per formare complessi sia con lo ione Ca2+ che con lo ione Mg2+ presenti nelle acque dure, prevenendone l’interferenza.

Equilibri e formazione dei complessi

L’EDTA dà luogo a quattro equilibri di dissociazione a causa dei quattro gruppi carbossilici in acqua, regolati da quattro costanti: pKa1 = 2.0, pKa2 = 2.67, pKa3 = 6.16 e pKa4 = 10.26. La forza e la stabilità dei complessi formati dipendono dal pH dell’ambiente.

L’equazione generale per la formazione di un complesso :1 è M + Y ⇄ MY, dove M è lo ione metallico e Y è l’agente chelante. La è data da K = [MY]/[M][Y]. Grazie alla sua struttura, l’EDTA, con i suoi gruppi carbossilati e amminici, forma complessi particolarmente stabili a forma di gabbia.

Siti di coordinazione e proprietà acide

Il numero dei siti di coordinazione dipende dalle dimensioni dello ione metallico. Oltre alle proprietà di legante, l’EDTA è anche un acido debole: la forma totalmente protonata dell’EDTA è un acido debole esaprotico con specifici valori di pKa. Da tali valori si evince che Y4- diventa la forma predominante a valori di pH maggiori di 10.17.

In conclusione, l’EDTA svolge un ruolo cruciale nei processi di chelazione e nella formazione di complessi metallici, mostrando proprietà e equilibri interessanti dalle implicazioni pratiche importanti.

Costante calorimetrica. Esercizi svolti

La costante calorimetrica: guida e svolti

La costante calorimetrica rappresenta un parametro essenziale nell’ambito della termodinamica e della termochimica. Avere familiarity con questa grandezza permette il calcolo di vari parametri termici come i calori specifici, i calori latenti di fusione e di ebollizione, e i calori di reazione. Inoltre, la costante calorimetrica può essere espressa in joule per grado Celsius o joule per kelvin ed è tipica di ogni . Il calorimetro è uno strumento essenziale per la misurazione del flusso di calore durante una trasformazione.

Per determinare la costante calorimetrica, è necessario tarare il calorimetro misurando la variazione di temperatura dell’ quando è introdotta una quantità nota di calore. La fonte nota di calore può essere ottenuta facendo passare una quantità nota di corrente elettrica attraverso un resistore nel calorimetro o sfruttando la conoscenza del calore specifico dell’acqua. La taratura di un calorimetro costituisce la base per vari esercizi nell’ambito della termochimica.

Esercizi sulla costante calorimetrica

) Sono stati mescolati 100.0 g di acqua alla temperatura di 57.0 °C con 100.0 g di acqua a 24.2 °C. Dopo l’ termico la temperatura dell’acqua risulta essere 38.7 °C. Sapendo che il calore specifico dell’acqua è 4.184 J/g K, determinare la capacità termica del calorimetro.

Applicando il principio di conservazione dell’energia, si ottiene che la costante calorimetrica è di 110 J K-1.

2) Aggiungendo 72.55 g di acqua a 71.6 °C a un calorimetro contenente 58.85 g di acqua a 22.4 °C, la temperatura raggiunge 47.3 °C. Sapendo che il calore specifico dell’acqua è di 4.184 J/g K, la capacità termica del calorimetro risulta essere di 62.6 J/K.

Equilibri simultanei. Esercizi svolti

Equilibri Chimici Simultanei: Esercizio Risolto

Gli equilibri simultanei sono caratterizzati dalla presenza di due o più equilibri che si verificano nello stesso sistema, come ad esempio una reazione acido-base e una precipitazione. Questi fenomeni sono spesso riscontrati in situazioni reali, come per esempio nelle , nella fluorizzazione e nella dissoluzione dell’anidride carbonica nell’ di mare.

Risolvere relativi agli equilibri simultanei può presentare alcune difficoltà, poiché è necessario tenere conto di tutti gli equilibri coinvolti e delle loro interazioni reciproche. Non esiste un metodo univoco per la risoluzione di tali esercizi, tuttavia è possibile seguire una serie di passaggi utili per affrontarli in modo efficace.

Per risolvere correttamente un esercizio relativo agli equilibri simultanei è fondamentale identificare tutti gli equilibri coinvolti, valutare come essi sono accoppiati e determinare l’ più semplice per il quale siano disponibili tutti i dati necessari per iniziare la risoluzione. È importante inoltre trarre le opportune informazioni da ciascun passaggio e utilizzarle nella fase successiva, evitando di tralasciare qualsiasi aspetto rilevante.

Prendiamo ad esempio l’esercizio che consiste nel prevedere se si verifica la precipitazione di AgOH in una soluzione tamponata a pH = 9.00 che è 0.010 M in AgNO3 e .00 M in NH4NO3. Le costanti pertinenti sono: Kps di AgOH = 2.0 ∙ 10-8; Kb di NH3 = 1.8 ∙ 10-5; Kf di Ag(NH3)2+ = 1.1 ∙ 107.

Nel problema in esame, è necessario determinare le concentrazioni all’equilibrio di Ag+ e di OH- per prevedere se precipita AgOH. Questo compito può essere suddiviso in due parti, cominciando con la determinazione di [OH-]. Poiché la soluzione è tamponata a pH = 9.00, si può calcolare [OH-] come 1.0 ∙ 10-5 M. Successivamente, bisogna determinare [Ag+], il quale partecipa all’equilibrio di complessazione. L’espressione della costante di formazione Kf relativa a questo equilibrio è Kf = [Ag(NH3)2+]/[Ag+][NH3]2.

Conoscendo la concentrazione iniziale di Ag+, si può poi determinare la concentrazione di NH3. Con i valori noti, si possono calcolare le concentrazioni di Ag+ e NH3, e quindi determinare se avviene la precipitazione di AgOH. Il calcolo del Qps (quoziente di reazione) consente di valutare se si ha la formazione del precipitato.

Dal calcolo, si evince che AgOH non precipita in questa situazione. Questa dimostrazione illustra l’applicazione dei principi fondamentali degli equilibri chimici in un contesto specifico, mostrando come le conoscenze teoriche possano essere sfruttate per risolvere problemi pratici.

Fuochi fatui: origine e cause

Fuochi fatui: l’origine scientifica e le teorie leggendarie

I fuochi fatui, citati nella canzone “Un chimico” di Fabrizio De André, sono oggetto di leggenda e mistero dovuto alla loro natura enigmatica. Si tratta di pallide luci a forma di fiammella di vario colore osservabili di notte o al crepuscolo presso paludi, acquitrini e anche nei cimiteri. In passato, si era convinti che fossero le manifestazioni delle anime dei defunti, spiriti malvagi o anche anime protettrici. Tuttavia, la prima teoria scientifica riguardante i fuochi fatui è dovuta ad Alessandro Volta nel 1764, che pose l’attenzione fenomeno elettrico invece che sulla di vapori.

L’origine dei fuochi fatui e le teorie scientifiche

Con il progresso della chimica, si è compreso che i fuochi fatui si sviluppano dalla decomposizione di materiale organico, attraverso un processo noto come decomposizione aerobica. Le piante e gli animali, composti principalmente da carbonio, idrogeno e ossigeno, producono acqua, anidride carbonica e calore in tale processo. Tuttavia, nelle zone paludose avviene una decomposizione anaerobica, in cui i batteri producono , biossido di carbonio, azoto, e difosfano. Quando questi gas risalgono dal terreno e si immettono nell’atmosfera, il metano si mescola con le fosfine, generando una luce blu. Questa combinazione può auto-infiammarsi, producendo una nuvola bianca densa che può infiammare altre sostanze.

La ricerca sulla origine dei fuochi fatui

Sebbene il fenomeno sia difficile da replicare in laboratorio, alcuni chimici italiani hanno tentato di riprodurlo ottenendo una , l’emissione di radiazione elettromagnetica che può accompagnare una reazione chimica. Questo suggerisce che potrebbe trattarsi più di chemiluminescenza della fosfina che di combustione vera e propria.

In conclusione, i fuochi fatui, sebbene abbiano ispirato leggende e superstizioni, trovano la loro origine in processi chimici ben definiti e possono essere razionalmente spiegati grazie alla scienza.

Energia chimica: cinetica, potenziale

Energia : Kinetica e Potenziale

L’energia chimica rappresenta la capacità di una sostanza chimica di subire trasformazioni attraverso una reazione chimica o di trasformare altre sostanze. Si tratta di una forma di energia interna immagazzinata nei legami chimici che varia durante una reazione.

Le molecole sono dotate di energia termica a qualsiasi temperatura superiore allo zero assoluto grazie all’energia cinetica associata ai diversi movimenti. Le molecole poliatomiche possiedono energia potenziale sotto forma di legami chimici.

Le sostanze chimiche sono costituite da atomi che, a loro volta, sono formati da nuclei con carica positiva circondati da elettroni con carica negativa.

Ad esempio, una molecola biatomica come l’H2 presenta un a causa della condivisione degli elettroni. L’energia potenziale totale della molecola è determinata dalla somma delle repulsioni tra cariche uguali (nucleo-nucleo, elettrone-elettrone) e dell’attrazione tra cariche opposte (nucleo-elettrone).

Energia Potenziale e Distanza

L’energia potenziale di una molecola dipende dalle posizioni relative medie dei suoi costituenti nuclei ed elettroni nel . Questa dipendenza può essere espressa mediante una curva che rappresenta l’energia potenziale in funzione della distanza.

Nel caso dell’idrogeno gassoso, ad esempio, le molecole si muovono liberamente da un luogo all’altro e possiedono energia cinetica traslazionale, dove la velocità media delle molecole dipende dalla temperatura. Inoltre, le molecole presentano altri tipi di moto, come quello vibrazionale e rotazionale, che contribuiscono all’energia cinetica totale.

L’energia totale della molecola, nota come energia interna (U), è la somma dell’energia potenziale totale e dell’energia cinetica totale.

Le reazioni chimiche possono avvenire con emissione di energia () o con assorbimento di energia (). Nelle reazioni esotermiche, l’energia potenziale si converte in energia cinetica mentre nelle reazioni endotermiche, l’energia cinetica si converte in energia potenziale.

La variazione di energia interna di un processo è uguale al calore erogato o assorbito se è misurato a volume costante, ad esempio in una bomba calorimetrica.

Trasporto dell’ossigeno nel sangue: emoglobina, saturazione, grafico

Il trasporto dell’ossigeno nel sangue: comprensione dell’, saturazione e grafico.

Nel processo fisiologico della respirazione, le cellule richiedono ossigeno per svolgere le loro funzioni vitali ed eliminare biossido di carbonio. I polmoni giocano un ruolo cruciale nella regolazione dei gas nel sangue, fornendo ossigeno ai vasi sanguigni e rimuovendo anidride carbonica prodotta dall’organismo.

Durante la respirazione, l’ossigeno si diffonde attraverso le pareti dei polmoni, degli alveoli e nel sangue arterioso, per essere poi trasportato a tutti i tessuti del corpo. Approssimativamente solo il 3% dell’ossigeno nel sangue è disciolto, mentre il resto è legato chimicamente alle molecole di emoglobina (Hb), che contengono gruppi eme.

Il sistema di trasporto dell’ossigeno dipende dai globuli rossi che contengono l’emoglobina. Le equazioni chimiche rappresentano il processo di legame dell’ossigeno all’emoglobina, e la posizione degli equilibri varia a seconda della di O2 in diversi tessuti.

La quantità di ossigeno trasportata dall’emoglobina a vari valori di pressione parziale di ossigeno (pO2) è espressa come percentuale di saturazione e può essere rappresentata da una curva che mostra la saturazione massima quando ogni molecola di emoglobina trasporta quattro molecole di ossigeno.

Le persone che vivono ad altitudini elevate, dove la pressione parziale dell’ossigeno è bassa, hanno livelli di saturazione dell’emoglobina inferiori. Questo può portare a una minore disponibilità di ossigeno nei tessuti, causando ipossia. Tuttavia, in risposta a questa condizione, l’organismo aumenta la produzione di emoglobina e gli equilibri si spostano verso destra per compensare la carenza di ossigeno.

In breve, il trasporto dell’ossigeno nel sangue è un processo fondamentale per il funzionamento vitale del corpo umano e dipende fortemente dall’emoglobina e dalla sua capacità di legare e rilasciare ossigeno in base alle esigenze tissutali. Questo meccanismo è influenzato dalla pressione parziale di ossigeno e può adattarsi a condizioni di ipossia, come quelle riscontrate ad altitudini elevate.

Fenantrolina: proprietà, reazioni, usi

Fenantrolina: scopri proprietà, reazioni e usi

La fenantrolina, conosciuta anche come o-fenantrolina, è un eterociclo aromatico contenente tre anelli condensati, di cui due con azoto. Ha la formula C12H8N2 ed è costituita da cristalli bianchi poco solubili in e benzene ma solubili in , metanolo e diluiti. Le proprietà chimiche e strutturali specifiche includono rigidità, planare, aromaticità e la capacità di formare complessi.

La fenantrolina può essere sintetizzata dalla 1,2-fenilendiammina, glicerolo e nitrobenzene in presenza di acido solforico. Quando reagisce con ioni metallici, forma complessi colorati che hanno diverse applicazioni, come ad esempio nel campo analitico per la determinazione di ioni metallici. Un esempio noto è il complesso di colore rosso intenso denominato ferroina, formato dall’interazione con l’ione Fe2+.

La fenantrolina è di grande utilità nella determinazione spettrofotometrica del ferro (II), e viene impiegata come indicatore nelle ossidimetriche, specialmente nella cerimetria. Inoltre, viene utilizzata nella reazione oscillante di Belousov-Zhabotinsky. A causa della sua capacità di formare complessi, la fenantrolina e i suoi derivati vengono impiegati come leganti nella catalisi o come agenti stabilizzanti nella sintesi di nanoparticelle.

La fenantrolina è anche utilizzata come legante in numerosi complessi di rilevanza nell’ambito tecnologico, come nei diodi organici a emissione di luce (OLED), materiali elettroluminescenti, semiconduttori organici e nell’ambito medico per la sua capacità di legarsi o interagire con il DNA.

Regola del 4d: titolazioni, deviazione media

La regola del 4d nelle

Nell’ambito dell’ dei cationi, è comune incontrare errori sia di tipo sistematico che di tipo accidentale nonostante le misurazioni siano svolte con cura e precisione professionale. Tuttavia, lo scopo del chimico analitico è quello di ottenere risultati attendibili, il più vicino possibile al valore vero.

Quando si conducono titolazioni, è consigliabile eseguirne almeno tre e confrontare i dati sperimentali ottenuti. Qualora i valori non siano molto distanti tra loro, si procede calcolando la media. Tuttavia, se i risultati mostrano una significativa discrepanza, si esegue una quarta titolazione per valutare la coerenza dei dati.

Deviazione media

Per valutare la bontà della scelta di escludere un valore anomalo, si applica la regola del 4d, che indica il quadruplo della deviazione media. Tale regola è applicabile per set di valori non inferiori a quattro.

Ecco i passaggi da seguire:

) Calcolare la media dei valori escludendo il dato anomalo.

2) Calcolare lo scarto o deviazione di tutti i valori sperimentali rispetto alla media.

3) Calcolare la media delle deviazioni escludendo quella relativa al valore anomalo.

4) Moltiplicare la media delle deviazioni per 4.

5) Confrontare il quadruplo della media delle deviazioni con il valore della deviazione del valore anomalo. Se il quadruplo della media delle deviazioni è maggiore del valore della deviazione del valore anomalo, è corretto escludere tale valore, anche da un punto di vista statistico.

Seguendo questa procedura, è possibile ottenere una valutazione accurata dei dati sperimentali e garantire la precisione delle analisi.

Proprietà dei solidi e legame: solidi ionici, covalenti, molecolari, metallici

Solidi: proprietà e legami

I solidi presentano diverse proprietà che sono influenzate dal tipo di legame presente, che può essere ionico, covalente, molecolare o metallico. Ognuno di essi determina caratteristiche peculiari che ne influenzano la fisicità e la reattività. Vediamo nel dettaglio le peculiarità di ciascun tipo di solido.

Proprietà dei

Nei solidi ionici sono presenti due ioni di segno opposto e la forza di legame è dovuta all’attrazione elettrostatica tra le due cariche. Gli ioni sono disposti in una reticolare periodica, ciò fa sì che i solidi ionici siano anisotropi. L’, ovvero l’energia necessaria per separare una mole del solido cristallino in ioni allo stato gassoso, è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche ioniche e inversamente proporzionale alla somma dei raggi degli ioni.

Le proprietà dei solidi ionici sono influenzate dall’elevata energia reticolare e presentano un elevato punto di fusione e di ebollizione, solubilità in solventi polari, buona conducibilità elettrica quando si trovano allo stato fuso o in soluzione, elevata durezza e fragilità.

Proprietà dei solidi covalenti

I solidi covalenti sono costituiti da atomi o molecole direttamente legati tramite legami di natura covalente. L’energia dei legami nei cristalli covalenti è molto elevata, simile a quella dei legami covalenti. Per questo motivo, i solidi covalenti hanno elevata temperatura di fusione, sono duri, insolubili e cattivi conduttori sia allo stato solido che allo stato fuso.

Un esempio tipico di solido covalente è il diamante, solido perfettamente trasparente e incolore, duro e ad alto punto di fusione con elevata densità.

Proprietà dei

I solidi molecolari sono costituiti da aggregati di particelle neutre (atomi o molecole) interagenti mediante legami chimici secondari come interazioni dipolo-dipolo, forze di dispersione di London e legami a idrogeno. Poiché queste forze sono più deboli rispetto a quelle presenti nei legami ionici e covalenti, i solidi molecolari tendono ad essere teneri, con basso punto di fusione e di ebollizione. Presentano anche bassa conduttività termica ed elettrica.

Proprietà dei solidi metallici

I solidi metallici presentano un in cui gli elettroni sono delocalizzati nel reticolo cristallino costituito da cationi del metallo ottenuti dall’allontanamento degli elettroni dal guscio di valenza. Gli elettroni liberati si muovono nell’intero reticolo comportandosi come una sorta di “gas elettronico” che permea l’intero cristallo ed è responsabile della stabilità della struttura cristallina. I metalli sono buoni conduttori di elettricità, duttili, malleabili e con bassa energia necessaria per allontanare gli elettroni.

Conclusione

Le proprietà dei solidi sono fortemente influenzate dal tipo di legame presente. Il tipo di legame determina durezza, conducibilità elettrica, punto di fusione, solubilità e altre caratteristiche fisiche dei solidi. Queste differenze si possono sintetizzare in una tabella comparativa che evidenzia le specificità di ciascun tipo di solido.

Reazioni oscillanti: modello fisico, meccanismo

: spiegazione del fenomeno e meccanismo

Le reazioni oscillanti sono un affascinante fenomeno chimico in cui si osservano variazioni periodiche della concentrazione dei reagenti, dei prodotti e dei , provocando una sequenza di cambiamenti di colore che si ripetono ciclicamente.

Il concetto di reazioni oscillanti, inizialmente considerato contraddittorio rispetto al , ha suscitato perplessità anche tra i chimici più esperti quando fu descritto per la prima volta negli anni ’50. Solo in seguito si comprese che queste reazioni si verificano in sistemi aperti, in cui sia l’energia che la massa del sistema si rinnovano costantemente. Il passaggio periodico da uno stadio all’altro è determinato dal raggiungimento di una concentrazione massima o minima di un intermedio di reazione.

Un’interessante analogia per comprendere il fenomeno delle reazioni oscillanti è quella dell’antico orologio, in cui le lancette passano due volte al giorno attraverso la stessa posizione. In una reazione oscillante, le concentrazioni di alcuni componenti della miscela di reazione passano ripetutamente attraverso lo stesso valore, ma la reazione di rilascio di energia che guida le oscillazioni procede continuamente verso il completamento.

Il meccanismo di tutte le reazioni chimiche oscillanti prevede tre elementi comuni. In primo luogo, mentre si verificano le oscillazioni, il sistema è lontano dall’equilibrio e l’energia rilasciata costituisce l’innesco che avvia l’oscillazione. Successivamente, la reazione di rilascio di energia può seguire almeno due diversi percorsi, e la reazione commuta periodicamente da un percorso all’altro. Terzo, uno di questi percorsi porta a un intermedio, mentre l’altro percorso lo consuma, e la sua concentrazione innesca la commutazione da un percorso all’altro. Quando la concentrazione dell’intermedio è bassa, la reazione rilascia energia portando ad una concentrazione relativamente elevata dell’intermedio.

Un esempio di reazione oscillante è la reazione di Briggs-Rauscher, comunemente nota come pendolo chimico, in cui si osserva una variazione periodica della colorazione della soluzione che va da un colore giallo ambra al blu e viceversa in un certo intervallo di .

Luce polarizzata: chiralità, radiazione polarizzata

Luce Polarizzata: e Radiazione Polarizzata

La luce polarizzata si caratterizza per la vibrazione del campo elettrico E in un solo piano, mentre il campo magnetico H vibra in un piano perpendicolare. La polarizzazione è lineare quando entrambi i campi oscillano in una direzione unica.

Alcune sostanze, note come otticamente attive, hanno la capacità di ruotare la direzione di propagazione della luce monocromatica. Si manifesta solo nello stato solido per sostanze come il quarzo, il cinabro e il clorato di sodio, un fenomeno che ha origine dalla struttura cristallina del materiale.

Mentre il potere rotatorio di altre sostanze persiste anche nello stato gassoso, liquido o in soluzione, derivando dalle proprietà strutturali delle molecole. La condizione affinché una sostanza sia otticamente attiva è che la struttura della molecola e della sua immagine speculare non coincidano.

Chiralità

Le sostanze otticamente attive sono definite chirali, presenti principalmente nella materia organica, mentre quelle inorganiche lo sono a causa della loro struttura cristallina.

La radiazione monocromatica è costituita da campi elettrici e magnetici oscillanti. Nel caso della luce polarizzata in un piano, il vettore E vibra in un unico piano, così come il vettore H vibrante in un piano ortogonale.

In una radiazione polarizzata circolarmente, i vettori E e H vibrano ruotando contemporaneamente nella direzione di propagazione, formando un’elica.

Una radiazione può essere polarizzata circolarmente in senso orario (d) o in senso antiorario (l). La radiazione polarizzata linearmente può essere immaginata come due radiazioni polarizzate circolarmente in senso opposto che si propagano in fase.

L’interazione di una radiazione polarizzata con una molecola può generare un differente. La differenza è chiamata e un differente coefficiente di estinzione molare, determinando una diversa direzione di polarizzazione della radiazione dopo l’interazione.

Birifrangenza Circolare

Se la radiazione interagisce con una molecola che è l’immagine speculare della precedente, la direzione di polarizzazione è ruotata di un α uguale al precedente, ma in senso opposto. La compensazione di effetti opposti genera una mancata rotazione della direzione di polarizzazione.

In conclusione, la polarizzazione e la birifrangenza circolare sono fenomeni interessanti che sottolineano la complessità e la varietà del comportamento della luce polarizzata.

pH di una soluzione di H2SO4: metodi, errore

Il calcolo del pH di una soluzione di H2SO4 dipende dalla sua natura di acido diprotico, forte nella prima dissociazione e relativamente debole nella seconda. Gli acidi possono essere distinti in forti e deboli, con gli acidi forti che si dissociano completamente. Ad esempio, l’acido iodidrico ha una costante di dissociazione elevata, consentendo una completa dissociazione a una concentrazione data. Al contrario, l’acido fluoridrico è un acido debole con una dissociazione parziale nei suoi ioni.

Gli , come ad esempio l’H2CO3, sono caratterizzati da due costanti di , con la prima costante Ka1 significativamente diversa dalla seconda costante Ka2. Tuttavia, l’acido solforico rappresenta un’eccezione, poiché è un acido forte nella prima dissociazione, mentre ha una costante Ka2 pari a .02 ∙ 10-2.

Quando si calcola il pH di una soluzione di H2SO4, esistono metodi alternativi per ottenere il valore finale, come valutare separatamente la seconda dissociazione. Un altro approccio prevede l’uso del e di massa per determinare la concentrazione degli ioni presenti. Una volta ottenuta la concentrazione dei ioni idrogeno, è possibile calcolare il pH della soluzione.

Al fine di evitare errori, è importante prendere in considerazione la parziale dissociazione nella seconda reazione e considerare le correzioni necessarie per ottenere risultati accurati. Anche se un metodo alternativo può essere più complesso concettualmente, può fornire risultati più accurati e ridurre gli errori nel calcolo del pH.

In definitiva, il calcolo del pH di una soluzione di H2SO4 richiede un’attenzione particolare alle caratteristiche dell’acido e ai metodi utilizzati per ottenere risultati accurati.

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