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Piante velenose: alcaloidi, polipeptidi, glicosidi, ossalati, resine

Il Mondo delle Piante Velenose: Difese e Caratteristiche

Le piante hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione diverse strategie per difendersi dai predatori, tra le quali spiccano adattamenti come spine, aculei e la produzione di sostanze chimiche tossiche. Le piante superiori, con parti ben differenziate, possono contenere fitotossine, sostanze nocive sia per gli animali che per gli esseri umani.

Storia e Classificazione delle Piante Velenose

Fin dai tempi antichi, si conoscevano le piante con principi attivi utilizzati per scopi terapeutici e quelle dotate di sostanze tossiche, come la cicuta, impiegata per somministrare la pena di morte a condannati come Socrate. Molte delle piante velenose sono angiosperme, piante fiorite, e sono state classificate in base alla natura dei costituenti tossici, alla filogenesi e alle caratteristiche botaniche.

Fitotossine: Una Gamma di Sostanze Nocive

I veleni presenti nelle piante, chiamati fitotossine, sono composti da una vasta gamma di sostanze chimiche attive, tra cui alcaloidi, polipeptidi, glicosidi, ossalati e resine.

Alcaloidi: Sostanze Complesse e Nocive

Gli alcaloidi sono sostanze complesse che contengono azoto in una eterociclica. Questi composti, spesso presenti come sali con diversi acidi organici come acetico, ossalico, lattico, citrico, malico e tartarico, si trovano in circa il 10% delle piante ed hanno potenti effetti fisiologici sul corpo.

Polipeptidi: Composti di Amminoacidi

I polipeptidi sono catene di amminoacidi che contengono sia il gruppo carbossilico che il gruppo amminico. Queste sostanze possono essere tossiche, come nel caso della famosa Amanita muscaria.

In sintesi, le piante velenose rappresentano un interessante capitolo nella biologia vegetale, evidenziando la complessità e la diversità delle strategie adottate nel mondo vegetale per garantirsi la sopravvivenza e proteggere se stesse dai predatori.

Diversi agenti tossici presenti in piante e funghi

Le piante e i funghi contengono una vasta gamma di sostanze tossiche che possono essere dannose per gli esseri umani. Ad esempio, nell’Amanita muscaria, uno dei funghi più velenosi, sono presenti diversi peptidi, mentre la ricina, contenuta in alcune piante, è considerata uno dei veleni più potenti e letali al mondo.

Glicosidi e loro tossicità

I glicosidi contenenti agliconi, presenti in alcune piante, possono diventare particolarmente tossici una volta che vengono idrolizzati. Questi composti sono costituiti da due o più unità di legate da un legame glicosidico, con l’aglicone che rappresenta la parte tossica della molecola.

Pericolosità degli ossalati

Gli ossalati, sali derivanti dall’acido ossalico, presenti in piante come il Filodendro e la Dieffenbachia, possono causare irritazioni cutanee e danni alla mucosa in caso di ingestione.

Le resine e le loro proprietà

Le resine, composte principalmente da terpeni, possono avere proprietà chimiche diverse ma con caratteristiche fisiche simili. Alcune resine, come quelle dell’edera velenosa, possono provocare eruzioni cutanee.

Accumulo di minerali tossici

In certe condizioni, le piante possono accumulare minerali inorganici tossici come , piombo, , fluoro, , selenio o nitrati, diventando così potenzialmente pericolose per chi ne viene a contatto.

Conclusioni e considerazioni finali

Contrariamente al mito popolare, le sostanze di origine naturale non sono sempre innocue o benefiche, mentre le sostanze di sintesi non sono necessariamente nocive. Il progresso scientifico e medico ha permesso di combattere molte malattie che in passato erano considerate incurabili. Tuttavia, esistono ancora patologie come il cancro, il diabete e altre malattie che richiedono ulteriori ricerche e sforzi per poter essere debellate definitivamente.

Roccocò napoletani: storia, chimica, ricetta

Rococò: la tradizione napoletana dei dolci natalizi

Le suore del Real Convento della Maddalena nel 1300 diedero vita ai roccocò, dolci il cui nome deriva dal francese rocaille per la forma simile a una conchiglia arrotondata.

La tradizione napoletana dei dolci natalizi

Napoli e la sua provincia celebrano il Natale in modo solenne, con tavole imbandite di prelibatezze culinarie. Tra le tradizioni culinarie, spiccano i dolci natalizi napoletani come struffoli, zeppole, mostacciuoli, divino amore, e molti altri. Questi dolci fatti in casa sono spesso tramandati di generazione in generazione.

Molti dolci, sia napoletani che non, sono stati concepiti per la prima volta nei conventi italiani dalle abili suore, come la famosa sfogliatella Santa Rosa o il divino amore.

Ingredienti dei roccocò

Gli ingredienti necessari per preparare i roccocò, dolci che da secoli concludono i pasti nobili napoletani, sono: mandorle, farina, zucchero, cedro e scorza di arancia candita, spezie, cannella, ammoniaca in polvere e altri.

Ammoniaca o carbonato acido di ammonio?

Molto spesso ci si riferisce all’ammoniaca per dolci, ma in realtà si tratta di carbonato acido di ammonio, un lievito chimico che, in presenza di calore, si decompone liberando ammoniaca, anidride carbonica e acqua.

Il modo in cui spesso si associa l’ammoniaca ad un solido in polvere è un esempio di come la terminologia chimica possa essere fuorviante. L’ammoniaca infatti è un gas, mentre il composto usato nei dolci è carbonato acido di ammonio. Quest’ultimo funziona da lievito chimico e si decompone in ammoniaca, anidride carbonica e acqua in presenza di calore.

Nel preparare i roccocò e altri dolci natalizi, è fondamentale seguire attentamente le ricette e utilizzare gli ingredienti corretti per ottenere il risultato desiderato.Come preparare i deliziosi roccocò in casa per un perfetto Natale

Se siete amanti dei dolci tradizionali natalizi, non potete non provare a preparare i roccocò in casa. Questi dolcetti tipici sono perfetti per condividere momenti di gioia e dolcezza con la famiglia e gli amici. Ma come si preparano i roccocò in casa?

Ingredienti e procedimento

Iniziate tostando le mandorle non pelate in forno caldo per circa 5 minuti, dopodiché tritatele grosolanamente. Successivamente, disponete la farina a fontana e versate al centro tutti gli ingredienti, ad eccezione dell’uovo. Lavorate l’impasto e dividetelo in tanti pezzi, formando dei bastoncini che poi chiuderete a formare degli anelli.

Una volta pronti, spennellate la superficie dei roccocò con il tuorlo dell’uovo e disponeteli su una placca ben distanziati tra loro. Infornate a 180°C per circa 10 minuti fino a quando saranno dorati.

Il lievito e i gas che si generano

E’ interessante notare che l’impasto dei roccocò contiene del lievito che, grazie al contatto con il sale, genera ammoniaca e biossido di carbonio. Questi gas sono responsabili del rigonfiamento dell’impasto durante la cottura. Questo tipo di lievito è ideale per i prodotti secchi come i roccocò, poiché in presenza di acqua residua potrebbe rilasciare un odore penetrante di ammoniaca.

Conclusioni

I roccocò sono dei dolci dal sapore unico e dalla consistenza croccante che non possono mancare sulle tavole durante le festività natalizie. Seguendo la ricetta e i consigli appropriati, potrete deliziare voi stessi e i vostri cari con un dolce tradizionale fatto in casa. Auguriamo a tutti un Buon Natale pieno di dolcezze e momenti speciali!

Se volete saperne di più sulla chimica dei gas generati durante la cottura, vi consigliamo di consultare questo articolo sul [biossido di carbonio](https://chimica.today/chimica-generale/biossido-di-carbonio).

Perossidi: proprietà, reattività, usi

I perossidi e il loro legame ossigeno-ossigeno

I perossidi sono caratterizzati dalla presenza di un legame ossigeno-ossigeno chiamato gruppo perossidico, in cui il numero di ossidazione dell’ossigeno è -1. Questi composti possono essere sia inorganici che organici e sono noti per la loro reattività e capacità ossidante, utilizzati in varie reazioni chimiche. Tendono a decadere in presenza di calore, catalizzatori o promotori.

Il perossido più comune: l’acqua ossigenata

Tra i perossidi più noti vi è l’acqua ossigenata, con nome I.U.P.A.C. perossido di idrogeno (H2O2), scoperto nel 1818 dal chimico francese Louis Jacques Thénard. A temperatura ambiente si decompone in presenza di ioni di metalli pesanti, come il ferro, secondo la reazione: 2 H2O2 = 2 H2O + O2. Il perossido di idrogeno può agire sia da ossidante che da riducente a causa del numero di ossidazione dell’ossigeno.

Proprietà dell’acqua ossigenata

Le proprietà ossidoriduttive dell’acqua ossigenata in soluzione acquosa possono essere osservate tramite i seguenti potenziali:
– H2O2 + 2 H+ + 2 e- ⇌ 2 H2O E° = + 1.77 V
– O2 + 2 H+ + 2 e- ⇌ H2O2 E° = + 0.68 V

Il perossido di idrogeno viene riconosciuto come forte agente ossidante e dimostrerà un comportamento riducente solo di fronte a agenti ossidanti molto potenti come MnO4-.

Classificazione dei perossidi inorganici

I perossidi inorganici possono essere ionici, con metalli alcalini e alcalino-terrosi, oppure covalenti, come l’acido perossimonosolforico H2SO5. Quando si trovano in soluzione, quelli dei metalli alcalini con formula generale M2O2 si ionizzano in M+ e O2-.

Questi composti reagiscono con diversi gruppi funzionali presenti in vari composti.

Perossidi Organici e Idroperossidi: Caratteristiche e Utilizzi

Perossidi Organici

I perossidi organici, con formula generale ROOR’, sono composti in cui R e R’ possono essere gruppi alchilici, arilici o, se R’ è un idrogeno, vengono definiti idroperossidi organici. Questi composti sono ottenuti dall’ossidazione di varie sostanze organiche come idrocarburi, olefine, alcol, aldeidi, chetoni e composti metallorganici.

Il legame perossidico presente nei perossidi organici può rompersi, producendo radicali liberi RO· o ROO·, che possono agire come iniziatori in diverse reazioni di polimerizzazione. Tali composti possono causare reazioni esplosive quando sono presenti legami insaturi. I perossidi organici sono impiegati come acceleratori, attivatori, catalizzatori e iniziatori di reazioni chimiche.

Rischi e Utilizzi

La maggior parte dei perossidi organici, se non diluiti, sono facilmente infiammabili e bruciano rapidamente, in quanto contengono sia carbonio, agente combustibile, che ossigeno. Alcuni di essi possono decomporsi in modo esplosivo se esposti a calore, attrito, urti meccanici o contaminazione con materiali incompatibili. Pertanto, è essenziale maneggiare tali composti con estrema cautela e attenersi alle appropriare norme di sicurezza.

L’utilizzo dei perossidi organici in vari settori industriali è ampio, trovando impiego come acceleratori, catalizzatori e in molte altre applicazioni chimiche. Tuttavia, a causa della loro natura reattiva e potenzialmente pericolosa, è fondamentale adottare misure di sicurezza adeguate durante la manipolazione e lo stoccaggio di questi composti.

Per ulteriori approfondimenti sulle proprietà e l’utilizzo dei perossidi organici e idroperossidi, ti invitiamo a consultare i seguenti articoli: [perossidi organici](https://chimica.today/chimica-organica/perossidi-organici/), [idroperossidi](https://chimica.today/chimica-organica/idroperossidi/), [acidi carbossilici](https://chimica.today/chimica-organica/acidi-carbossilici-nomenclatura-proprieta-chimiche-e-fisiche/).

Riduzione di Bouveault-Blanc: ottenimento di alcoli

La Riduzione di Bouveault-Blanc: Un Metodo di di Alcoli Primari

La riduzione di un estere per ottenere un alcol primario è un processo noto come riduzione di Bouveault-Blanc, un metodo utilizzato prima dell’introduzione degli idruri come agenti riducenti in chimica organica. Il presente in questa reazione può essere sostituito da altri o alcalino-terrosi, mentre l’ può essere sostituito con diversi tipi di alcoli.

Il Processo di Riduzione e la Sua Applicazione

La reazione di Bouveault-Blanc, studiata dai chimici francesi Louis Bouveault e Gustave Blanc nel 1903, porta alla riduzione di un estere con la formazione di una miscela di alcoli primari in presenza di etanolo e sodio metallico. Oltre all’etanolo, altri alcoli possono essere impiegati come donatori di protoni in questa reazione. In mancanza di un donatore di protoni, la riduzione degli esteri con sodio può portare alla formazione di aciloine, composti organici con un gruppo -OH in posizione α rispetto a un gruppo carbonilico.

della Riduzione di Bouveault-Blanc

Il meccanismo di reazione di Bouveault-Blanc coinvolge il trasferimento di un singolo elettrone da parte del sodio, simile a quanto avviene in altre reazioni radicaliche come la riduzione di Birch. In questa tipologia di reazioni, chiamate SET (Single Electron Transfer), il sodio trasferisce un elettrone a un’altra specie, generando un meccanismo radicalico. Durante la reazione, l’estere reagisce con il sodio per formare un radicale anionico, mentre l’etanolo dona protoni, generando un radicale idrossilato che a sua volta reagisce con il sodio per formare un anione semiacetalico.

Per ottenere la riduzione di una molecola di estere, è necessario l’utilizzo di un’elevata quantità di sodio, di solito aggiunto in eccesso.

La riduzione di Bouveault-Blanc, quando condotta nelle condizioni adeguate, può portare alla riduzione dell’anello dei composti aromatici, aprendo così nuove possibilità in sintesi organica.

Questo processo rappresenta una metodologia consolidata e preziosa nella sintesi di alcoli primari, offrendo un’alternativa efficace per la trasformazione degli esteri in alcoli, con potenziali applicazioni in vari settori della chimica organica.

Potenziale chimico

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Il Concetto di Potenziale Chimico in Termodinamica

Nel campo della termodinamica, il potenziale chimico di un componente all’interno di un rappresenta una funzione di stato introdotta da Josiah Willard Gibbs nel 1876. Originariamente chiamato potenziale intrinseco, il potenziale chimico descrive la variazione dell’ libera di Gibbs e degli altri potenziali termodinamici quando il numero di particelle di un componente specifico cambia.

Definizione e Calcolo del Potenziale Chimico

Il potenziale chimico di un componente A, indicato come μA e misurato in Jmol-1, è correlato all’ di Gibbs attraverso l’equazione:

μA = (∂ G/ ∂ nA)T,p,n

dove:

  • nA è il numero di moli del componente A
  • G è l’energia libera di Gibbs
  • T è la temperatura in Kelvin
  • p è la pressione
  • n è il numero di moli degli altri componenti, che nel caso specifico è uguale al numero di moli di B

Il potenziale chimico rappresenta l’energia libera molare di Gibbs per un componente specifico ed è strettamente legato alle variazioni di G in funzione delle moli di A, mantenendo costanti le altre variabili.

Energia Totale di Gibbs per una Miscela

L’energia totale di Gibbs per una miscela binaria è data da:

G = nAμA + nBμB

Questa espressione può essere estesa a un sistema con i componenti:

G = Σi niμi

Il potenziale chimico di una sostanza in una miscela rappresenta il suo contributo all’energia totale di Gibbs della miscela.

L’energia di Gibbs dipende dalla composizione, pressione e temperatura. Quindi, variazioni in una di queste variabili comportano variazioni in G. Ad esempio, per un sistema binario:

dG = Vdp – SdT + nAμA + nBμB

dove S è l’ e V il volume. Questa equazione è nota come l’equazione fondamentale della termodinamica.

La variazione dell’energia libera di Gibbs dipende da variazioni nel potenziale chimico, entropia e altre variabili, come dimostrato da quest’equazione fondamentale.

Variazioni di volume in termodinamica

Nel campo della termodinamica, le variazioni di volume giocano un ruolo fondamentale nello studio dei sistemi chimici. Analizziamo come queste variazioni si verificano a pressione e temperatura costante.

Equilibrio termodinamico

Quando un sistema è soggetto a pressione e temperatura costanti, l’equilibrio termodinamico può essere determinato utilizzando i potenziali chimici. In particolare, se la somma dei potenziali chimici dei reagenti è uguale a zero, allora il sistema si trova in equilibrio.

Consideriamo una reazione di equilibrio generica: A + 2B ⇌ C. Inizialmente, il sistema è costituito da molecole di A, B e C, e le variazioni del numero di moli sono legate ai coefficienti stechiometrici della reazione.

Variazione di G

La variazione dell’energia libera di Gibbs, G, in un sistema a pressione e temperatura costante è determinata dalle variazioni nel numero di moli dei reagenti. In particolare, la variazione di G è la somma dei tra i potenziali chimici e le variazioni di mole delle specie coinvolte nella reazione.

All’equilibrio, la variazione di G è nulla, e quindi gli equilibri termodinamici possono essere descritti dall’uguaglianza dei potenziali chimici delle specie coinvolte nella reazione.

In conclusione, il potenziale chimico si rivela essere una quantità termodinamica fondamentale per prevedere e descrivere l’equilibrio delle reazioni chimiche in un sistema.

Regola di Zaitsev- Chimica organica

La regola di Zaitsev, coniata dal chimico russo Alexander Zaitsev alla fine del XIX secolo, stabilisce che in una reazione di eliminazione che porta alla formazione di un alchene, il prodotto principale sarà l’alchene più stabile, cioè quello più sostituito. Questa regola si basa sulla stabilità dei composti contenenti un doppio carbonio-carbonio, che sono stabilizzati dalla presenza di gruppi alchilici. La presenza di questi gruppi aumenta l’iperconiugazione e di conseguenza la stabilità dell’alchene.

La stabilità delle olefine aumenta con la sostituzione da parte dei gruppi alchilici, come dimostrato dalla misurazione del calore di combustione. Quando un alogenuro alchilico reagisce con un nucleofilo, si verifica una reazione di sostituzione nucleofila che può procedere tramite meccanismi SN1 o SN2. Tuttavia, in alcune condizioni, la reazione predominante rispetto alla sostituzione nucleofila è la reazione di eliminazione.

Nella reazione di eliminazione, il nucleofilo attacca un idrogeno beta anziché il carbonio, formando un alchene. Questo processo è favorito in presenza di basi forti come HO-, RO-, o H2N-, che sono molto reattive verso l’idrogeno.

Un esempio pratico della regola di Zaitsev si riscontra nella reazione del 2-Bromo,2-metilbutano, dove il nucleofilo può attaccare due idrogeni beta. Se attacca l’idrogeno legato al carbonio 1, si forma il 2-metil-1-butene, l’alchene meno sostituito. Se attacca il carbonio 3, si ottiene il 2-metil-2-butene, l’alchene più sostituito.

In conclusione, la regola di Zaitsev è utile per prevedere la regioselettività di una reazione di eliminazione e determinare il prodotto principale in base alla stabilità dell’alchene formato. di Zaitsev e Hoffmann nelle reazioni di eliminazione degli alogenuri organici

Le reazioni di eliminazione E1 ed E2 degli alogenuri possono portare alla formazione di diversi , ma in genere il doppio legame è formato quasi interamente nello . Il prodotto energeticamente più basso è solitamente l’alchene più ramificato e termodinamicamente stabile.

In particolare, quando si ha a che fare con la reazione tra un’ammina primaria contenente idrogeni in posizione β e un alogenuro alchilico, si osserva la formazione dell’alchene meno sostituito, noto come prodotto anti-Zaitsev, secondo la cosiddetta eliminazione di Hoffmann.

La regola di Zaitsev, applicabile a substrati neutri come alogenuri e solfonati, stabilisce che essi tendano a formare l’alchene più sostituito. Ad esempio, considerando la seguente reazione: R-CH2-CHX-CH3 + OH- → R-CH=CH-CH3 si forma l’alchene più sostituito.

Diversamente, la regola di Hoffmann è caratterizzata dalla formazione dell’alchene meno sostituito in presenza di substrati carichi, come i sali di quaternari e i sali di solfonio. In questo caso, si ottiene l’alchene meno sostituito.

In conclusione, è fondamentale considerare le regole di Zaitsev e Hoffmann nelle reazioni di eliminazione degli alogenuri organici al fine di determinare quale dei due prodotti sarà formato in maggiore quantità a seconda delle condizioni specifiche e dei substrati coinvolti.

Gas nobili: composti

I gas nobili e la scoperta dei loro composti

I gas nobili, come l’elio, il , l’argon, il kripton, lo e il radon, sono noti per avere l’ottetto completo, rendendoli resistenti all’azione di sostanze chimiche. Questa caratteristica ha portato a lungo alla convinzione che non potessero formare composti.

Scoperta dei gas nobili

Nel 1775, Henry Cavendish scoprì la presenza di gas diversi da quelli attesi nell’analisi dell’aria. Solo nel 1894, Lord Rayleigh e Sir William Ramsay identificarono l’argon come parte significativa dell’aria. Successivamente, a partire dal 1901, i gas nobili furono isolati attraverso la distillazione frazionata.

Composti dei gas nobili

La resistenza dei gas nobili alle reazioni chimiche è attribuita alla saturazione degli elettroni nell’orbitale esterno: da qui l’assenza di composti di metalli nobili in natura.

Superamento dell’inerzia chimica

Negli anni successivi, alcuni chimici come Walter Kossel e Linus Pauling iniziarono a mettere in discussione l’inerzia chimica dei gas nobili. Si ipotizzò che lo xeno, il più pesante del gruppo, potesse formare composti a causa di una minore attrazione degli elettroni esterni verso il nucleo.

Il primo composto di gas nobili

Nel 1962, il chimico Neil Bertlett sintetizzò il primo composto di gas nobili, l’, rappresentato da XePtF6. Questo ha aperto la strada allo studio della chimica dei gas nobili per la sintesi di nuovi composti altamente reattivi.

Sintesi di composti di xeno

Sono stati sintetizzati vari composti di xeno, come il difluoruro di xeno, il tetrafluoruro e l’esafluoruro di xeno. Ad esempio, il difluoruro di xeno si ottiene dalla reazione tra xeno e fluoro, producendo XeF2 con xeno che mostra un numero di ossidazione di +2 e un ottetto espanso.

Attraverso la scoperta e la sintesi di composti di gas nobili, si è aperta una nuova frontiera nella chimica, portando a una maggiore comprensione e sfruttamento di questi elementi prima ritenuti inattivi chimicamente.

Utilizzi e proprietà degli alogenuri di xeno

Difluoruro di xeno

Il difluoruro di xeno è stato impiegato per la sintesi del 5-fluorouracile, un composto con proprietà antitumorali. Questo alogenuro di xeno, che ha anche proprietà ossidanti, subisce una decomposizione in acqua, producendo xeno, acido fluoridrico e ossigeno.

Tetrafluoruro di xeno

Il tetrafluoruro di xeno, scoperto nel 1963, viene ottenuto dalla reazione tra xeno e fluoro. Questo composto ha diverse applicazioni, tra cui l’incisione del silicio nei dispositivi microelettromeccanici.

Esafluoruro di xeno

L’esafluoruro di xeno si ottiene a partire dal difluoruro di xeno con l’ausilio di NiF2 come catalizzatore o direttamente dagli elementi. Questa molecola, con xeno che assume uno stato di ossidazione +6, è caratterizzata da una maggiore capacità ossidante e fluorurante rispetto agli altri composti di xeno.

Gli alogenuri di xeno sono sostanze altamente reattive che reagiscono con l’acqua per formare ossidi di gas nobili. Ad esempio, l’esafluoruro di xeno reagisce con l’acqua generando xeno ossido e acido fluoridrico. Il tetracloruro di xeno, invece, reagisce rapidamente con l’acqua in una reazione di disproporzione.

Il difluoruro di xeno, invece, ha una reattività più lenta con l’acqua, ma produce xeno e ossigeno come .

Va notato che i composti del radon, come il difluoruro di radon, sono poco studiati a causa della radioattività di questo gas nobile. L’isotopo più stabile del radon ha un di dimezzamento molto breve, limitando l’uso pratico di questi composti.

Saggio di Hinsberg


Come funziona il Saggio di Hinsberg nelle ammine

Il saggio di Hinsberg, sviluppato dal chimico tedesco Oscar Hinsberg, è un metodo utilizzato per identificare e distinguere i gruppi funzionali amminici nelle molecole, determinando se l’ammina in questione è primaria, secondaria o terziaria.

Riconoscere le ammine e la loro reattività

Tutte le ammine presentano un doppietto elettronico solitario sull’azoto che le rende reattive sia come basi che come nucleofili. La loro reattività dipende dalla disponibilità del doppietto e dagli eventuali sostituenti legati all’azoto.

I gruppi alchilici, che agiscono come elettrondonatori, aumentano la basicità delle ammine, mentre gruppi elettronattrattori come quelli acilici e arilici ne diminuiscono la basicità. Questa variazione di basicità viene sfruttata nell’applicazione del saggio di Hinsberg per distinguere tra le diverse tipologie di ammine.

Ammine primarie e il procedimento del test

Nella reazione di un’ammina primaria con il cloruro di benzensolfonile in presenza di KOH, il doppietto elettronico dell’azoto attacca lo zolfo, determinando la formazione di una mono-alchil benzensolfonilammina insolubile in acqua.

Successivamente, un ione OH- attacca l’idrogeno dell’azoto, formando una specie anionica stabilizzata. Acidificando la soluzione, si riprecipita la mono-alchil benzensolfonilammina, permettendo così di identificare l’ammina come primaria.

Ammine secondarie e il risultato del test

Nel caso di un’ammina secondaria, la reazione con il cloruro di benzensolfonile porta alla formazione di una mono-alchil benzensolfonilammina insolubile. Tuttavia, poiché l’azoto della molecola secondaria non ha più idrogeni disponibili, la reazione non può procedere oltre, dando luogo a un precipitato insolubile che conferma la natura secondaria dell’ammina.

Questo test è un metodo efficace per distinguere tra , secondarie e terziarie, fornendo importanti informazioni sulla delle molecole e sulla loro reattività chimica.

Ammine Terziarie e il Loro Comportamento Chimico

Le ammine terziarie giocano un ruolo cruciale nella catalisi della decomposizione del cloruro di benzensolfonile. Tuttavia, a differenza delle ammine primarie e secondarie, non formano composti stabili con questo cloruro, il che impedisce lo svolgimento di eventuali reazioni. Se un’ammina terziaria è solubile in acqua, rimarrà tale in soluzione. Al contrario, se non è solubile, si formerà uno strato sull’acqua che si dissolverà in acido cloridrico.

Procedura Sperimentale per Identificare le Ammine

Per identificare l’ammina di interesse, si seguono alcuni passaggi specifici. Inizialmente, si miscelano circa 300 mg di ammina sconosciuta con 5 mL di KOH al 10% e 0.4 mL di cloruro di benzensolfonile in una provetta tappata, che viene poi agitata con energia. Successivamente, si verifica che la soluzione sia alcalina. Dopo che la reazione è avvenuta, si filtra la soluzione per separare eventuali residui. Questi eventuali residui vengono poi trattati con HCl al 10%. Se nessun residuo è presente, si prova a trattare la soluzione con HCl per osservare se si forma un precipitato, che potrebbe essere indicativo della presenza di ammine primarie o secondarie.

Le ammine primarie si dissolvono in soluzione basica e precipitano in soluzione acida, mentre le ammine secondarie precipitano in soluzione basica e mantengono il precipitato in soluzione acida. Le ammine terziarie, invece, precipitano in soluzione basica ma si sciolgono in soluzione acida, distinguendosi così dalle altre due categorie di ammine.

Per ulteriori approfondimenti sul comportamento chimico delle ammine terziarie e il loro ruolo nelle reazioni con cloruro di benzensolfonile, puoi consultare [questa risorsa](http://chimicamo.org//wp-content/uploads/2014/12/ammine-terziarie.jpg).

Eliminazione di Cope- Chimica organica

La reazione di Cope: l’eliminazione di Cope e il suo meccanismo

La reazione di Cope, scoperta dal chimico statunitense [Arthur C. Cope](https://en.wikipedia.org/wiki/Arthur_C._Cope), rappresenta un importante processo chimico in cui un N-ossido, generato da un’ammna terziaria tramite reazione con un ossidante come un perossiacido o perossido di idrogeno in un solvente aprotico, dà luogo all’eliminazione di Cope. Questa eliminazione porta alla formazione di un alchene e di una N-N.dialchilidrossilammina.

Regioselettività e meccanismo della reazione

La reazione di eliminazione di Cope è classificata come una reazione periciclica di eliminazione di tipo E2. In questa reazione, lo stato di transizione implica una disposizione planare di 5 atomi e uno spostamento ciclico di sei elettroni, conducendo alla formazione di un prodotto di sin-eliminazione. Importante sottolineare che l’eliminazione di Cope è regioselettiva e non segue la regola di Zaitzev, generando l’alchene meno sostituito come prodotto finale.

Particolarità della reazione

A differenza delle ammine terziarie cicliche come la piperidina, che non subiscono l’eliminazione di Cope, la pirrolidina e gli anelli costituiti da 7 o più termini generano come prodotto una idrossilammina insatura.

Meccanismo della eliminazione di Cope

Il meccanismo della reazione avviene in due stadi: inizialmente si ha l’ossidazione dell’ammna terziaria con la formazione di un N-ossido, seguita dall’eliminazione E2 dell’N-ossido prodotto nella fase precedente. Il meccanismo della reazione è reso chiaro nella figura allegata.

La reazione di Cope rappresenta un importante processo chimico, mediante il quale è possibile ottenere cicloalcheni a piccolo anello come ad esempio il ciclobutene. Inoltre, è possibile che si verifichi l’eliminazione inversa, detta retro-Cope, in cui un’idrossilammina N,N-disostituita reagisce con un alchene producendo un N-ossido terziario.

Metalli alcalini

e le loro caratteristiche

I metalli alcalini, appartenenti al Gruppo IA della tavola periodica, sono caratterizzati da un’alta reattività, bassa energia di ionizzazione, elettronegatività ridotta e negativo. Questi elementi, come il litio, e potassio, devono essere conservati in modo adatto per evitare l’ossidazione. I metalli più reattivi vengono spesso conservati in etere di petrolio, mentre quelli meno reattivi, come il rubidio e il cesio, sono custoditi in tubi di vetro sigillati sotto vuoto o in un ambiente inerte.

Proprietà dei metalli alcalini

I metalli alcalini principali sono:

Litio (Li)


Sodio (Na)


Potassio (K)


Rubidio (Rb)


Cesio (Cs)

Caratteristiche principali:

Numero atomico:

rispettivamente 3, 11, 19, 37, 55

Configurazione elettronica del guscio esterno:

2s¹, 3s¹, 4s¹, 5s¹, 6s¹

Raggio atomico:

152, 186, 227, 248, 265 pm

Raggio ionico di M⁺:

60, 95, 133, 148, 169 pm

Elettronegatività:

1.0, 0.9, 0.79, 0.8

Queste informazioni sono cruciali per comprendere le proprietà e il comportamento dei metalli alcalini all’interno della tavola periodica.Metalli alcalini: proprietà e caratteristiche salienti

I metalli alcalini costituiscono un gruppo di elementi chimici con caratteristiche comuni, tra cui l’elevata reattività e la tendenza a perdere un elettrone per ottenere una configurazione elettronica più stabile. Di seguito sono riportate alcune delle proprietà principali dei metalli alcalini più comuni, come il litio, il sodio, il potassio, il rubidio e il cesio.

Energia di prima ionizzazione

I metalli alcalini presentano valori di energia di prima ionizzazione relativamente bassi, che diminuiscono lungo il gruppo. Questo significa che è più facile per questi elementi perdere un elettrone e formare ioni positivi.

Potenziale elettrodico

Il potenziale elettrodico dei metalli alcalini è generalmente negativo, il che li rende buoni agenti riducenti in reazioni chimiche. Questa caratteristica li rende utili in diverse applicazioni industriali.

Punto di fusione ed ebollizione

I metalli alcalini hanno punti di fusione e di ebollizione relativamente bassi rispetto ad altri metalli. Questo li rende adatti per utilizzi in cui è richiesta una elevata conducibilità termica ed elettrica.

Densità e conducibilità

La densità dei metalli alcalini aumenta lungo il gruppo, mentre la conducibilità elettrica diminuisce. Queste proprietà possono influenzare le caratteristiche fisiche e chimiche dei composti che essi formano.

Colorazione alla fiamma

Un’altra caratteristica distintiva dei metalli alcalini è la colorazione che essi conferiscono alla fiamma durante la combustione. Ogni metallo alcalino produce una colorazione specifica, che può essere utilizzata per identificarli in laboratorio.

In , i metalli alcalini presentano una serie di proprietà uniche che li distinguono dagli altri elementi chimici. La loro reattività e le varie applicazioni industriali ne fanno componenti importanti nella chimica e nella tecnologia moderna.

Metalli Alcalini: Proprietà e Reattività Chimica

I metalli alcalini sono gli elementi del gruppo 1 della tavola periodica, quali litio, sodio, potassio, rubidio, cesio e franco. Presentano la formula M2O e vantano basse temperature di fusione e di ebollizione, nonché una densità inferiore a quella dell’acqua. Queste caratteristiche derivano dalla tendenza di questi metalli a perdere l’elettrone del guscio esterno, rendendoli facilmente ossidabili e buoni agenti riducenti.

Reazioni dei Metalli Alcalini

Reazioni con l’idrogeno

I metalli alcalini reagiscono con l’idrogeno per formare idruri secondo la seguente equazione:

2 M(s) + H2(g) → 2 MH(s)

Reazioni con l’acqua

La reazione dei metalli alcalini con l’acqua produce idrogeno gassoso e idrossidi metallici:

2 M(s) + 2 H2O(l) → 2 MOH(aq) + H2(g)

Reazioni con l’ossigeno

Quando esposti all’ossigeno, i metalli alcalini generano ossidi. Ad esempio, il litio l’ossido di litio:

4 Li + O2 → 2 Li2O

Il sodio, bruciando all’aria, produce ossido di sodio o perossido di sodio, a seconda delle condizioni.

Altre Reazioni

I metalli alcalini reagiscono anche con gli alogeni per formare sali ionici:

2 M(s) + X2(g) → 2 MX(s)

In generale, la reattività dei metalli alcalini aumenta scendendo lungo il gruppo a causa della diminuzione dell’attrazione del nucleo sul guscio esterno. Questo determina una maggiore facilità di perdita degli elettroni esterni e un’incrementata reattività.

Eteri corona

Gli Eteri Corona: Molecole con Proprietà Speciali

Gli eteri corona sono molecole organiche costituite da carbonio, idrogeno e ossigeno che formano una ciclica in cui ogni atomo di ossigeno è legato a due atomi di carbonio. Queste molecole sono oligomeri dell’ossido di etilene che presentano l’unità ripetitiva -CH2-CH2-O-. Nel 1960, il chimico Charles Pedersen della DuPont ha scoperto che queste molecole possono solvatare ioni di , e nel 1967 ha descritto la del primo eteri corona, l’18-corona-6.

Proprietà degli Eteri Corona

Gli eteri corona presentano una cavità interna polare a causa dei doppietti elettronici solitari sugli atomi di ossigeno, che le rendono adatte a solvatare ioni di metalli alcalini. La superficie esterna delle molecole è apolare, rendendole solubili in apolari. A seconda delle dimensioni della cavità interna, gli eteri corona mostrano specificità nella chelazione di diversi ioni alcalini.

Ad esempio, l’18-corona-6 è in grado di chelare l’ione K^+, mentre il 15-corona-5 e il 12-corona-4 sono specifici rispettivamente per Na^+ e Li^+.

Sintesi degli Eteri Corona

La sintesi degli eteri corona avviene mediante reazioni di ciclizzazione di tipo SN2. Ad esempio, l’18-corona-6 può essere ottenuto a partire dal glicole trietilenico. In laboratorio, questi composti sono utilizzati come per il trasferimento di fase, facilitando la migrazione di reagenti ionici da una fase all’altra per permettere la reazione.

Gli eteri corona sono quindi molecole con proprietà speciali che li rendono utili in diversi contesti chimici e laboratoriali.

Alizarina: struttura, proprietà, usi


Alizarina: caratteristiche e applicazioni di un colorante organico

L’alizarina, conosciuta anche come Rosso di Turchia, è un colorante organico di colore rosso con formula molecolare C14H8O4. Scoperta da Graebe e Liebermann nel 1868, la sua a partire dall’antracene ha rivoluzionato l’industria tessile e chimica.

Origini e struttura dell’alizarina

Originariamente estratta dalla Rubia tinctorum, pianta diffusa in Europa meridionale, l’alizarina è scarsamente solubile in acqua ma facilmente solubile in soluzioni basiche. Presenta una 9,10-antrachinonica con due sostituenti ossidrilici nelle posizioni 1 e 2, che conferiscono al composto proprietà di assorbimento nell’ visibile.

Applicazioni e usi dell’alizarina

L’alizarina è ampiamente impiegata come colorante al mordente, formando lacche di vario colore con diversi metalli. Utilizzata nell’industria tessile, tintoria e pittorica, trova impiego anche come indicatore di pH, assumendo una colorazione gialla a pH inferiori a 5.5 e rossa a pH sopra 6.8.

In campo analitico, l’alizarina è impiegata per la determinazione di metalli tramite complessazione. In presenza di calcio, sotto condizioni basiche, si un complesso colorato che può essere utilizzato per l’ qualitativa e quantitativa del calcio.

Applicazioni geologiche dell’alizarina

Nel campo geologico, l’alizarina è impiegata per identificare minerali contenenti calcio come la calcite e l’aragonite. Grazie alle sue proprietà colorimetriche, risulta essere uno strumento prezioso per analisi geologiche specifiche.

Con le sue varie applicazioni e la sua lunga storia, l’alizarina rimane un composto chimico di rilevanza sia storica che pratica nell’ambito scientifico e industriale.

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