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Entalpia di combustione: metodi di calcolo, legge di Hess

Metodi di calcolo dell’entalpia di e

L’entalpia standard di combustione rappresenta il sviluppato in condizioni standard di pressione e temperatura durante la combustione di una mole di sostanza in presenza di ossigeno. Prendiamo ad esempio la reazione di combustione del metanolo:

2 CH3OH + 3 O2 → 2 CO2 + 4 H2O

Per calcolare l’entalpia di combustione di questa reazione, è possibile utilizzare diversi metodi. Un approccio comune è quello di assicurarsi che il coefficiente stechiometrico del combustibile sia pari a uno, al fine di semplificare i calcoli. Dividendo per due i coefficienti della reazione, otteniamo:

CH3OH + 3/2 O2 → CO2 + 2 H2O

I dati forniti di solito riguardano l’entalpia standard di formazione di CH3OH, CO2 e H2O. Poiché gli elementi nello stato standard hanno un valore di pari a zero, l’entalpia di formazione dell’ossigeno non è fornita. I valori tabulati per il metanolo, il biossido di carbonio e l’acqua sono rispettivamente: -239 kJ/mol, -393 kJ/mol e -286 kJ/mol.

Un metodo comune per calcolare l’entalpia di combustione è utilizzare la legge di Hess. Si parte dal presupposto che se l’entalpia di formazione del metanolo relativa alla reazione C + 2 H2 + ½ O2 → CH3OH è pari a -239 kJ/mol, allora l’entalpia della reazione CH3OH → C + 2 H2 + ½ O2 è di +239 kJ/mol. Utilizzando la legge di Hess, possiamo considerare la reazione come:

C + 2 H2 + ½ O2 + O2 → CO2 + 2 H2O

Dai dati a nostra disposizione, possiamo calcolare l’entalpia dei reagenti e dei prodotti e determinare che l’entalpia standard di combustione è di -726 kJ/mol.

Un altro metodo è calcolare l’entalpia di combustione dalla legge di Hess. Scrivendo le reazioni relative e sommandole si ottiene un risultato simile al metodo precedente, confermando il valore di -726 kJ/mol.

In alternativa, se sono note le entalpie di formazione, è possibile utilizzare l’espressione ΔH = Σ Hf(prodotti) – Σ Hf(reagenti), tenendo conto dei , per ottenere lo stesso risultato di -726 kJ/mol.

Infine, un ulteriore metodo prevede l’uso delle entalpie di legame per valutare i legami che si rompono nei reagenti e quelli che si formano nei prodotti, portando anche in questo caso al valore di -726 kJ/mol, sebbene le considerazioni termodinamiche siano leggermente diverse.

In conclusione, esistono diversi metodi per calcolare l’entalpia di combustione, tutti con l’obiettivo di determinare il valore di questa grandezza termodinamica fondamentale per le reazioni di combustione.

Resa percentuale in una reazione. Esercizi svolti e commentati

Calcolo della in una reazione: esempi pratici

La resa percentuale di una reazione è un indicatore fondamentale per valutarne l’efficienza industriale. Si può ottenere conoscendo le quantità dei reagenti e dei prodotti, e viene calcolata come rapporto tra la e la moltiplicato per 100. Questo valore adimensionale permette di valutare l’efficienza di una reazione e decidere se è vantaggioso proseguire con essa.

Esercizio

Si vuole calcolare la resa percentuale della reazione CaCO3(s) → CaO(s) + CO2(g) sapendo che da 60.0 g di CaCO3 si ottengono 15.0 g di CO2. Per prima cosa convertiamo i grammi in moli per il CaCO3: 60.0 g/100.0869 g/mol = 0.599 mol. Il rapporto stechiometrico tra CaCO3 e CO2 è 1:1, quindi le moli teoriche di CO2 sono 0.599. La massa teorica di CO2 è quindi 0.599 mol * 44.01 g/mol = 26.4 g. La resa percentuale della reazione è quindi 15.0 * 100/26.4 = 56.8%.

Esercizio 2

Dato che si ottengono 417 g di prodotto e la resa è del 94.1%, si può calcolare la resa teorica come 417 * 100/94.1 = 443 g, che rappresenta la massa di prodotto ottenibile con una resa del 100%.

Esercizio 3

Per ottenere 1.50 × 10^5 kg di HCN con una resa del 97.5%, si calcolano le moli di HCN. Il rapporto tra metano e cianuro di idrogeno è 1:1, pertanto le moli teoriche di CH4 necessarie sono 5.55 × 10^6. La massa di CH4 necessaria, tenendo conto della resa percentuale, è quindi 9.13 × 10^4 kg.

Esercizio 4

Facendo reagire 50.0 g di AgNO3 con 50.0 g di HCl si ottengono 39.6 g di AgCl. Le moli teoriche di AgCl sono 0.295, pertanto la resa percentuale è 39.6 * 100/42.3 = 93%.

Questi esercizi forniscono una panoramica pratica e dettagliata su come calcolare la resa percentuale in una reazione, evidenziando l’importanza di questo parametro in ambito industriale.

Titolazione mercurimetrica: determinazione dei cloruri

Titolazione mercurimetrica per la determinazione dei

La titolazione mercurimetrica è un metodo complessometrico utilizzato per determinare i cloruri e altri ioni metallici. Le titolazioni complessometriche sono impiegate nell’ambito dell’analisi quantitativa per la determinazione di ioni metallici come Ca2+, Mg2+, Zn2+ e Cu2+ e talvolta anche di anioni come fosfati, solfati, e cromati.

Questo approccio trova applicazione nell’analisi di medicinali contenenti questi ioni. Il complesso più comunemente usato è l’, che forma complessi con numerosi ioni metallici in un rapporto :1. È significativo sottolineare l’importanza della titolazione mercurimetrica nella determinazione dei cloruri.

Condizioni essenziali per la titolazione complessometrica

Al fine di condurre con successo una titolazione complessometrica, è fondamentale che la reazione tra il titolante e l’analita sia stoechiometrica e quantitativa. Inoltre, la costante di formazione del complesso deve essere superiore a 108, la formazione del complesso deve avvenire rapidamente e non devono esserci reazioni competitive sotto le condizioni della titolazione.

I legami nelle sostanze di coordinazione possono essere sia covalenti, con il metallo e il legante che contribuiscono con un elettrone ciascuno, sia di tipo dativo, in cui entrambi gli elettroni sono forniti dal legante.

Titolazione mercurimetrica per la determinazione dei cloruri

La determinazione dei cloruri avviene in un intervallo di compreso tra 2.3 e 2.8, utilizzando una soluzione di nitrato di mercurio (II) Hg(NO3)2, in presenza dell’indicatore misto difenilcarbazone-blu di bromofenolo. La fine della titolazione è evidenziata dall’apparizione di una colorazione porpora, dovuta alla formazione del complesso derivante dall’eccesso di ioni mercurio (II) con il difenilcarbazone.

La determinazione dei cloruri e degli alogenuri in generale si basa sulla reazione con il nitrato di mercurio (II). Inoltre, sono descritte le reazioni e i precipitati formati dopo il punto di equivalenza per la determinazione degli ioni cloruro, ioduro e tiocianato.

In conclusione, la titolazione mercurimetrica si rivela un metodo analitico efficace per determinare i cloruri e altri ioni metallici, fornendo informazioni preziose nell’ambito dell’analisi chimica quantitativa.

Disolfuri: sintesi, cisteina

Sintesi e Ruolo dei Disolfuri nei Sistemi Biologici

I disolfuri, contenenti il gruppo funzionale –S-S- con il numero di ossidazione del solfuro pari a –, sono presenti in composti organici e inorganici. Mentre esistono disolfuri inorganici come il dicloruro di dizolfo S2Cl2, la maggior parte si trova nei composti organici sotto forma di R-S-S-R, noto anche come ponte disolfuro.

Ottenere disolfuri dall’ossidazione dei tioli RSH è una reazione favorita, in cui l’ossidante può essere costituito anche dall’ossigeno presente nell’aria.

Un esempio notevole è rappresentato dalla , in cui il gruppo –SH può reagire con un altro gruppo –SH per formare un ponte disolfuro. L’interconversione tiolo-disolfuro è una reazione di ossidoriduzione, in cui il tiolo costituisce lo stato ridotto e il disolfuro quello ossidato.

Nella maggior parte delle , l’agente che media la formazione e la degradazione dei ponti disolfuro è il tripeptide glutatione, un coenzima versatile costituito da cisteina e legate tramite e il glutammato legato alla cisteina con un legame peptidico atipico.

I ponti disolfuro si trovano solo nelle proteine situate al di fuori della cellula. All’interno della cellula, le molecole di cisteina si trovano nel loro stato ridotto per via della presenza dell’enzima glutatione reduttasi, una flavoproteina dimerica.

I disolfuri giocano un ruolo cruciale nelle reazioni ossidative nel metabolismo centrale, come ad esempio nella trasformazione del piruvato ad acetilcoenzima A operata dalla piruvato deidrogenasi.

Inoltre, due molecole di glutatione possono dimerizzare per formare il GSSG in cui è presente un ponte disolfuro. I disolfuri possono influenzare diversi aspetti del metabolismo cellulare e la presenza di ponti disolfuro ha implicazioni significative per la struttura e la funzione delle proteine.

Enammine: formazione, tautomeria

Enammine: struttura e tautomeria

Le enammine si formano dalla di un’aldeide o di un chetone aventi un idrogeno sul carbonio in α al carbonile con un’ammina secondaria. Queste molecole presentano una struttura con alchilici o arilici e sono in equilibrio tautomerico con le corrispondenti immine.

Le enammine sono in equilibrio tautomerico con le corrispondenti immine, analogamente a quanto avviene nella tautomeria cheto-enolica. Questa reazione è catalizzata dagli acidi e avviene con la perdita di una molecola di acqua. Le ammine secondarie comunemente utilizzate sono la pirrolidina, la piperidina e la morfolina. Tale reazione è reversibile e le enammine possono essere trasformate nel precursore, ovvero nell’aldeide o nel chetone, per idrolisi catalizzata dagli acidi.

Il meccanismo di formazione delle enammine

La condensazione di un’aldeide o di un chetone con un’ammina secondaria avviene in più stadi. Nel primo stadio avviene la protonazione dell’ossigeno legato al gruppo carbonilico, con conseguente attivazione dello stesso in quanto diviene più suscettibile all’attacco di un nucleofilo. Nel secondo stadio, avviene l’attacco dell’azoto al carbonio carbonilico con rottura del del doppio legame carbonio-ossigeno. Nel terzo stadio avviene la rimozione dell’idrogeno legato all’azoto, che quindi diventa neutro con la formazione di una carbinolammina. Durante il quarto stadio avviene la protonazione dell’ossigeno. Infine, nel quinto stadio, è interessato un idrogeno che si trova sul carbonio adiacente al carbonio legato ad –OH e a –NR2, con la formazione di un doppio legame C=N e fuoriuscita di una molecola di acqua.

Reazioni delle enammine

Le enammine agiscono da nucleofili come gli enolati e possono essere utilizzate al loro posto in molte reazioni. Ad esempio, la sintesi di un composto ,5-dicarbonilico avviene tramite la reazione di Stork, in cui si sintetizza l’enammina che reagisce con un’aldeide o chetone α,β-insaturo; l’idrolisi di quest’ultimo composto dà un composto 1,5-dicarbonilico. Inoltre, le enammine reagiscono con gli alogenuri alchilici primari e, a volte secondari, secondo un : il carbonio in β conduce un attacco nucleofilo all’alogenuro alchilico per dare un sale di imminio α-alchilato che può essere successivamente nel suo corrispondente gruppo carbonilico attraverso una reazione di idrolisi catalizzata da un acido. La reazione di alchilazione è reversibile e quindi il prodotto può essere convertito nuovamente in enammina per reazione con un’ammina secondaria in ambiente acido.

Punto isoelettrico: zwitterione, esempi

Il punto isoelettrico negli amminoacidi e nei suoi esempi

Il punto isoelettrico, definito come il in cui l’amminoacido esiste solo nella forma zwitterionica, è di fondamentale importanza. Gli amminoacidi sono composti organici anfoteri, contenendo almeno un gruppo carbossilico acido e almeno un basico. La struttura degli amminoacidi solidi è simile a quella di uno ione dipolare (zwitterione): +H3N-R-COO-, con carica netta zero che non dà migrazione elettroforetica.

La carica netta in una molecola anfolitica, come quella di un amminoacido, è influenzata dal pH. Per un amminoacido che presenta solo un gruppo carbossilico e solo un gruppo amminico, il punto isoelettronico è determinato considerando la tendenza del gruppo amminico protonato a deprotonarsi e il gruppo carbossilico deprotonato ad acquistarne uno.

Ad esempio, per la con pKa1 e pKa2 pari a 2.34 e 9.6, il punto isoelettrico è dato da 2.34 + 9.6/2= 5.97. Nel caso in cui la catena R presenti un ulteriore gruppo acido ionizzabile, come nel caso dell’acido aspartico, vi è una terza costante di dissociazione pKa3.

I valori delle pKa sono rispettivamente pKa1 = .88 relativa al gruppo carbossilico legato al carbonio in α, pKa2 = 9.60 relativa al gruppo amminico e pKa3 = 3.65 relativa al gruppo carbossilico legato alla catena laterale. Il punto isoelettrico dell’acido aspartico è dato dalla semisomma di pKa2 e pKa3, ovvero è dato da 1.88 + 3.65/2= 2.77.

Nel caso in cui la catena R presenti un ulteriore gruppo basico ionizzabile, come nel caso dell’ che presenta i seguenti valori di pKa: pKa1 = 1.77, pKa2 = 6.10 e pKa3 = 9.18, il punto isoelettrico è dato dalla semisomma tra i valori di pKa2 e pKa3, ovvero è dato da: 6.10 + 9.18 /2 = 7.64.

Amminoacidi e pH: equilibrio, esempi

Amminoacidi e : equilibrio, esempi

Gli amminoacidi sono molecole che contengono sia un gruppo carbossilico –COOH che un –NH2, conferendogli proprietà anfotere. La loro struttura e comportamento dipendono dal pH.

Equilibrio

Quando si considera l’equilibrio di dissociazione di un HA, si osserva che è regolato dalla costante di equilibrio Ka, che rappresenta la forza dell’acido. L’equazione di Henderson-Hasselbalch, pH = pKa + log[A-]/[HA], fornisce informazioni dettagliate sul comportamento dell’acido in relazione al pH della soluzione.

Se il pH diminuisce, rendendo la soluzione più acida, si ottiene un equilibrio a favore della forma protonata HA. Al contrario, se il pH aumenta, rendendo la soluzione più basica, prevale la forma deprotonata A-. Gli amminoacidi, rispetto ai valori del pH, possono presentare diversi equilibri e forme ionizzate.

Ad esempio, l’istidina è un α-amminoacido che presenta tre acidi con differenti valori di pKa, determinando quattro diverse forme a seconda del pH. A pH bassi, l’istidina è presente in forma protonata con carica netta +2, mentre a pH più elevati diventa deprotonata con carica netta -1.

In generale, a pH neutro, gli amminoacidi hanno una carica positiva, comportandosi come cationi. A pH più elevati, assumono una carica negativa, agendo come anioni. Ci sono anche valori di pH specifici per ciascun amminoacido, noti come pH del punto isoelettrico, in cui hanno una carica netta di zero e non si comportano né da cationi né da anioni.

Separazione

La miscela di amminoacidi può essere separata utilizzando la tecnica elettroforetica, in cui i diversi amminoacidi migrano in direzione opposta sotto l’influenza di un campo elettrico, a seconda della loro carica netta. Questa tecnica offre un metodo efficace per separare i diversi amminoacidi presenti in una miscela.

In generale, la comprensione del comportamento degli amminoacidi in relazione al pH è cruciale per comprendere la loro acidità, basicità e proprietà di carica. Queste informazioni sono fondamentali in diversi campi, come la biochimica, la biologia molecolare e la chimica farmaceutica. Comprendere il ruolo del pH nell’equilibrio degli amminoacidi è fondamentale per una vasta gamma di applicazioni scientifiche e biologiche.

Equivalenti e peso equivalente in un acido e in una base

Il concetto di equivalenti e peso equivalente in una reazione acido-base

Per calcolare la di una soluzione, è fondamentale conoscere il numero di equivalenti in base al rapporto tra massa e peso equivalente. Quando si tratta di una reazione di neutralizzazione acido-base, l’acido rilascia ioni H+ mentre la base rilascia ioni OH-.

Indipendentemente dalla reazione acido-base considerata, è importante osservare che l’equazione netta ionica di una reazione di neutralizzazione è data da H+ + OH- → H2O. Ad esempio, se una mole di HCl (36.46 g) rilascia una mole di H+ e reagisce con una mole di NaOH (39.997 g), si verifica una reazione di neutralizzazione poiché il rapporto stechiometrico tra HCl e NaOH è di :1.

In generale, è necessario conoscere la quantità di acido che dona una mole di protoni e quanta base è necessaria per reagire. Tale ragionamento forma la base per definire l’equivalente, in quanto in ogni reazione gli equivalenti reagiscono uno con l’altro in rapporto di 1:1.

Un equivalente di acido rappresenta la quantità di acido in grado di fornire una mole di protoni, mentre un equivalente di base è la quantità di base in grado di fornire una mole di ioni idrossido. Considerando acidi come HCl e H2SO4, si osserva che una mole di HCl è equivalente a un equivalente di HCl, mentre una mole di acido solforico è uguale a due equivalenti di ioni H+.

Per quanto riguarda le , ad esempio NaOH e Ba(OH)2, si nota che un equivalente di NaOH coincide con una mole, mentre un equivalente di Ba(OH)2 corrisponde a due moli di OH-. Il numero di equivalenti di una base in una mole è equivalente al numero di ioni OH- presenti nella formula.

Quando si lavora con gli equivalenti, è utile conoscere la massa di un equivalente di ogni reagente. Il peso in grammi di un equivalente è definito peso equivalente e corrisponde al rapporto tra il peso molecolare e il numero di equivalenti.

Ad esempio, se si vuole calcolare il peso equivalente di Al(OH)3, assumendo che sia completamente neutralizzato, il numero di equivalenti è uguale a 3 e il suo peso equivalente è calcolato come 78.0 / 3 = 26.

Il peso equivalente di un acido coinvolto in una reazione acido-base è dato dal rapporto tra il suo peso molecolare e il numero di ioni H+ che partecipano alla reazione. Per gli acidi monoprotici, come HCl e HNO3, il peso equivalente coincide con il peso molecolare.

Nel caso di un acido diprotico come H2S, il peso equivalente nella reazione varia. Ad esempio, nel caso di H2S + 2 OH- ⇄ S2- + 2 H2O, il peso equivalente è dato da 34.082/2 = 17.041, ovvero è la metà del suo peso molecolare, poiché una mole di H2S reagisce con 2 equivalenti di OH-. Nella reazione H2S + OH- ⇄ HS- + H2O, il peso equivalente coincide con il peso molecolare, poiché una mole di H2S reagisce con un equivalente di OH-.

Arsenico: proprietà, preparazione, composti

Arsenico: caratteristiche, ottenimento e composti

L’arsenico è un elemento chimico con numero atomico 33, appartenente al gruppo 15 della tavola periodica insieme all’azoto e al fosforo, con una massa atomica di 74.9216 u e densità di 5.7 g/cm^3.

Proprietà dell’arsenico

L’arsenico si presenta in tre forme allotropiche: giallo, grigio stabile e nero. Si trova in natura principalmente come solfuro, presente nell’arsenopirite FeAsS e in altri minerali come il realgar rosso arancio As4S4 e l’orpimento giallo As2S3.

Metodi di ottenimento

L’arsenico può essere ottenuto per dell’arsenopirite o per riduzione dell’ossido As4O6 ottenuto per arrostimento dei .

Composti dell’arsenico (III)

L’arsenico nello stato di ossidazione III dà luogo all’idruro e agli arseniuri. L’ AsH3 è un gas simile alla ma più instabile, mentre gli arseniuri si formano con molti metalli. L’arsenico forma anche due ossidi: il triossido e il pentossido.

Composti dell’arsenico (V)

Il pentossido di arsenico, ottenuto per disidratazione di acido arsenico H3AsO4, perde ossigeno per riscaldamento per dare il più stabile triossido. Oltre alla forma orto esistono anche forme dell’acido arsenico come, ad esempio, (HAsO3)n. L’arsenico forma numerosi solfuri, tra cui As2S3, As4S4, As4S3 e As2S3, che sono solubili in alcali e in solfuri alcalini.

Inoltre, sono noti tutti i trialogenuri di arsenico AsX3, chimicamente simili a quelli del fosforo, ottenuti per sintesi diretta o trattando il triossido con un acido HX.

L’arsenico è un elemento dalle molte sfaccettature, con molteplici composti e proprietà che lo rendono un elemento di interesse nell’ambito della chimica e della scienza in generale.

Potere tamponante: bilancio di carica

Il Potere tamponante e il Bilancio di carica nelle

Le soluzioni tampone sono costituite da un e dalla sua o da una base debole e il suo acido coniugato. Queste soluzioni sono caratterizzate dal fatto che il rimane praticamente invariato anche dopo l’aggiunta di piccole quantità di acido o base forte.

Esistono varie definizioni del potere tamponante, ma in generale può essere definito come la massima quantità di acido o base forte che può essere aggiunta alla soluzione tampone prima che si verifichi una significativa variazione di pH. Tuttavia, questa definizione generica dipende dal contesto in cui si lavora, poiché in alcuni casi anche una variazione di 0. unità di pH può essere significativa, specialmente nei sistemi biologici.

Un’altra definizione pratica del potere tamponante è la quantità di acido o base forte che deve essere aggiunta a un litro di soluzione affinché si verifichi la variazione di un’unità di pH. Tuttavia, questa definizione fornisce valori diversi di potere tamponante a seconda che si aggiunga un acido o una base, a meno che la soluzione non sia equimolecolare e il suo pH sia uguale al pKa.

Il bilancio di carica della soluzione è espresso dalla relazione [A-] + [OH-] = [B+] + [H+], dove [B+] rappresenta la concentrazione della base forte presente in soluzione.

La concentrazione totale della soluzione tampone (Cbuff) è data da Cbuff = [HA] + [A-]. Mentre l’espressione della costante acida (Ka) è Ka = [H+][A-] / [HA].

Il potere tamponante è definito dall’equazione β = dn / dpH, dove n è il numero di equivalenti di base forte aggiunti. Questa equazione esprime il potere tamponante in relazione alla variazione di pH.

La capacità tamponante mostra un picco al valore di pH corrispondente a 4.74, che è il valore del pKa dell’acido acetico, evidenziando che una soluzione tampone esplica il suo potere tamponante quando la concentrazione dell’acido e della sua base coniugata sono simili.

In conclusione, il potere tamponante è un concetto fondamentale nelle soluzioni tampone e la sua comprensione è essenziale per comprendere il comportamento di tali soluzioni in diverse situazioni chimiche e biologiche.

Cromatografia su carta ascendente e discendente

La cromatografia su carta: scopri come funziona

La cromatografia su carta è una tecnica di separazione utilizzata in chimica analitica. A partire dagli anni ’40, è stata impiegata per separare gli amminoacidi utilizzando la carta come supporto per la fase stazionaria durante la cromatografia di ripartizione. In questo metodo, il solvente impiegato è l’-butanolo, poiché i coefficienti di ripartizione tra questo solvente e l’acqua variano gradualmente in base alla composizione degli amminoacidi.

Il processo di cromatografia su carta prevede l’immersione di un’estremità di un foglio di carta da filtro in un solvente organico precedentemente satura d’acqua. Successivamente, una soluzione contenente le sostanze da separare viene depositata sulla carta poco al di sopra della zona bagnata dal solvente. Successivamente, il foglio e il solvente vengono posti in una campana di vetro per evitare l’evaporazione del solvente, consentendo al liquido di risalire lungo il foglio per capillarità.

Durante questo processo, le diverse sostanze si muovono con una velocità determinata dal loro tra la fase mobile (costituita dal solvente organico) e la fase fissa (costituita dall’acqua). Una volta che il fronte del solvente raggiunge l’estremità superiore del foglio, l’operazione viene interrotta. Successivamente, la carta viene essiccata e le varie sostanze vengono rivelate utilizzando specifici reattivi, il che permette di visualizzare i cromatogrammi come una serie di macchie colorate.

Esistono diverse tecniche di cromatografia su carta, e tra queste troviamo la e discendente, nonché la .

La cromatografia monodimensionale ascendente si basa su una separazione verticale, in cui il solvente si muove unicamente per capillarità. In questa tecnica, la carta da cromatografare viene fatta scendere in un recipiente contenente il solvente, permettendo al liquido di trascinare con sé le sostanze da separare.

D’altra parte, la richiede l’utilizzo di specifiche camere cromatografiche a tenuta per mantenere l’ambiente satura di vapori del solvente, durante la procedura di eluizione. Qui, l’eluente si muove verso il basso per gravità, consentendo tempi di eluizione più brevi.

La cromatografia bidimensionale rappresenta una tecnica più avanzata, impiegata quando un solo solvente non è in grado di separare completamente tutti i componenti di una miscela di sostanze. In questa tecnica, la miscela da separare viene posta su un angolo di un foglio di carta, che è sospeso in una camera cromatografica simile a quella utilizzata nel metodo discendente. Dopo l’asciugatura del foglio, viene utilizzato un secondo solvente che si muove in direzione perpendicolare al primo, consentendo l’identificazione simultanea di numerosi amminoacidi.

In definitiva, la cromatografia su carta è una tecnica versatile e preziosa per la separazione e l’analisi di varie sostanze, offrendo diverse metodologie che consentono di adattare il processo alle specifiche esigenze di separazione.

Efflorescenza: sali idrati, rimedi

: cause e rimedi contro l’efflorescenza

L’efflorescenza è un fenomeno che si verifica quando i sali idrati perdono le molecole d’acqua di a causa della differenza di tra il composto idrato e l’ambiente circostante. Questo fenomeno è comune nei sali che contengono molecole di acqua combinate in un rapporto definito all’interno del del composto.

Ad esempio, il solfato di calcio contiene due molecole di acqua nella sua struttura, e la sua formula è CaSO4 · 2 H2O. Allo stesso modo, il solfato di rame (II) può esistere in forme diverse a seconda del grado di idratazione, con la forma anidra di colore bianco grigiastro e la forma pentaidrata di colore blu brillante.

L’efflorescenza si verifica quando la tensione di vapore dell’acqua presente nel sale idrato è maggiore rispetto alla pressione parziale del vapore acqueo nell’aria, in condizioni di bassa umidità. Questo fenomeno è comune nel campo dell’edilizia e può causare danni alle superfici in muratura, stucco o .

La formazione di depositi salini è dovuta ai sali solubili che migrano in superficie quando l’acqua di cristallizzazione evapora. Questi depositi possono compromettere la resistenza del materiale e favorire la penetrazione di acqua e sali solubili all’interno della struttura. Inoltre, l’evaporazione dell’acqua può causare la formazione di depositi di sale sotto la superficie, noti come sub-efflorescenza, che possono danneggiare il materiale.

Per eliminare l’efflorescenza è necessario rimuovere il materiale incoerente con spatole e scalpelli, seguito da una pulitura a secco con spazzole di saggina e una pulitura a umido mediante bagnatura con acqua distillata e successivo sfregamento con spazzole. Infine, è consigliabile applicare un impregnante-consolidante e un prodotto idrorepellente per prevenire la ricomparsa dell’efflorescenza.

In conclusione, l’efflorescenza è un problema comune legato alla perdita delle molecole d’acqua di cristallizzazione nei sali idrati, ma può essere gestito efficacemente attraverso interventi di pulitura e protezione delle superfici interessate.

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