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Cosa non è e perché non si considera un presagio di terremoti

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Un esemplare di pesce remo (Regalecus glesne) è stato avvistato sulle spiagge della Baja California in Messico il 19 febbraio 2025, suscitando curiosità e speculazioni. Questo pesce osseo marino è noto per essere il più lungo al , raggiungendo lunghezze fino a 17 metri. Raro da osservare in superficie, il pesce remo vive a profondità comprese tra i 200 e i 1000 metri nelle acque tropicali e temperate. La sua apparizione ha riacceso l’interesse per un’antica credenza , cui il pesce remo sarebbe un presagio di e tsunami. Nonostante la mancanza di prove scientifiche, l’avvistamento di un esemplare fuori dal suo habitat naturale rimane un evento raro.

Il pesce remo: caratteristiche e habitat

Il pesce remo è un pesce osseo marino appartenente alla famiglia Regalecidae dell’ordine Lampridiformes. Il nome di questa specie deriva dalla forma allungata e compressa del corpo. Conosciuto anche come "re delle aringhe", presenta un colore argento metallizzato con macchie ondulate e pinne rosa o rosse. Tra le sue caratteristiche distintive si nota la bocca sporgente e una lunga pinna dorsale che percorre tutta la lunghezza del corpo.

Il pesce remo, che detiene il record come il pesce osseo più lungo del mondo, ha esemplari che misurano in 3 metri, ma è possibile trovare individui di oltre 8 metri e, in alcuni casi, persino di 17 metri. La dieta di questo pesce è carnivora e include crostacei, piccoli pesci e calamari, che cattura utilizzando mascelle protrusibili mentre si trova in posizione verticale nell’acqua. Vive solitamente a profondità significative, raramente avvistato in superficie.

La leggenda giapponese legata a terremoti e tsunami

L’avvistamento di un pesce remo offre opportunità uniche per lo studio della sua biologia e anatomia. Tuttavia, secondo antiche credenze giapponesi, la sua presenza può essere correlata a calamità naturali. In Giappone, il pesce remo è conosciuto come Ryūgū no tsukai, ovvero "il messaggero del palazzo del drago marino".

I Ryūgū no tsukai sono descritti come enormi pesci con caratteristiche umane e si dice che possano raggiungere dai 5 ai 18 metri di lunghezza. Alcuni di essi emanerebbero una luce visibile da lontano. Le descrizioni di queste creature suggeriscono che siano state ispirate dai pesci remo, i quali, in rare occasioni di spiaggiamento, sono stati scambiati per figure mitologiche. La tradizione vuole che questi esseri siano messaggeri di Ryūjin, il dio del mare, incaricati di avvertire l’umanità riguardo a calamità come tsunami e terremoti.

Sebbene la leggendaria connessione tra il pesce remo e eventi sismici possa affascinare, studi scientifici del 2019 hanno tentato di verificare la correlazione tra avvistamenti di pesci remo e attività sismica, senza trovare relazioni significative. La conclusione evidenziava che la percezione di tali eventi come presagi è sostanzialmente una superstizione.

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Il primo modem 5G Apple e un chip A18 “depotenziato” presenti nell’iPhone 16e: ecco cosa significa

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ha annunciato il lancio dell’iPhone 16e, un modello che amplia la sua famosa gamma di smartphone e si distingue per innovazioni tecnologiche mirate a garantire elevate prestazioni a un prezzo più contenuto rispetto ai modelli di punta. Tra le principali novità del dispositivo spicca il 5G proprietario C1, il sviluppato internamente dall’azienda, che permetterà di convertire il segnale 5G in segnale Wi-Fi per connettere più dispositivi a Internet. Questo modem rappresenta un passo significativo verso l’autonomia di Apple dai fornitori esterni, con l’obiettivo di ottenere migliore efficienza energetica e riduzione dei costi di produzione, mantenendo però prestazioni elevate della connettività 5G.

Dettagli del modem C1

Il modem C1 segna un’importante novità nel panorama dei componenti hardware di Apple. Fino a ora, l’azienda si era affidata a Qualcomm per i suoi modem 5G, ma con il nuovo C1, si punta a ottimizzare la sinergia tra hardware e software e a migliorare la gestione delle risorse del dispositivo. La progettazione avanzata del C1 consente una maggiore efficienza energetica, contribuendo a migliorare l’autonomia della batteria dell’iPhone 16e. Nonostante il C1 sia un modem 5G avanzato, non supporta le frequenze mmWave, tecnologia che permette velocità di trasferimento dati estremamente elevate, ma Apple ha scelto di focalizzarsi sulle bande 5G più diffuse e utilizzate.

Chip A18 depotenziato

Un’altra caratteristica dell’iPhone 16e riguarda il chip , presente anche nei modelli 16 e 16 Plus, ma in una versione depotenziata. In questo caso, la GPU è dotata di un core in meno, passando da 5 a 4 core. Questa scelta si basa sulla pratica del “binning”, adottata nel settore dei semiconduttori, che permette di utilizzare chip che non soddisfano tutte le specifiche richieste, evitando così sprechi. Nonostante la GPU ridotta, le prestazioni generali non dovrebbero risultare compromesse per l’uso quotidiano, mentre gli utenti impegnati in attività grafiche intense potrebbero avvertire un leggero calo delle performance. Nel complesso, l’esperienza d’uso dell’iPhone 16e rimane fluida per la maggior parte degli utenti.

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Critiche di Trump a Zelensky e ripercussioni nella politica internazionale

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Negli ultimi giorni, l’incertezza riguardo al futuro del conflitto in Ucraina e alle sue implicazioni sullo scenario geopolitico globale ha suscitato forti preoccupazioni. Dichiarazioni recenti del Presidente , successivamente a una conversazione con il Cremlino, hanno colpito l’attenzione . Trump ha descritto il Presidente come un “dittatore mai eletto” e un “comico mediocre”, attribuendogli la responsabilità dell’attuale guerra. Questo contesto segna un deterioramento del dialogo diplomatico, evidenziando anche il presunto sostegno della Russia di Putin alla Corea del Nord per la produzione missilistica.

Dichiarazioni Controversie

Le affermazioni del Presidente americano, che ha definito l’omologo ucraino un “dittatore comico”, si riferiscono all’impossibilità di tenere le elezioni del 2019 a causa delle leggi marziali imposte dal conflitto. Trump ha commentato il calo del gradimento di Zelensky, senza citare dati certi a supporto. Inoltre, ha insistito su una presunta disponibilità della Russia a negoziare la pace.

Richieste Economiche e Replica di Zelensky

Trump ha dichiarato a Fox News di voler che l’Ucraina ripaghi gli aiuti americani, quantificati tra 300 e 350 miliardi di dollari, in cambio di un corrispettivo di 500 miliardi in terre rare, proposta che Kiev avrebbe, Trump, accettato, sebbene manchino garanzie di sicurezza. In risposta, Zelensky ha evidenziato che le opinioni di Trump sono influenzate da una “disinformazione” veicolata dalla Russia e ha ribadito che le elezioni restano impraticabili a causa dei continui attacchi.

Contesto Geopolitico e Sanzioni

L’atteggiamento di Trump sembra riflettere un desiderio di distacco dell’America da conflitti non direttamente coinvolgenti e costosi. Le attuali strategie americane sembrano spostarsi verso la Cina, cercando di mantenere buoni rapporti con Mosca per evitare ulteriori spese. Tuttavia, tali affermazioni potrebbero avvantaggiare Putin, minando il supporto internazionale per l’Ucraina e mettendo Kiev in una posizione precaria nei negoziati. La situazione attuale aumenta l’incertezza geopolitica in Europa. Mentre l’Unione Europea ha adottato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, il possibile ritiro delle forze statunitensi potrebbe consentire maggiore libertà d’azione a Mosca. Alcuni stati, come Regno Unito e Francia, stanno pianificando una riorganizzazione della sicurezza militare europea in risposta a un eventuale “cessate il fuoco” imposto tra Washington e Mosca. La Russia ha definito queste manovre come una “minaccia diretta inaccettabile”, lasciando presagire una potenziale escalation non pacifica.

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Probabilità che l’asteroide 2024 YR4 colpisca la Terra dimezzate secondo la NASA: cosa sappiamo

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Rappresentazione artistica di un asteroide nello spazio.

i calcoli del CNEOS (Center for Near Earth Object Studies) della , le che l’asteroide 2024 – scoperto circa cinquanta giorni fa e delle dimensioni comprese tra 40 e 90 metri – la Terra il 22 dicembre 2032 sono diminuite, passando dal 3,1% a un 1,5% nella notte tra il 19 e il 20 febbraio, in seguito a 376 osservazioni del corpo celeste. Il valore del 3,1% rappresentava una probabilità di impatto di notevole rilievo, superando il precedente record del 2,7% stabilito nel 2004 per l’asteroide Apophis.

Le variazioni di queste probabilità non destano preoccupazione. Come già spiegato, quando un asteroide near-Earth viene scoperto, le probabilità di impatto tendono inizialmente a crescere, per poi diminuire fino a quasi azzerarsi. Questo fenomeno può essere illustrato con un esempio: supponendo che durante il massimo avvicinamento tra la Terra e 2024 YR4, previsto per il 22 dicembre 2032, la distanza stimata sia di 100.000 km e l’incertezza su questa distanza sia di 200.000 km, il corpo celeste potrebbe trovarsi all’interno di una sfera di raggio 200.000 km. Poiché questa sfera contiene sicuramente la Terra, la possibilità di un impatto non può essere esclusa. Tuttavia, man mano che si raccolgono ulteriori osservazioni, l’incertezza sulla distanza tende a diminuire.

Con il procedere delle osservazioni, la “sfera” delle possibili posizioni dell’asteroide diventa più piccola, ma la Terra rimane all’interno di essa, mantenendo così alta la probabilità di impatto. Quando, però, l’incertezza si riduce al di sotto della distanza reale, la sfera non conterrà più la Terra e la probabilità di impatto crollerà a zero. Pertanto, il passaggio da una probabile impennata a una rapida diminuzione delle probabilità è un fenomeno normale per molti asteroidi near-Earth recentemente scoperti.

In merito a 2024 YR4, l’attenzione è aumentata a causa delle probabilità rilevate, che, sebbene elevate rispetto ad altri asteroidi recentemente scoperti, devono essere interpretate in un contesto di fluttuazione delle stime. È importante notare che la NASA non è l’unica agenzia che monitora tali probabilità; anche l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) fornisce stime simili, utilizzando algoritmi diversi per il calcolo delle incertezze. I dati più recenti dell’ESA, aggiornati il 18 febbraio, indicavano una probabilità di impatto del 2,8%, che differisce da quella calcolata dalla NASA. Si prevede che l’aggiornamento successivo dell’ESA seguirà un trend simile a quello delineato dalla NASA.

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Scoperta della tomba del faraone Thutmose II dopo un secolo in Egitto, non solo Tutankhamon

Una missione archeologica congiunta ha identificato la tomba come appartenente al re Thutmose II, antico re egizio, antenato di Tutankhamon, che regnò tra il 2000 e il 1001 a.C.

@New Kingdom Research Foundation

Venuta alla luce grazie a una spedizione egiziano-britannica, la tomba di un , la prima dal ritrovamento di quella di Tutankhamon, appartiene al re Thutmose II. La sepoltura si troverebbe a circa 2,4 chilometri a ovest della Valle dei Re, vicino alla città di Luxor. Il ritrovamento dei resti mummificati di questo sovrano meno noto risale a due secoli fa, ma il luogo di sepoltura originale non era mai stato individuato.

il ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, la tomba di Thutmose II rappresenta l’ultima sepoltura perduta dei re della XVIII dinastia e la prima scoperta di rango reale quella di Tutankhamon nel 1922.

Parte del soffitto era ancora intatta, presentando un disegno blu con stelle gialle, tipico delle tombe reali. Il capo della missione, Piers Litherland, ha dichiarato: “Soffitti dipinti di blu con stelle gialle si trovano solo nelle tombe dei re.” Inoltre, ha aggiunto che la tomba si è rivelata completamente vuota, non a causa di saccheggi, ma perché era stata deliberatamente svuotata.

A joint Egyptian-British archaeological mission has uncovered the long-lost tomb of king Thutmose II, the final missing royal tomb of Dynasty 18, during excavations at Tomb C4 on the west bank of Luxor. The tomb’s entrance and main corridor were first identified in 2022. #Luxor pic.twitter.com/e08w7oSKw9

— Ministry of Tourism and Antiquities (@TourismandAntiq) February 20, 2025

Quando nel 2022, il team archeologico ha scoperto per la prima volta l’ingresso e il corridoio principale della sepoltura, si era ipotizzato che appartenesse a una donna, data la vicinanza alla tomba della regina Hatshepsut e a quelle delle mogli del re Thutmose III. Thutmose II è conosciuto anche per essere stato consorte della regina Hatshepsut, una delle figure femminili più significative della egizia.

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Una spugna assorbe oli e idrocarburi dall’acqua del porto: ecco come funziona

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Numerosi cittadini hanno potuto osservare riflessi iridescenti sulla superficie dell’acqua nei porti, spesso associati a sversamenti di e dalle imbarcazioni. Questi eventi possono essere il risultato di perdite accidentali durante operazioni come il rifornimento, la manutenzione dei motori e la pulizia dell’acqua di sentina, dove si accumulano liquidi contaminanti.

Per affrontare questa problematica ambientale, è stata ideata una spugna specifica, da utilizzare sia nei porti che a bordo delle imbarcazioni, in grado di assorbire una significativa quantità di liquidi inquinanti senza trattenere l’acqua.

Il poliuretano espanso a celle aperte: cos’è e com’è fatto

Ogni chilogrammo di questa spugna, chiamata Foam Flex e brevettata nel 2014 dall’azienda italiana T1 Solutions, può assorbire fino a 6000 kg di oli durante il suo ciclo di vita, potendo essere impiegata fino a 200 volte. Il materiale di cui è composta è poliuretano espanso, caratterizzato da una a celle aperte.

Questa spugna presenta una consistenza morbida e flessibile, dovuta alla sua struttura spugnosa, con piccole celle interconnesse tra . La particolare formulazione chimica del poliuretano, sviluppata appositamente per questo scopo, permette di assorbire grandi quantità di oli e idrocarburi senza trattenere l’acqua. Questo è reso possibile grazie a specifici copolimeri selezionati, che conferiscono al materiale una forte affinità con gli oli e una notevole resistenza all’acqua.

Cosa succede agli oli una volta che sono stati assorbiti dalla spugna?

Le spugne Foam Flex hanno un impatto ambientale positivo, poiché, avere assorbito gli oli, possono essere strizzate per recuperare il liquido, che può poi essere smaltito attraverso le apposite procedure di raccolta. Inoltre, grazie alla loro robustezza, non rilasciano sostanze nocive nell’ambiente e hanno ricevuto l’approvazione dal Ministero dell’Ambiente per l’uso in mare.

Un caso esemplare dell’efficacia di queste spugne si è verificato a Fuerteventura, dove nel 2018 un incidente ha portato a un versamento di circa 150 tonnellate di oli misti. In questa circostanza, 70 kg di Foam Flex, insieme a strizzatori manuali, hanno permesso una pulizia efficace, recuperando tra il 50 e il 70% della sostanza inquinante.

In Italia, l’iniziativa Q8 Sailing for Change è in atto per affrontare questo problema. Grazie alla collaborazione con LifeGate, Q8 ha già inviato kit contenenti spugne Foam Flex in 20 porti italiani, con l’obiettivo di raggiungerne altri 20 entro il 2025.

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Le uscite di emergenza delle gallerie autostradali e il loro utilizzo

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Le d’ nelle gallerie rappresentano elementi fondamentali per la sicurezza e la gestione del rischio in caso di situazioni critiche. L’importanza di comprendere il funzionamento di queste uscite è fondamentale per tutti gli utenti della strada.

Uscite d’emergenza: design e funzionamento

Le porticine verdi segnalano le vie di fuga che consentono un’uscita rapida e sicura in caso di emergenze. La galleria Santa Lucia, nota per essere il tunnel a tre corsie più lungo d’Europa, dispone di un sistema di uscite progettato per guidare gli utenti verso la sicurezza.

Comportamento in caso di pericolo

In situazioni di pericolo, è essenziale mantenere la calma e seguire le indicazioni presenti lungo il percorso. Le uscite d’emergenza sono segnalate in modo chiaro, e il loro deve avvenire le procedure standard di evacuazione.

Attraverso l’ delle vie di fuga nella galleria Santa Lucia, è possibile ottenere una maggiore consapevolezza riguardo alla sicurezza stradale e all’importanza delle procedure di emergenza in ambiente sotterraneo.

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Il capolavoro giapponese La Grande Onda di Kanagawa di Hokusai che ha girato il mondo

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La Grande di Kanagawa conservata al British Museum. Credit: Katsushika Hokusai, via Wikimedia Commons.

La Grande Onda di Kanagawa è una xilografia in stile Ukiyo-e, realizzata dal pittore Katsushika Hokusai (1760-1849) intorno al 1830. Essa rappresenta la prima e più celebre stampa della serie Trentasei vedute del Monte Fuji, diventando una delle immagini più iconiche a livello globale. La sua straordinaria diffusione ha contribuito a renderla un simbolo dell’arte giapponese, influenzando profondamente gli artisti europei di fine ‘800. Essendo una xilografia, l’opera è stata realizzata tramite una matrice di legno, permettendo di produrre numerose copie originali, ora conservate in musei e collezioni in tutto il mondo.

Il capolavoro e la sua tecnica

La composizione presenta una grande onda che si infrange in primo piano, barche in lotta contro durezze naturali e in lontananza il monte Fuji. La Grande Onda è il risultato di un periodo di intensa creatività culturale in Giappone, noto come Mondo fluttuante, che ha toccato anche la musica e il teatro. L’opera, parte della serie delle Trentasei vedute del Monte Fuji, è stata elaborata da Hokusai nei primi anni ’30 dell’Ottocento, dopo circa trent’anni di concept. Grazie alla tecnica della xilografia, che impiega blocchi di legno per la stampa, il pezzo ha raggiunto una diffusione straordinaria. L’uso di coloranti come l’indaco e il blu di Prussia, recentemente arrivati dal mercato olandese, ha accentuato l’impatto visivo dell’onda. Tale metodo consente di generare un numero illimitato di stampe da un’unica matrice, da cui discende l’alto numero di “originali” oggi conservati in musei di tutto il mondo, con dimensioni di 25,7 × 37,9 centimetri.

Il numero delle copie esistenti

Il numero esatto delle copie esistenti di La Grande Onda non è noto, poiché non veniva registrato il totale delle “impressioni” create da uno specifico set di blocchi di legno. Tuttavia, si stima che siano state prodotte migliaia di impressioni. il British Museum, un editore doveva vendere almeno 2.000 copie per generare profitto, con esperti che ritengono siano state realizzate fino a 8.000 impressioni. Attualmente, non tutte le copie originarie sono più disponibili, considerando la fragilità. Dati aggiornati al 2022 indicano l’esistenza di circa 100 copie conosciute, che presentano leggere variazioni dovute a scelte editoriali o segni di usura sulla matrice, i quali possono aiutare a identificare la sequenza temporale delle stampe.

Localizzazione delle copie

Numerose copie sono conservate in Giappone, presso il Museo Nazionale di Tokyo e il Museo giapponese Ukiyo-e di Matsumoto. Tuttavia, le più visibili a livello sono probabilmente quelle esposte al British Museum di Londra e al Metropolitan Museum of Art di New York. Negli Stati Uniti, esemplari possono essere trovati a Chicago, Los Angeles e Washington. In Francia, dove l’opera ha riscosso un notevole successo, si possono osservare copie a Giverny, Parigi (Museo Guimet e Bibliothèque Nationale de France). Altri esemplari sono presenti in vari luoghi, come Melbourne, e alcune collezioni private, tra cui una venduta nel 2023 per 2,8 milioni di dollari. In Italia, copie della xilografia sono conservate al Museo d’arte orientale Edoardo Chiossone di Genova, al Palazzo Maffei Casa Museo di Verona, nel Civico museo d’arte orientale di Trieste e al Museo d’arte orientale di Torino.

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Quali quiz di Geopop vengono proposti?

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Nel esistono migliaia di vulcani, alcuni dei quali sono noti per le violente eruzioni. Questa proposta è rivolta a chi desidera testare le proprie conoscenze attraverso un basato su quattro immagini di vulcani. Il compito consiste nell’identificare il nome del vulcano presentato in ciascuna immagine e nel collocarlo correttamente su una mappa, indicando la sua posizione geografica esatta.

  • Identificare il nome del vulcano raffigurato nell’immagine;
  • Collocarlo correttamente su una mappa, indicando la posizione geografica esatta.

È consigliabile scorrere lentamente la pagina, poiché subito il quiz si troveranno le soluzioni con il nome del vulcano e la sua corretta collocazione geografica.

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Soluzioni del quiz:

Il primo vulcano è il Kilimangiaro, un imponente stratovulcano quiescente in Tanzania, celebre per essere la montagna più alta dell’Africa e la più montagna isolata al mondo, non associata a catene montuose. Segue il Monte Fuji, un vulcano iconico del Giappone, noto per la sua simmetria perfetta che lo rende un simbolo nazionale.

In terza posizione troviamo l’Etna, situato in Sicilia, riconosciuto per essere il vulcano attivo più alto d’Europa. L’ultimo vulcano è il Mount St. Helens, situato nello Stato di Washington, USA, tristemente noto per la devastante eruzione del 1980.

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Per comprendere il motivo per il quale nel mondo esistono così tanti vulcani, è disponibile un video ad hoc sull’argomento:

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Il falso del dipinto Sansone e Dalila di Rubens è scoperto dall’intelligenza artificiale

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Sansone e esposto alla National Gallery di Londra. Credit: Peter Paul Rubens, via Wikimedia Commons

Un dipinto esposto alla National Gallery di Londra, Sansone e Dalila, attribuito a Peter Paul Rubens, è attualmente sotto inchiesta per presunta non autenticità. L’opera, datata 1609, è stata sottoposta a un’analisi nel 2021 condotta dall’azienda Art Recognition, utilizzando tecniche di intelligenza artificiale e reti neurali per valutare la veridicità del dipinto. I risultati indicano una probabilità superiore al 91% che l’opera in questione sia un .

Analisi attraverso intelligenza artificiale

Art Recognition ha impiegato diverse tecnologie, tra cui una Convolutional Neural Network (CNN) e un Vision Transformer with Shifted Windows (SWIN), per esaminare le specifiche della pennellata e i tratti caratteristici dell’artista. Il processo prevede la scansione dell’opera, suddividendola in “patch” e calcolando per ciascuna una percentuale di probabilità di falsità. Caterina Popovici, cofondatrice di Art Recognition, ha riferito che, nel caso specifico di Sansone e Dalila, la percentuale di probabilità di falsità supera il 91%. Non è attualmente noto se esista ancora un originale di quest’opera e in caso affermativo, dove possa trovarsi.

Dubbi sull’autenticità di Sansone e Dalila

L’opera ritrae Sansone addormentato con la testa sulle ginocchia di Dalila, evocando un episodio biblico in cui l’eroe è tradito. Da , esperti di Rubens sostengono che il dipinto acquisito dalla National Gallery sia in realtà una copia di un originale commissionato da Nicolaas Rockox. Si riporta che l’originale sia scomparso dopo la morte di Rockox nel 1640, portando l’opera ad essere attribuita a Rubens durante un’analisi nel 1929. Le discrepanze nei colori e nei dettagli rispetto a versioni ufficiali del dipinto hanno alimentato i sospetti sulla sua autenticità.

Dal ritrovamento di documenti nel 1960, si è che Ludwig Burchard, il ricercatore che ha attribuito l’opera a Rubens, era a conoscenza delle incertezze riguardo ad altre opere a lui assegnate. Tuttavia, non sono emerse certezze definitive riguardo a Sansone e Dalila, che ha fatto parte delle opere trattate da Christie’s prima di approdare alla National Gallery. La decisione di analizzare il dipinto utilizzando un sistema di intelligenza artificiale ha rivelato risultati che suscitano nuovi interrogativi sull’attribuzione del .

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L’aereo a Toronto si ribalta e tutti i passeggeri si salvano dall’incidente: le ipotesi

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Hanno avuto inizio le indagini ufficiali sull’incidente aereo a , verificatosi il 17 febbraio, quando un aereo Bombardier CRJ-900 in partenza da Minneapolis, operato da Endeavor Airlines, sussidiaria di Delta Airlines, si è ribaltato e incendiato durante l’atterraggio all’aeroporto Pearson. Fortunatamente, tutte le 80 persone a bordo sono state salvate, mentre i feriti ammontano a 18, di cui 3 in condizioni gravi. Le autorità hanno recuperato la scatola nera per analizzare i dati e ricostruire la causa e la dinamica dell’incidente. Un’ possibile riguarda la presenza di un microburst, una raffica di aria fredda discendente.

Dinamica dell’incidente

Osservando le riprese dell’atterraggio, si nota che l’aereo ha toccato in modo brusco, con un profilo orizzontale anziché inclinato. Questo suggerisce che non sia stata effettuata la manovra di flare, fondamentale per ridurre la velocità verticale prima del contatto con la pista. L’aereo ha toccato il suolo ad alta velocità, inclinato verso destra, e l’ala ha toccato terra, trascinandosi sulla pista per circa 3 secondi prima di ribaltarsi. Un atterraggio non simmetrico potrebbe aver concentrato l’impatto su un carrello, destabilizzando l’assetto del velivolo.

Cause dell’atterraggio brusco

Le motivazioni alla base dell’atterraggio violento sono ancora oggetto di indagine. Un errore di manovra del pilota non può essere escluso, ma risulta improbabile data la procedura standard. Una possibilità concreta è che i piloti abbiano incontrato difficoltà a causa di improvvise raffiche di vento discendenti, note come microburst. Queste correnti, che si formano in presenza di nubi temporalesche, possono creare condizioni di atterraggio avverse, spingendo l’aereo verso il basso in maniera repentina e generando venti laterali capaci di destabilizzare il velivolo.

microburst
Dinamica di un microburst ed effetti su un atterraggio aereo. Credit: NOAA

Il rapporto meteorologico METAR parla di raffiche fino a 35 nodi, ossia 65 km/h, confermando che le condizioni erano al limite ma comunque entro i parametri operativi per l’atterraggio. Pertanto, un microburst potrebbe aver contribuito ai problemi di stabilità in fase di discesa.

Esito positivo dell’incidente

Nonostante la gravità dell’incidente, nessuna vittima è stata registrata. La fusoliera del velivolo ha resistito bene all’impatto, evidenziando la buona costruzione dell’aereo. Inoltre, il tempestivo intervento dei Vigili del Fuoco e la gestione delle operazioni di evacuazione da parte del personale di bordo hanno giocato un ruolo cruciale nel prevenire il peggio.

Procedure d’indagine in corso

Le indagini per l’incidente sono coordinate dalle autorità canadesi e statunitensi, con l’obiettivo di stabilire cause e dinamiche per adottare misure preventive future. Un rapporto preliminare sarà presentato entro un mese, integrando i dati raccolti dalla scatola nera, incluse le registrazioni audio della cabina di pilotaggio e le testimonianze dei piloti. Questo rapporto preliminare potrebbe fornire chiarimenti sull’incidente, con un rapporto ufficiale previsto entro un anno.

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Celle a combustibile alimentate da etanolo diretto.

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Le ad diretto (DEFC), acronimo di Direct Ethanol Fuel Cell, rappresentano una valida alternativa alle celle a combustibile con membrana a scambio protonico. Questa tecnologia si distingue per la maggiore densità energetica dell’etanolo, che supera quella dell’idrogeno, rendendola una promettente fonte di .

Caratteristiche delle celle a combustibile ad etanolo diretto

Le celle a combustibile ad etanolo diretto sono dispositivi elettrochimici progettati per convertire direttamente l’energia chimica contenuta nell’etanolo in energia elettrica. Questa energia elettrica può essere impiegata per alimentare dispositivi elettronici portatili, come telefoni cellulari e computer portatili.

Con l’accelerare dello sviluppo tecnologico contemporaneo, è aumentata la domanda di dispositivi elettronici portatili che richiedono un’alimentazione di alta potenza e una lunga durata. Di conseguenza, emerge la necessità di fonti di energia che soddisfino queste esigenze. Le celle a combustibile ad etanolo diretto hanno ricevuto notevole attenzione poiché si presentano come opzioni più valide rispetto alle celle a combustibile a membrana elettrolitica polimerica alimentate a idrogeno, grazie alla configurazione compatta e al funzionamento efficiente.

Potenzialità e sfide

L’etanolo è un biocombustibile prodotto principalmente attraverso la fermentazione di zuccheri e amidi derivati da coltivazioni agricole, come canna da zucchero, mais, patate e manioca. Recenti ricerche hanno cercato di individuare metodi di produzione sostenibile dell’etanolo utilizzando prodotti di scarto agricoli, evitando il consumo di risorse destinate alla produzione alimentare.

Le celle a combustibile ad alcol diretto (DAFC) si basano sull’ossidazione elettrochimica simultanea del combustibile all’anodo e sulla riduzione dell’ossidante al catodo. Negli ultimi due decenni, la ricerca si è concentrata su due tecnologie principali: celle a combustibile a membrana a scambio protonico (PEM), utilizzate in ambienti acidi, e celle a combustibile a membrana a scambio anionico (AEM), attive in elettroliti alcalini con trasmissione di ioni idrossilici.

Le celle a combustibile commerciali disponibili oggi utilizzano idrogeno come combustibile e ossigeno dall’aria come ossidante, richiedendo impianti complessi non ideali per dispositivi portatili. Al contrario, l’uso di combustibili liquidi a temperatura e pressione ambiente rappresenta un’opzione promettente per l’energia portatile, grazie alla sua capacità di funzionare a pressioni ambientali e alla facilità di stoccaggio.

Gli alcoli, in particolare, si sono dimostrati interessanti come potenziali combustibili liquidi per le celle a combustibile, poiché possono essere facilmente ossidati e presentano potenziali di riduzione comparabili a quelli dell’idrogeno. Tra questi, le celle a combustibile ad etanolo diretto e quelle a metanolo diretto differiscono per il modo in cui l’etanolo viene ossidato, limitando l’efficienza del dispositivo e la gestione della produzione energetica.

Un aspetto limitante delle celle a combustibile ad etanolo diretto è la permeabilità delle membrane agli alcoli, il cui fenomeno, noto come fuel crossover, influisce negativamente sulle prestazioni, riducendo la capacità di generazione di energia. Ulteriori sfide emergono dall’inefficienza della conversione dell’etanolo in composti a valore energetico elevato e dalla complessità nella progettazione dei sistemi.

Tuttavia, nonostante le complicazioni, le celle a combustibile ad etanolo diretto stanno guadagnando attenzione nel campo delle energie alternative, grazie ai progressi nella tecnologia delle membrane e nella gestione degli elettrocatalizzatori.

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