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Esercizi svolti sulle tecniche volumetriche

Esercizi risolti sulle tecniche volumetriche: livello difficile

Nel seguente articolo, verranno mostrati esercizi svolti riguardanti le tecniche volumetriche di livello difficile. Per ogni esercizio, sarà data non solo la risposta corretta, ma anche una spiegazione dettagliata del procedimento seguito.

# Esercizio 1

1) A 40.0 mL di una soluzione 0.100 M di è aggiunta una soluzione di NaOH 0.150 M. Sapendo che la costante acida dell’acido acetico è pari a 1.80 ∙ 10^-5.

a) Calcolare il volume di NaOH necessario per raggiungere il punto equivalente.

b) Calcolare la concentrazione molare dell’acido al punto equivalente.

c) Calcolare il pH della soluzione al punto equivalente.

Risoluzione:

a) Le moli di acido acetico presenti nella soluzione sono pari a 0.00400 L ∙ 0.100 M = 0.00400. Per raggiungere il punto equivalente sono necessarie altrettante moli di NaOH. Il volume di NaOH viene quindi calcolato dalla formula V = moli/ molarità ovvero V = 0.00400/ 0.150 = 0.0267 L, corrispondenti a 26.7 mL.

b) Al punto equivalente tutto l’acido si è trasformato nella sua base coniugata, ovvero nello ione acetato. La concentrazione dello ione acetato vale quindi [CH3COO^-] = 0.00400/ 0.0667 = 0.0600 M.

c) Avendo calcolato la concentrazione dello ione OH^-, è possibile calcolare il pOH che è pari a pOH = – log 5.77 ∙ 10^-6 = 5.24, da cui pH = 14 – pOH = 14 – 5.24 = 8.76.

# Esercizio 2

Un acido debole monoprotico HA di massa 0.682 g viene sciolto in acqua ottenendo 50.0 mL di soluzione. Tale soluzione è titolata con una soluzione di NaOH 0.135 M. Dopo l’aggiunta di 10.6 mL di base, il pH della soluzione è di 5.65. Il punto equivalente viene raggiunto dopo l’aggiunta di 27.4 mL di base.

a) Calcolare il numero di moli dell’acido HA.

b) Calcolare il peso molecolare di HA.

c) Calcolare il numero di moli di HA a pH 5.65.

d) Calcolare la concentrazione di [H^+] a pH 5.65.

e) Determinare il valore della costante K_a.

Risoluzione:

a) Poiché il punto equivalente viene raggiunto dopo l’aggiunta di 27.4 mL di NaOH 0.135 M, si ha che le moli di base sono pari a 0.0274 L ∙ 0.135 M = 0.00370 e pertanto anche le moli di HA presenti nel campione di partenza sono 0.00370.

b) Il peso molecolare di HA è dato dal rapporto tra la sua massa e il numero di moli, ottenendo 184.4 g/mol.

c) Il numero di moli di NaOH aggiunte per ottenere il valore del pH pari a 5.65 è ottenuto ricordando che la concentrazione di NaOH è 0.135 M e che il volume di NaOH necessario per ottenere tale pH è di 10.6 mL. Pertanto le moli di NaOH sono pari a 0.0106 L ∙ 0.135 M = 0.00143. Considarando che NaOH ha reagito con HA, si ha che le moli in eccesso di HA sono pari a 0.00370 – 0.00143 = 0.00227.

d) A pH = 5.65 si ha: [H^+] = 10^-5.65 = 2.24 ∙ 10^-6 M.

e) Per ottenere il valore di K_a si devono conoscere le concentrazioni delle specie all’equilibrio. La concentrazione di A^- è quindi 0.00143/V, mentre la concentrazione di HA è pari a 0.00227/V.

# Esercizio 3

Per determinare il peso molecolare dell’acido debole monoprotico HX, sono sciolti in acqua 15.126 g di tale acido e il volume portato a 250.00 mL. Un’aliquota di 50.00 mL di tale soluzione è titolata con 38.21 mL di NaOH. La soluzione di NaOH è standardizzata con biidrato (PM 126.066 g/mol). Il volume di NaOH usato per standardizzare 1.2596 g di acido ossalico biidrato è di 41.24 mL.

a) Calcolare la molarità di NaOH.

b) Calcolare il numero di moli di HX presenti in 50.00 mL di soluzione.

c) Calcolare il peso molecolare di HX.

Risoluzione:

a) La concentrazione della soluzione di NaOH è 0.4846 M.

b) Le moli di NaOH presenti in 38.21 mL di soluzione sono 0.01852; le quali sono pari al numero di moli di HX in 50.00 mL.

c) Il numero di moli di HX presenti in 250.00 mL di soluzione sono pari a 0.09260, da cui il peso molecolare di HX è pari a 163.3 g/mol.

Espansione adiabatica di un gas reale

L’espansione adiabatica dei gas reali e il coefficiente di Joule-Thomson: un’analisi dettagliata

L’equazione dell’espansione adiabatica di un gas ideale p1V1γ = p2V2γ non è applicabile ai gas reali. Joule e Thomson hanno condotto un esperimento per valutare le proprietà dei gas reali in seguito a un’espansione. Durante questo esperimento, un campione di gas a pressione p1 e temperatura T1, contenuto in un volume V1, viene fatto passare attraverso un setto poroso a pressione costante.

Durante l’espansione, il gas raggiunge una pressione p2, un volume V2 e una temperatura T2>; trattandosi di un processo adiabatico, q = 0. Il lavoro fornito al gas sul lato sinistro del setto poroso è pari a p1V1, mentre il lavoro svolto dal gas sul lato destro del setto poroso è – p2V2. Di conseguenza, il lavoro netto è dato da: W =  p1V1 – p2V2.

Durante questo processo, contrariamente all’espansione di Joule, l’ non rimane costante. Tuttavia, l’ definita come ΔH = ΔU + Δ(pV), rimane invariata. Il rapporto tra la variazione di temperatura e di pressione, ΔT/Δp ∼ (δT/δp)H = μJT, definito come coefficiente di Joule-Thomson, dipende dal gas in esame, dalla temperatura e dalla pressione del gas prima dell’espansione.

Il valore di μJT è diverso da zero per i gas reali e vale zero per i gas ideali. Infatti, (δT/δp)H = – (δH/δp)T/ (δH/δT)p =  – (δH/δp)T/ Cp. Essendo Cp il a pressione costante, il numeratore della frazione è pari a zero per un gas ideale, ma non necessariamente per un gas reale.

Il valore di μJT dipende dal gas preso in esame, così come dalla temperatura e dalla pressione del gas prima dell’espansione. Per tutti i gas reali, questo valore è uguale a 0 nel punto chiamato punto di inversione e la temperatura di inversione Joule-Thomson (Kelvin) è la temperatura alla quale il coefficiente cambia di segno.

Una espansione adiabatica reversibile, in cui il gas compie un lavoro positivo, causa una diminuzione di temperatura. Il valore di tale coefficiente è una funzione decrescente della temperatura e passa attraverso lo zero alla temperatura di inversione. In una espansione in cui dp < 0, dT può essere sia positivo che negativo a seconda del segno di μJT. Se μJT è positivo, dT è negativo durante l’espansione e il gas si raffredda. Viceversa, se μJT è negativo, dT è positivo e il gas si riscalda durante l’espansione.

Determinazione della struttura di molecole organiche

Determinazione della struttura di molecole organiche

La determinazione della struttura di molecole organiche può presentare sfide quando si desidera caratterizzare un composto sintetizzato in laboratorio o analizzare una sostanza isolata di struttura incognita.

La prima fase per risolvere problemi legati alla determinazione della struttura è la determinazione della formula molecolare, che fornisce informazioni sulle dimensioni della molecola e sulle funzioni presenti attraverso il numero e la natura degli eteroatomi.

Grado di insaturazione

La formula molecolare fornisce anche l’indice di difetto di idrogeno della sostanza di struttura incognita, noto anche come grado di insaturazione o numero di siti di insaturazione. La saturazione di una molecola dipende dalla presenza di legami semplici e dalla linearità della catena molecolare. Ad esempio, il propano è una molecola saturata, mentre il propene presenta un difetto di idrogeno e non è satura.

I composti contenenti eteroatomi

Per i composti che includono ossigeno, azoto, zolfo e alogeni, l’indice può essere calcolato applicando regole specifiche.

Metodo chimico

Il metodo chimico prevede di far reagire il composto incognito per dedurre o confermare le caratteristiche strutturali. Questo approccio si basa sulle caratteristiche dei presenti nelle molecole. Dopo aver identificato i gruppi funzionali, il composto è sottoposto a reazioni per ottenere molecole più piccole che possono essere confrontate con composti noti.

Metodi fisici

I metodi fisici, come la spettroscopia visibile/U.V., la spettroscopia I.R., la e la spettrometria di massa, offrono vantaggi come la non distruttività del campione e la minima quantità necessaria per l’analisi. La diffrazione dei è considerata il metodo più valido per la determinazione della struttura del composto.

Idrogenazione

L’ può essere utilizzata per determinare la struttura di un composto rompendo i doppi e tripli legami, ma lasciando intatti i doppi legami carbonio-ossigeno. Questa reazione fornisce informazioni sul numero dei siti di insaturazione della molecola.

Reazione con ozono

La reazione con l’ozono è un processo a due stadi che si applica ai composti insaturi, dando luogo alla formazione di prodotti instabili detti ozonuri.

Questi metodi chimici e fisici consentono di affrontare il problema della determinazione della struttura delle molecole organiche, permettendo di caratterizzare composti di struttura incognita sia di sintesi che isolati.Isomeri del C4H8 e la loro identificazione

Quando i composti organici reagiscono con un riducente, possono subire idrolisi dando origine a nuove molecole in cui si trovano due gruppi carbonilici al posto di un legame doppio presente nella molecola iniziale.

Assumendo ad esempio un composto con formula C4H8, i possibili isomeri includono 1-butene, 2-metilpropene, 2-butene (sia cis che trans), ciclobutano e metilciclopropano.

In presenza di un catalizzatore, se un composto reagisce con idrogeno, è possibile escludere gli isomeri che non contengono doppi legami, come ad esempio il ciclobutano e il metilciclopropano. I restanti isomeri possono essere differenziati tramite ozonolisi.

Se il composto è il 2-butene, la sua identificazione è semplice in quanto, essendo un composto simmetrico, produce solo acetaldeide come prodotto di reazione.

Se, invece, la ozonolisi produce due composti, è necessario verificare se il composto C3H6O è un’aldeide o un chetone. Ad esempio, l’ozonolisi dell’1-butene produce come prodotti di reazione propanale e metanale, mentre l’ozonolisi del 2-metilpropene produce come prodotto di reazione propanone e metanale.

In questo modo è possibile identificare e differenziare gli isomeri del C4H8 attraverso la loro reattività con riducenti e la reazione di ozonolisi.

Petrolio: generalità e origine

Generali sul Petrolio e la sua Origine

Il petrolio, sostanza composta principalmente da , rappresenta una fonte di energia non rinnovabile. La sua composizione rimane sostanzialmente simile a prescindere dal luogo di estrazione, tuttavia le concentrazioni variano.

La formazione del petrolio è il risultato di processi complessi che si sono susseguiti durante le varie ere geologiche, dall’era Precambriana al Pleistocene. La genesi del petrolio è stata oggetto di dibattito, ma l’ipotesi prevalente comprende la formazione dei costituenti del petrolio, la migrazione primaria, l’accumulo in un bacino e la maturazione.

Circa l’origine dei componenti del petrolio, sono state proposte due teorie: la teoria inorganica, basata sull’ipotesi della formazione di carburi metallici a elevate temperature e pressioni; e la teoria organica, oggi universalmente accettata, che cerca di correlare ogni componente del petrolio con la sua sostanza organica progenitrice.

Il materiale organico che ha dato origine al petrolio si è accumulato nel fondo dei mari, come dimostrato dal fatto che la maggior parte dei giacimenti petroliferi è associata a sedimenti di origine marina. Il plancton, essendo il materiale organico più presente nell’oceano, si ritiene sia rappresentativo della materia prima che ha originato il petrolio.

L’avanzamento della trasformazione in petrolio coinvolge complesse , tra cui il cracking termico, che avviene a temperature inferiori a 200°C. Queste reazioni devono aver avuto luogo molto lentamente, in modo che i composti solforati presenti si scompongano. Si pensa che alcuni minerali potrebbero agire da catalizzatori permettendo la reazione in tempi geologici.

La migrazione primaria comporta il trasferimento dei componenti del petrolio da rocce sedimentarie di bassa permeabilità, in cui sono presenti in tracce, verso zone porose e permeabili. Un progressivo sprofondamento delle rocce sedimentarie comporta un aumento di pressione sui sedimenti, determinando la formazione di deposito.

La maturazione del petrolio comprende una serie di reazioni che determinano la formazione di componenti più stabili termodinamicamente. I petroli di origine più antica sono, infatti, più ricchi di paraffine a basso peso molecolare rispetto a quelli di età più recente.

Proprietà fisiche di alcani e alcheni

Le Differenze Tra le Proprietà Fisiche Degli e

Gli alcani e gli alcheni presentano diverse proprietà fisiche, una delle principali è che i primi sono gassosi a pressione atmosferica e temperatura ambiente se hanno un basso peso molecolare, mentre gli alcheni con peso molecolare simile sono liquidi o solidi. Questo comportamento può essere spiegato considerando che in una molecola apolare, come un idrocarburo, la distribuzione simmetrica degli elettroni è statistica, e in un istante preciso la molecola può acquisire carattere polare. Questa polarizzazione istantanea genera forze di attrazione tra le molecole, chiamate forze di dispersione.

Con l’aumentare del numero di atomi di carbonio nelle molecole degli , aumentano le forze di dispersione e, di conseguenza, i punti di fusione e di ebollizione. Le proprietà fisiche degli alcani ramificati variano grazie alla differente geometria molecolare: presentano punti di ebollizione inferiori rispetto agli alcani lineari a causa della minore forza delle dispersioni dovuta alla maggiore distanza tra gli atomi della catena. L’area superficiale minore delle molecole ramificate comporta una minore forza di dispersione e quindi una temperatura di ebollizione inferiore rispetto alle molecole lineari.

L’aumento del peso molecolare conduce all’incremento della densità degli alcani fino a diventare pressoché costante per gli alcani con oltre 19 atomi di carbonio. Inoltre, le differenze di densità tra due composti adiacenti sono più ridotte negli idrocarburi ad alto peso molecolare rispetto a quelli con basso peso molecolare.

Proprietà Fisiche di Alcani e Alcheni

Di seguito sono riportate le temperature di fusione, di ebollizione e la densità di tre isomeri aventi formula C5H12:

| Composto | Temperatura di Fusione | Temperatura di Ebollizione | Densità (g/cm3) |
|————-|————————|—————————-|—————————–|
| n-pentano | -129.7 °C | 36.1 °C | 0.626 |
| isopentano | -159.9 °C | 27.9 °C | 0.620 |
| neopentano | -16.5 °C | 9.5 °C | 0.614 |

Gli isomeri degli alcheni non presentano variazioni significative nelle proprietà fisiche come gli alcani. Si riportano le proprietà di alcheni con formula C5H12:

| Composto | Temperatura di Fusione | Temperatura di Ebollizione | Densità (g/cm3) |
|—————|————————|—————————-|—————————–|
| 1-pentene | -138 °C | 30.0 °C | 0.641 |
| Cis-2-pentene | -151 °C | 36.9 °C | 0.656 |
| Trans-2-pentene| -136 °C | 36.3 °C | 0.648 |

Tutti e tre gli isomeri presentano temperature di ebollizione simili, ma l’isomero cis mostra una temperatura di fusione significativamente più bassa rispetto agli altri due, a causa della sua struttura incompatibile con l’impaccettamento in cristalli, tipico dell’isomero trans.

In conclusione, le proprietà fisiche degli alcani e degli alcheni variano in base al peso molecolare, alla geometria molecolare e alla presenza di ramificazioni molecolari.

Helicobacter pylori e urea breath test

Helicobacter pylori e l’importanza dell’ breath test

L’helicobacter pylori è un batterio a forma di spirale che si sviluppa nel piloro, la parte inferiore dello stomaco. Scoperto nel 1892 da Giulio Bizzozero, il batterio è stato inizialmente trascurato, ma nel 1983 è stato riconosciuto dai medici Robin Warren e Barry Marshall come causa di problematiche gastriche come la gastrite cronica, le ulcere gastriche e duodenali, nonché i tumori dello stomaco.

Le indagini diagnostiche per individuare la presenza di helicobacter pylori possono essere effettuate tramite diverse metodologie, tra cui l’esofagogastroduodenoscopia, la ricerca dell’antigene fecale dell’helicobacter pylori HpSA e i test sierologici. Negli ultimi anni, ha preso piede il test del respiro Urea Breath Test (UBT), che è non invasivo e affidabile.

Il funzionamento del test si basa sulla reazione di idrolisi dell’urea, grazie all’enzima ureasi presente nell’organismo. Se l’helicobacter pylori è presente, si forma anidride carbonica marcata, che viene rilasciata con il respiro. In caso contrario, l’urea viene metabolizzata e non si rileva anidride carbonica marcata. Il test è non invasivo, può essere eseguito su bambini e donne in gravidanza, ed è ripetibile per valutare l’efficacia della terapia nell’eradicare l’helicobacter pylori.

In conclusione, l’urea breath test è un metodo diagnostico fondamentale per individuare la presenza di helicobacter pylori, e il suo utilizzo è sempre più diffuso per la sua affidabilità e non invasività.

QSAR: relazione quantitativa struttura-attività

QSAR: la relazione tra struttura molecolare e attività biologica

La relazione quantitativa struttura-attività, comunemente nota come QSAR (dall’inglese Quantitative Structure-Activity Relationship), è un’importante applicazione analitica che permette di interpretare la relazione tra l’attività biologica di una molecola e le sue caratteristiche chimico-fisiche o strutturali. Quando una molecola attraversa una membrana cellulare, le sue proprietà specifiche influenzano il suo comportamento.

Le interazioni di un farmaco con le sue controparti biologiche sono determinate da una serie di fattori, tra cui forze intermolecolari, idrofobicità, polarità, interazioni elettrostatiche e steriche, che incidono sull’efficacia del composto.

Tale approccio, noto fin dall’800, dimostrò che la tossicità degli alcoli nei mammiferi diminuiva con la minore solubilità in acqua.

Il modello matematico di QSAR è costituito da una regressione statistica che relaziona varie variabili. Questo modello può essere sfruttato attraverso specifici programmi informatici per sviluppare nuovi farmaci.

Il lavoro di Crum-Brown e Fraser propose una correlazione tra attività fisiologiche e strutture chimiche, mentre Corwin Hansch, pioniere della ricerca farmaceutica, elaborò un’equazione che relaziona l’attività biologica a caratteristiche elettroniche e l’idrofobicità di una serie di strutture.

Il log P, che rappresenta una misura dell’idrofobicità di un farmaco, gioca un ruolo significativo in QSAR, in quanto misura la capacità di una molecola di passare attraverso una membrana.

Nell’applicazione della QSAR, sono necessari diversi passaggi, tra cui la compilazione di un descrittore molecolare per i composti di interesse e l’espressione dell’attività biologica come funzione di tali descrittori in un’equazione.

Un esempio di applicazione pratica della QSAR nel campo medico è rappresentato dalla somministrazione di per contrastare l’influenza, una delle principali cause di morte nel mondo. Gli antivirali possono agire in vari stadi della replicazione del virus, e l’analisi di tali farmaci attraverso il sistema QSAR aiuta i ricercatori a ottenere risultati prefissati.

In conclusione, la QSAR svolge un ruolo fondamentale nella ricerca farmaceutica e genera modelli che correlano le risposte biologiche alla struttura molecolare del farmaco, favorendo lo sviluppo di terapie più efficaci e mirate.

Poliaddizione e policondensazione a confronto

Differenze tra la Poliaddizione e la Policondensazione

I , ovvero le macromolecole con un alto peso molecolare, sono costituiti da unità ripetitive chiamate monomeri, e il numero di queste unità presenti in un polimero determina il grado di polimerizzazione. Nel 1929, Carothers ha distinto i polimeri in polimeri di addizione e di condensazione, a seconda che la reazione di polimerizzazione produca solo il polimero o anche una specie a basso peso molecolare.

La Policondensazione

Le di policondensazione richiedono monomeri con specifici come gruppi alcolici, amminici e carbossilici. Un monomero con due gruppi funzionali reagisce con un altro monomero funzionalizzato, dando origine a reazioni elementari che producono oligomeri con massa molecolare crescente. Questi oligomeri contengono ancora le funzionalità necessarie per continuare la reazione, a condizione che venga rispettato il rapporto stechiometrico tra i funzionali dei due reagenti. Nelle reazioni di condensazione, due molecole si uniscono attraverso l’eliminazione di una molecola di piccole dimensioni. Alcuni monomeri con più di due siti reattivi producono polimeri con ramificazioni tra le catene e aumento del peso molecolare.

La Poliaddizione

I polimeri di poliaddizione si ottengono quando i monomeri contengono il doppio legame caratteristico degli . Solitamente, vengono preparati a partire da derivati vinilici o monomeri olefinici. Queste reazioni di polimerizzazione possono avvenire attraverso meccanismi anionici, cationici, radicalici o mediante poliinserzione in un legame organo-metallico covalente. Durante la reazione, il doppio legame viene rotturato, rendendo i due atomi di carbonio disponibili a formare nuovi legami e aumentando la molecola. I polimeri di poliaddizione presentano catene lunghe, non polari e sature, con forti legami di van der Waals, alti punti di fusione ed ebollizione, e non sono solubili in acqua. Sono anche scarsamente reattivi e non biodegradabili.

Differenze tra i due tipi di polimerizzazione

Per ulteriori approfondimenti, di seguito sono riportate alcune differenze chiave tra i due tipi di polimerizzazione:

– I polimeri di policondensazione hanno un peso molecolare che non è un multiplo intero delle unità monomeriche di partenza, mentre i polimeri di poliaddizione presentano un peso molecolare che è un numero intero multiplo del monomero di partenza
– Generalmente, i polimeri di policondensazione richiedono più di una unità monomerica, mentre i polimeri di poliaddizione richiedono generalmente una sola unità monomerica
– Le unità monomeriche dei polimeri di policondensazione devono avere due gruppi funzionali, mentre le unità monomeriche dei polimeri di poliaddizione presentano uno o più siti di insaturazione

Conclusione

Sia la policondensazione che la poliaddizione sono importanti processi di polimerizzazione con caratteristiche e requisiti distinti. Queste differenze giocano un ruolo significativo nella creazione e nelle proprietà dei polimeri risultanti.

Equilibrio chimico: teoria ed esercizi

Teoria e Esercizi sull’Equilibrio Chimico

L’equilibrio chimico si verifica quando una reazione raggiunge uno stato in cui la velocità di formazione dei prodotti è uguale alla velocità di formazione dei reagenti. Questo equilibrio è evidente nel , ad esempio nella a partire da azoto e idrogeno. Durante questo equilibrio, coesistono sia l’ che gli altri reagenti.
I coefficienti stechiometrici sono utili nell’analisi delle concentrazioni all’equilibrio delle specie. Ad esempio, in una reazione di dell’ammoniaca, se inizialmente 1.00 mole di N2 e 3.00 mole di H2 vengono equilibrati in 0.080 mole di ammoniaca, è possibile calcolare le quantità delle altre specie coinvolte utilizzando un diagramma I.C.E. (Initial, Change, Equilibrium).

La costante di equilibrio è un parametro fisso ottenuto moltiplicando le concentrazioni dei prodotti e dividendo per il prodotto delle concentrazioni dei reagenti, elevando ognuna di esse alla potenza dei rispettivi coefficienti stechiometrici. Tale costante è costante a meno di variazioni di temperatura.

Allo stesso modo, la costante di equilibrio può essere calcolata per fornire informazioni sullo stato di equilibrio di una reazione a una certa temperatura. Per esempio, per la reazione N2 + 3 H2 ⇄ 2 NH3, le concentrazioni delle varie specie all’equilibrio devono essere determinate sperimentalmente e poi inserite nell’ di equilibrio per il calcolo.

Inoltre, gli equilibri eterogenei, che coinvolgono specie in diverse fasi (ad esempio solida o gassosa), richiedono un diverso approccio nella determinazione della costante di equilibrio, limitando la considerazione delle specie coinvolte solo nella fase gassosa.

Per esercitarsi nell’applicazione di questi concetti, consideriamo la reazione CO(g) + 3 H2(g) ⇄ CH4(g) + H2O(g), per la quale le concentrazioni all’equilibrio delle varie specie sono fornite. Sostituendo tali valori nell’espressione della costante di equilibrio, è possibile determinare la costante specifica per quella reazione.

Riciclaggio dei rifiuti nell’industria chimica

Riciclaggio dei residui nell’industria

Il riciclaggio dei residui è essenziale per la tutela dell’ambiente, riducendo inoltre l’uso di discariche. Riutilizzare i residui consente di sfruttare al meglio le risorse disponibili.

Riciclaggio dei prodotti chimici di base

L’ può essere ottenuto da sostanze come il , a temperature elevate che consentono la produzione di diossido di zolfo. Quest’ultimo, una volta trattato, reagisce con un ossido di vanadio per trasformarsi in triossido di zolfo, che a sua volta viene trasformato in acido solforico. Allo stesso modo, l’ utilizzato nell’industria siderurgica può essere rigenerato mediante pirolisi, che permette di separare l’acido dai metalli presenti.

Riciclaggio all’interno dei processi

Molti processi industriali riciclano i reagenti e i prodotti per rendere il processo stesso più efficiente. Ad esempio, l’acido cloridrico viene riciclato nell’ottenimento del cloroetene, utilizzato come monomero per la produzione di .

Riciclaggio dei polimeri

Il problema del riciclaggio dei polimeri, a causa dell’inquinamento che comportano e dell’elevato consumo di risorse, è rilevante. Tuttavia, le innovazioni tecnologiche stanno contribuendo a semplificare questo processo, utilizzando tecniche spettroscopiche per distinguere tra diversi tipi di plastica e separarli in base alle loro caratteristiche.

Conversione di polimeri in monomeri

Alcuni polimeri possono essere convertiti in monomeri, che a loro volta possono essere purificati e nuovamente polimerizzati. Ad esempio, i poliesteri possono essere ricondotti agli esteri e ai dioli, mentre il nylon 6 può essere convertito in caprolattame, che può essere nuovamente polimerizzato.

Cracking dei polimeri

I polimeri possono subire un cracking ad alte temperature per trasformarsi in molecole più piccole. Questo processo consente di ottenere molecole di minore peso molecolare utili per diversi scopi. Tale processo presenta inoltre il vantaggio di non richiedere una selezione preliminare delle plastiche prima del trattamento.

Materiali: proprietà meccaniche

Proprietà meccaniche dei : un’analisi dettagliata

Quando si parla di materiali, è importante considerare le loro proprietà meccaniche, che vengono sottoposte a forze e sollecitazioni di vario tipo. Gli ingegneri si occupano del calcolo di tali forze, del loro punto di applicazione e della composizione dei materiali, mentre i chimici studiano come i materiali si deformino o si rompano in base alle sollecitazioni, al tempo e alla temperatura.

Per confrontare campioni di diverse dimensioni, il carico viene calcolato per area unitaria. Stress e deformazione sono concetti fondamentali in questo contesto. Nelle prove di tensione e compressione, la relazione tra forza e superficie si definisce come stress, mentre la deformazione si indica con la lettera ε e rappresenta il rapporto tra la variazione nelle dimensioni del materiale e la sua lunghezza originaria.

La deformazione plastica è un tipo di deformazione permanente e irreversibile, mentre la deformazione elastica è reversibile e si verifica quando il materiale ritorna alle dimensioni iniziali una volta rimossa la sollecitazione.

Nelle prove di trazione, la descrive la relazione lineare tra stress e strain. Al di sopra di un certo valore massimo di carico, si verifica il comportamento anelastico, sia nei materiali plastici che in quelli elastici.

Per valutare la capacità di un materiale di assorbire energia prima di fratturarsi, è necessario considerare diverse proprietà come la e la tenacità. Un altro parametro importante è la duttilità, che indica la capacità di un materiale di deformarsi plasticamente prima di giungere alla rottura.

Infine, la relazione tra tensione e deformazione è cruciale per comprendere il comportamento dei materiali sotto sollecitazioni diverse, permettendo di valutare la loro e affidabilità in varie condizioni d’uso.

In conclusione, la comprensione delle proprietà meccaniche dei materiali è fondamentale per garantire la sicurezza e l’efficienza delle loro in diversi settori.

Gomma: proprietà termodinamiche

Proprietà termodinamiche della gomma

Il comportamento elastico della gomma è determinato dai legami trasversali che collegano le molecole e impediscono deformazioni permanenti. Sotto sollecitazione, le macromolecole assumono la configurazione di massima probabilità per massima . Dopo la sollecitazione, la tendenza al ritorno alla configurazione di riposo provoca una reazione elastica alle deformazioni. In una gomma ideale, questa forza è proporzionale alla temperatura e causata dalla diminuzione dell’entropia.

Quando la gomma è sottoposta a tensione uniassiale, secondo il , la variazione dell’ del sistema è data da dU = dQ – dW, dove dQ è il calore scambiato e dW è il lavoro. Per tensione uniassiale, il lavoro fatto dalla forza f è dWf = – fdL, e se il processo di deformazione è reversibile, dQ = TdS, dove S rappresenta l’entropia del sistema. Combinando le equazioni, considerando costante il volume e la temperatura, si ottiene: dU = TdS + fdL.

Forza tensile

La forza tensile, cioè la alla trazione del materiale, è definita come il carico massimo sopportato prima della frattura ed è data da: F = (dU/dL) T,V – T(dS/dL) T,V. Il primo termine rappresenta il contributo energetico alla forza tensile, cioè l’elasticità energetica, mentre il secondo termine rappresenta il contributo entropico alla forza tensile, dovuto alla diminuzione di entropia per lo srotolamento dei segmenti della catena. Appena la gomma viene allungata, la catena si muove da uno stato più probabile ad elevata entropia a uno meno probabile a bassa entropia, determinando la forza retrattile. Pertanto, l’elasticità della gomma è di natura entropica e la componente energetica è generalmente trascurabile.

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