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Piante nanobioniche dal MIT

Approfondimento sui Nanomateriali Utilizzati nei Cloroplasti

Un gruppo di studiosi del MIT si sta impegnando nel campo dei nanomateriali per incrementare la capacità delle piante di catturare e conferire loro nuove funzionalità. L’introduzione di nanotubi di nei cloroplasti, gli organi responsabili della all’interno delle cellule vegetali, ha comportato un aumento significativo della capacità di catturare energia luminosa. In particolare, l’uso di specifici nanotubi di carbonio ha permesso alle piante di individuare la presenza di ossido nitrico, aprendo a nuove possibilità di monitoraggio ambientale.

Piante come Piattaforma Tecnologica

Queste piante modificate, definite come nanobioniche, offrono potenzialità innovative. Le piante, per la loro natura autonoma e adattabile all’ambiente, potrebbero diventare una piattaforma tecnologica versatile. Gli studiosi del MIT mirano a trasformare le piante in dispositivi autoalimentati, capaci di rivelare sostanze esplosive o agenti chimici. La ricerca si concentra sull’integrazione di dispositivi elettronici nelle piante, sfruttando appieno il loro potenziale unico.

Obiettivi delle Piante Nanobioniche

L’idea delle piante nanobioniche nasce dalla volontà di sviluppare celle solari che, ispirandosi alle piante, siano in grado di autoripararsi. I ricercatori hanno lavorato sul potenziamento della funzione fotosintetica dei cloroplasti, al fine di implementare questa tecnologia nelle celle solari. I cloroplasti, dotati dell’apparato per la fotosintesi, rappresentano il fulcro della conversione energetica luminosa in energia .

Utilizzo di Nanoparticelle di Cerio

Per aumentare la durata di attività dei cloroplasti al di fuori delle piante, i ricercatori hanno integrato nanoparticelle di ossido di cerio. Questo composto agisce come antiossidante, contrastando i danni provocati dalla luce e dall’ossigeno sulle proteine fotosintetiche. Rivestite con acido poliacrilico per facilitarne la penetrazione nella membrana idrofobica circondante il cloroplasto, le nanoparticelle hanno dimostrato di incrementare in modo significativo la produttività fotosintetica.

In conclusione, attraverso l’utilizzo di nanomateriali come i nanotubi di carbonio e le nanoparticelle di cerio, i ricercatori stanno aprendo nuove frontiere nello studio delle piante nanobioniche, una potenziale risorsa tecnologica per il futuro.

Approfondimenti sulla Tecnologia dei Nanotubi di Carbonio nelle Piante

Recenti sviluppi scientifici hanno portato all’integrazione di nanotubi di carbonio , rivestiti di DNA carico negativamente, all’interno dei cloroplasti delle piante. Questi nanotubi agiscono come antenne artificiali, consentendo ai cloroplasti di captare lunghezze d’onda della luce nelle regioni dell’ultravioletto, verde e vicino infrarosso. Grazie a queste innovazioni, si è registrato un aumento dell’attività fotosintetica e una maggiore persistenza dell’attività cloroplastica nel tempo.

Infusione Vascolare e Applicazioni Pratiche

Attraverso la tecnica dell’infusione vascolare, i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sulle piante viventi, in particolare sfruttando l’Arabidopsis thaliana, una pianta fiorita. Applicando una soluzione nanoparticellare sulla parte inferiore della foglia, dove sono ubicati i pori noti come stomi, hanno facilitato l’ingresso dei nanotubi nei cloroplasti. Questo processo ha comportato un potenziamento della funzione fotosintetica e un aumento della produzione di zuccheri all’interno della pianta.

Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato la versatilità di questa tecnologia trasformando le piante di Arabidopsis thaliana in sensori chimici, capaci di rilevare l’ossido nitrico presente nell’ambiente a seguito di combustioni inquinanti. Tale innovazione apre la strada a possibili utilizz

Amminoacidi essenziali: funzioni

Importanza e Funzioni degli Essenziali: Scopri di Più

Gli amminoacidi essenziali sono fondamentali per il nostro organismo, poiché non può sintetizzarli autonomamente e deve assumerli attraverso l’alimentazione. Le proteine sono composte da venti diversi tipi di amminoacidi che sono i mattoni fondamentali di queste importanti molecole biologiche.

Struttura degli Amminoacidi e Processo Digestivo

Gli amminoacidi contengono il gruppo carbossilico –COOH e il gruppo amminico –NH2 legati a un chiamato carbonio-α. Ogni amminoacido differisce per il gruppo R legato al carbonio-α. Durante la digestione, le proteine vengono scisse nei loro componenti fondamentali, gli amminoacidi, che vengono assorbiti dall’intestino tenue. Una volta assorbiti, gli amminoacidi passano nel circolo sanguigno e vengono trasportati al fegato, dove possono essere metabolizzati attraverso processi come la transaminazione.

Funzioni degli Amminoacidi

Gli amminoacidi, essendo i mattoni delle proteine, svolgono diverse funzioni cruciali all’interno del nostro corpo.

1) Funzione Strutturale

: Gli amminoacidi contribuiscono a formare la struttura di vari tessuti, come osso, pelle, tendini, e denti. Ad esempio, il collagene è il principale componente delle strutture fibrose del corpo umano.

2) Funzione Catalitica

: Gli enzimi, che sono proteine specializzate, agiscono come catalizzatori biologici per velocizzare le chimiche nel nostro organismo.

3) Trasporto Molecolare

: Alcuni amminoacidi sono coinvolti nel trasporto di sostanze vitali nel sangue, come l’emoglobina che trasporta l’ossigeno.

4) Movimento

: Le proteine contrattili come l’actina e la miosina permettono il movimento muscolare.

5) Difesa Immunitaria

: Gli anticorpi, come le immunoglobuline, sono fondamentali per il sistema immunitario e sono costituiti da proteine.

6) Regolazione Ormonale

: Diverse proteine sono coinvolte nella regolazione del sistema endocrino attraverso la produzione di ormoni cruciali per molte funzioni corporee.

In conclusione, gli amminoacidi essenziali sono indispensabili per il corretto funzionamento del nostro organismo, svolgendo ruoli chiave in molte funzioni biologiche essenziali. Assicurarsi di includere fonti di proteine complete nella propria dieta è cruciale per garantire un adeguato apporto di amminoacidi essenziali.

Ruolo degli Amminoacidi Essenziali nelle Proteine

Le proteine sono costituenti fondamentali degli organismi viventi poiché svolgono molteplici funzioni fisiologiche. Uno degli aspetti cruciali delle proteine è la presenza degli amminoacidi essenziali, che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente e deve quindi assumerli attraverso l’alimentazione.

La fenilalanina è un amminoacido essenziale che si trova nelle proteine di origine animale e vegetale. Questo amminoacido è coinvolto nella formazione delle proteine stesse ed è anche precursore della tirosina, che a sua volta partecipa alla sintesi di importanti ormoni tiroidei e molecole nervose. La fenilalanina è presente in alimenti ricchi di proteine come carne, pesce e uova.

Isoleucina

L’isoleucina, appartenente al gruppo degli amminoacidi essenziali ramificati, gioca un ruolo cruciale nella sintesi proteica, soprattutto a livello muscolare. Questo amminoacido è in grado di produrre glucosio o corpi chetonici durante il digiuno o l’esercizio fisico prolungato, e partecipa anche alla produzione di emoglobina. Le migliori fonti di isoleucina includono bresaola, carne di maiale e di pollo, tonno, legumi, formaggio, uova e arachidi.

Istidina

Altra componente essenziale è l’istidina, che svolge importanti funzioni nel metabolismo. Questo amminoacido è coinvolto nella sintesi di proteine e nella regolazione del pH del sangue. Le fonti principali di istidina sono i latticini, la carne e il pesce.

Conclusioni

Gli amminoacidi essenziali sono quindi fondamentali per il corretto funzionamento del nostro organismo, poiché sono alla base della sintesi proteica e svolgono molteplici ruoli fisiologici. Assicurarsi di avere una dieta equilibrata che fornisca tutti gli amminoacidi essenziali è essenziale per mantenere la salute e il benessere generale.

Amminoacidi Essenziali: Importanza e Fonti Alimentari

Istidina

L’istidina è un amminoacido essenziale che gioca un ruolo fondamentale nel nostro organismo. È il precursore dell’istamina, coinvolta nei processi infiammatori, e fa parte della carnosina, un potente antiossidante che si trova nei muscoli e nel cervello. Fonti importanti di istidina sono le proteine della soia, i legumi, il merluzzo, la carne, le arachidi e i biscotti per bambini.


La leucina è cruciale per la crescita muscolare e per aumentare la resistenza fisica. Durante il digiuno, fornisce energia al metabolismo e può essere un valido supporto durante lo sforzo fisico prolungato. Ricerche dimostrano che la leucina è particolarmente benefica in situazioni post-trauma o di stress. Alcune delle principali fonti di leucina sono la ricotta, il sesamo, le arachidi, le lenticchie, il pollo e il pesce.

Lisina

La lisina è coinvolta in diverse funzioni nell’organismo. È parte integrante del collagene e contribuisce alla produzione di anticorpi, enzimi e ormoni, nonché all’assorbimento del calcio. Alcune fonti ricche di lisina sono la carne suina, i formaggi, il germe di grano, i latticini, il lievito di birra e il pesce.

Metionina

La metionina è il precursore di molte molecole vitali per il corpo, come la carnitina, fondamentale per convertire gli acidi grassi in energia, e la taurina, la creatina e la vitamina B12. È possibile trovarla nei latticini, nella carne bovina, nell’albume, nelle proteine della soia e in alcuni pesci come il merluzzo.

Treonina

La treonina svolge un ruolo essenziale nella depurazione dell’organismo, in particolare nel fegato e nei reni. È necessaria per la rigenerazione dei tessuti, agendo sull’elastina e sul collagene. Inoltre, supporta il sistema immunitario attraverso la formazione di anticorpi. Le principali fonti di treonina includono biscotti, legumi, funghi, carni di maiale, agnello, coniglio, formaggi, uova e sardine.

Triptofano

Il triptofano partecipa alla produzione di serotonina, un neurotrasmettitore chiave per molte funzioni del sistema nervoso e digestivo. È coinvolto anche nella sintesi di vitamine del gruppo B, come la niacina e la vitamina B6. Le principali fonti di triptofano sono le uova, i latticini, il salmone, il cacao, le banane, i cereali integrali, le verdure a foglia verde, le noci e le mandorle.

Valina

La valina è un amminoacido essenziale che contribuisce alla ricostruzione dei tessuti, in particolare dei muscoli. Viene assorbita rapidamente dall’intestino, diventando rapidamente disponibile per l’organismo. La valina è particolarmente importante per il muscolo come fonte energetica e per regolare le molecole nervose. Alcune fonti ricche di valina sono i latticini, la carne di maiale e di agnello, i cereali, la polvere di soia e le uova.

Encefaline: funzioni, meccanismo di azione


Le Encefaline: Ruolo, Struttura e Funzioni

Le encefaline sono neurotrasmettitori appartenenti alla famiglia delle endorfine, prodotte dal centrale. Questi pentapeptidi, formati da cinque , hanno una struttura simile a quella della morfina, essendo stati scoperti nel 1975 da John Hughes e Hans Kosterlitz in estratti cerebrali.

Funzioni delle Encefaline

Le encefaline agiscono come agonisti fisiologici dei recettori degli stupefacenti, come la morfina, e sono principalmente coinvolte nella riduzione e regolazione della sensazione di dolore. Pur essendo definiti “oppioidi endogeni”, hanno una potenza analgesica inferiore alla morfina.

Classificate in due sottogruppi, le e le , differiscono nella sequenza di amminoacidi presenti. Mentre le prime sono composte da Tyr-Gly-Gly-Phe-Met, le seconde da Tyr-Gly-Gly-Phe-Leu.

Sono diffusi in diverse aree del sistema nervoso centrale, nonché nell’ipofisi, nella midollare surrenale e nell’intestino. La loro minore potenza analgesica rispetto alla morfina è attribuibile a una maggiore velocità di degradazione tramite processi enzimatici.

Azione delle Encefaline

Pur non essendo ancora completamente compresa la loro funzione biologica, si sa che le encefaline possono agire inibendo l’eccitazione dei neuroni riceventi, regolando e attenuando il trasporto dello stimolo doloroso attraverso midollo ed encefalo.

Liberate da un neurone che sinapta con la terminazione dei neuroni eccitatori, le encefaline possono stimolare in misura minore le cellule riceventi. Questo processo contribuisce a modulare la percezione del dolore nel corpo.

Alcuni ricercatori ritengono che le encefaline possano rappresentare un’alternativa alla morfina nel campo medico, data la loro minore dipendenza e potenziale come rimedio naturale per la gestione del dolore. Inoltre, studi recenti hanno evidenziato che le encefaline potrebbero stimolare il sistema immunitario, favorendo la produzione di anticorpi.

Regola di Trouton: applicazioni

La Regola di Trouton e le sue Applicazioni

La regola di Trouton, attribuita al fisico irlandese Frederick Thomas Trouton, fornisce un metodo per stimare l’ di vaporizzazione di vari liquidi, sebbene non sia applicabile a quelli che presentano legami a idrogeno. Questa regola si basa sull’assunzione che liquido e vapore siano composti da una distribuzione casuale e disordinata di molecole, permettendo di calcolare la variazione di di vaporizzazione ΔS°vap con approcci statistici, con valori quasi costanti per tutte le sostanze.

Concetto di Equilibrio nella

Durante una transizione di fase, liquido e vapore sono in equilibrio, il che implica che l’ libera di Gibbs di vaporizzazione G°vap sia uguale all’energia libera di Gibbs del liquido G°liq, da cui deriva l’equazione ΔG° = ΔH°vap – TΔS°vap = 0.

La Regola di Trouton e le Sostanze con Legami a Idrogeno

La regola di Trouton, espressa da ΔS°vap = ΔH°vap / Tb ∼ 87 J/mol K, è particolarmente valida per le sostanze con minor ordine nella fase liquida. Al contrario, le sostanze che presentano legami a idrogeno e quindi maggiore ordine, mostrano valori di ΔS°vap superiori rispetto a quelli previsti dalla regola di Trouton.

Determinare la Temperatura di Ebollizione

Un’applicazione pratica della regola di Trouton è nel determinare la temperatura di ebollizione di una sostanza. Ad esempio, considerando l’equilibrio H2O(l) ⇄ H2O(g), con ΔHvap° = 44.02 kJ/mol e ΔSvap° = 0.119 kJ/mol K, possiamo calcolare la temperatura di ebollizione dell’acqua con Tb = ΔH°vap / ΔSvap° = 370 K.

Calcolo dell’Errore Percentuale

Considerando che la temperatura di ebollizione dell’acqua è di 373 K, possiamo determinare l’errore percentuale con la formula % errore = │370 – 373│ ∙ 100/373 = 0.80 %.

Questo esempio illustra l’applicazione pratica della regola di Trouton nella determinazione della temperatura di ebollizione di una sostanza e la valutazione dell’errore nei termodinamici.

Eteri: generalità

Struttura e Proprietà degli Eteri

Gli eteri, caratterizzati dalla formula generale

R-O-R’

, sono composti in cui un atomo di ossigeno centrale è legato a due gruppi R. La loro struttura molecolare può essere simmetrica, come nel caso del dimetil etere

CH₃OCH₃

, o asimmetrica, come nel caso dell’etil metiletere

CH₃OCH₂CH₃

. Gli eteri presentano una geometria molecolare simile a quella dell’acqua, con un atomo di ossigeno ibridato sp³ e un angolo di legame C-O-C di circa 100°, consentendo una rotazione agevole intorno al legame C-O.

Nomenclatura degli Eteri

La nomenclatura degli eteri segue solitamente i nomi d’uso anziché le regole IUPAC. I composti vengono denominati premettendo in ordine alfabetico i nomi dei gruppi alchilici legati all’ossigeno, seguiti dalla parola “etere”. Ad esempio, il CH₃OCH₂CH₃ viene chiamato etilmetiletere. Alcuni eteri, come il dietiletere e l’anisolo, sono conosciuti con nomi comuni. Secondo le regole IUPAC, gli eteri vengono denominati come alcossilalcani, ad esempio, il CH₃OCH₂CH₃ è noto come metossietano.

Proprietà degli Eteri

A differenza degli , con cui condividono l’isomeria, gli eteri non formano , determinando punti di ebollizione significativamente inferiori. Tuttavia, per gli eteri di elevato peso molecolare, le interazioni di van der Waals riducono tale differenza. I punti di fusione e di ebollizione degli eteri sono simili a quelli degli idrocarburi corrispondenti. A causa della polarità derivante dalla differenza di elettronegatività tra ossigeno e carbonio, gli eteri presentano una certa polarità, sebbene minore rispetto ad alcoli, esteri o .

In conclusione, gli eteri sono composti chimici di rilevanza in diverse applicazioni industriali e farmaceutiche, con proprietà fisiche e chimiche uniche che li distinguono dagli altri composti organici.

Eteri: Struttura e Proprietà

Gli eteri sono composti organici che presentano due doppietti elettronici solitari sull’ossigeno, permettendo loro di formare legami a idrogeno con l’acqua. Questa capacità li rende importanti in ambito chimico.

Eteri di rilievo

Uno degli eteri più significativi è l’

etere etilico

, noto anche semplicemente come etere. Questo composto è altamente volatile e infiammabile, con vapori più pesanti dell’aria che possono stratificarsi in basso e facilmente infiammarsi. Quando esposto all’aria per un periodo prolungato, l’etere etilico forma perossidi poco volatili che, una volta evaporati, lasciano residui altamente esplosivi se esposti a calore, attrito o urti meccanici.

Ruolo storico e uso attuale

Storicamente, l’etere etilico è stato impiegato come anestetico inalatorio per indurre narcosi durante interventi chirurgici. Il chirurgo Crawford Long fu uno dei primi a utilizzarlo nel 1842, sfruttandone le proprietà anestetiche legate al rapporto di solubilità grasso/acqua.

Eteri ciclici rilevanti

Tra gli eteri ciclici più importanti troviamo il

tetraidrofurano

e il

1,4-diossano

. Il tetraidrofurano è un liquido incolore con un odore simile all’, utilizzato come precursore per la sintesi di e come solvente per il PVC e le vernici. Il 1,4-diossano, anch’esso liquido incolore con un profumo simile all’etere dietilico, è impiegato come solvente per acetato di cellulosa, resine, oli, cere e vari composti organici e inorganici.

Applicazioni in sintesi organica

Gli eteri sono ampiamente utilizzati come solventi in sintesi organica grazie alla loro inerzia chimica nei confronti della maggior parte dei reagenti organici, all’elevata capacità solvente e alle basse temperature di ebollizione.

Questi composti svolgono un ruolo fondamentale in vari settori chimici e farmaceutici grazie alle loro caratteristiche uniche e alla capacità di formare legami con altre sostanze, contribuendo significativamente al progresso scientifico e industriale.

Elettrodo standard a idrogeno: potenziale di riduzione

L’elettrodo standard a idrogeno e la determinazione dei potenziali di riduzione

L’elettrodo standard a idrogeno è un elemento fondamentale per analizzare il potenziale di una cella elettrochimica. Questo elettrodo è costituito da immerso in una soluzione 1 M di ioni H+ e viene gorgogliato con idrogeno gassoso a 1 atm di pressione.

Scoprire i potenziali di riduzione

Per determinare il potenziale di una cella elettrochimica, è essenziale conoscere i . Ogni semireazione di riduzione in condizioni standard ha un potenziale misurato rispetto a una semireazione di riferimento con potenziale pari a zero.

e potenziale di idrogeno

Applicando l’equazione di Nernst, il potenziale dell’elettrodo a idrogeno può essere calcolato. A 25°C e 1 atm, l’equazione si semplifica in E = – 0.059 pH.

Tabella dei potenziali di riduzione

La tabella dei potenziali standard di riduzione è costruita in base all’elettrodo standard a idrogeno. Ad esempio, per la semireazione Cu2+(aq) + 2 e- ⇄ Cu(s), il potenziale standard di riduzione è +0.340 V. Questo indica che l’ione rame (II) si riduce a rame metallico acquistando elettroni in soluzione.

di riduzione e determinazione del potenziale

La reazione complessiva tra H2(g) e Cu2+(aq) porta alla formazione di 2 H+(aq) e Cu(s), con un potenziale standard complessivo di 0.340 V. Al contrario, la semireazione Zn2+(aq) + 2 e- ⇄ Zn(s) ha un potenziale standard di -0.763 V, indicando una riduzione negativa.

Questo approccio alla determinazione dei potenziali di riduzione è cruciale nell’ambito dell’elettrochimica e ci fornisce preziose informazioni sulle reazioni redox e sulle caratteristiche degli elettrodi.

Potenziale di una cella elettrochimica: una breve analisi

Il potenziale di una cella elettrochimica è determinato dalla differenza di potenziale tra i due elettrodi coinvolti. Ad esempio, in una cella costituita da un elettrodo di idrogeno e un elettrodo di zinco, avviene una serie di reazioni che generano una differenza di potenziale.

Reazioni e potenziale della cella

Nel caso della cella con elettrodi di idrogeno e zinco, la reazione di ossidazione dello zinco è rappresentata da: Zn(s) ⇄ Zn^2+(aq) + 2e^-. Allo stesso tempo, la semireazione di riduzione dell’idrogeno è: 2H^+(aq) + 2e^- ⇄ H2(g).

Il potenziale associato alla semireazione di ossidazione dello zinco è di +0.763 V, mentre quello della semireazione di riduzione dell’idrogeno è 0.0 V. Quindi, il potenziale della cella in condizioni standard è dato dalla somma di questi due valori, ovvero 0.763 V.

Utilizzo degli elettrodi di riferimento

Sebbene l’elettrodo di idrogeno sia un elettrodo di riferimento standard, la sua utilità pratica è limitata dalla difficoltà di mantenere la pressione di idrogeno gassoso a 1 atm. Questa condizione è difficile da ottenere in modo costante, rendendo l’elettrodo di idrogeno poco pratico per utilizzi di routine.

Di conseguenza, i chimici preferiscono utilizzare elettrodi con maggiore sensibilità e riproducibilità per condurre esperimenti e misurazioni più precise ed affidabili.

In conclusione, il potenziale di una cella elettrochimica dipende dalle reazioni che avvengono agli elettrodi coinvolti. Mentre l’elettrodo di idrogeno è importante come riferimento standard, la sua limitata praticità ha portato all’uso di elettrodi più adatti per le applicazioni quotidiane in campo chimico.

Determinazione della vitamina C. Calcoli svolti

La determinazione della quantità di vitamina C presente in una soluzione può essere effettuata attraverso una titolazione iodometrica utilizzando il tiosolfato come titolante. La vitamina C, nota anche come , svolge un ruolo fondamentale nel corpo umano agendo come antiossidante e proteggendo dalle azioni dannose dei presenti in ambienti acquosi come i liquidi intracellulari e il plasma.

La vitamina C è essenziale per la formazione e la stabilizzazione del collagene, un’importante sostanza per la produzione del tessuto connettivo. La concentrazione di vitamina C in una soluzione può essere determinata tramite titolazione ossidimetrica.

Durante la titolazione iodometrica, l’aggiunta di iodato a una soluzione acida contenente porta a una reazione di ossidoriduzione, dove lo formatosi reagisce con l’acido ascorbico formando ioduro e acido deidroascorbico. Le due coinvolte sono il passaggio da I2 a due I- (semireazione di riduzione).

Successivamente, lo iodio in eccesso viene titolato con una soluzione di tiosolfato dando luogo alla reazione in cui lo iodio viene convertito in ioduro e tetrationato. Il punto finale della titolazione è indicato dall’aggiunta di amido che, in presenza di iodio, produce una colorazione blu.

Preparazione di una soluzione di tiosolfato di sodio 0.1 M

Per preparare una soluzione di tiosolfato di sodio 0.1 M, si utilizza il tiosolfato di sodio pentaidrato con un peso molecolare di 248.18 g/mol. Circa 25 g di tiosolfato di sodio pentaidrato vengono pesati e inseriti in un matraccio da 1 L.

Preparazione di una soluzione 0.010 M di iodato di potassio

Per ottenere una soluzione 0.010 M di iodato di potassio, si pesano con precisione 2.1 g di iodato di potassio anidro e vengono trasferiti in un matraccio tarato da 1 L. L’iodato di potassio è uno standard primario, quindi la massa pesata di iodato di potassio è fondamentale per la preparazione della soluzione.Calcolo del titolo della soluzione.

Supponendo di aver pesato 2.1006 g di KIO3, possiamo calcolare la quantità di moli di KIO3 utilizzando la seguente formula: moli di KIO3 = 2.1006 g / 214.001 g/mol = 0.009816. Successivamente, calcolando la concentrazione della soluzione otteniamo 0.009816 mol / 1.000 L = 0.009816 M.

Standardizzazione della soluzione di tiosolfato di sodio

Per la standardizzazione della soluzione di tiosolfato di sodio, è necessario pipettare 5.00 mL della soluzione di iodato di potassio in un pallone da 250 mL, aggiungere 2 g di ioduro di potassio e 10 mL di H2SO4 0.5 M. Si procede con la titolazione usando il tiosolfato fino a ottenere una soluzione giallo-pallida.

Aggiungendo 2 mL di salda d’amido e continuando la titolazione fino alla scomparsa della colorazione blu scuro, si registra il volume di tiosolfato utilizzato. Effettuando i calcoli, otteniamo che la concentrazione della soluzione di tiosolfato è di 0.1006 M.

Determinazione della vitamina C

Per determinare la quantità di vitamina C presente, si procede mettendo una compressa di vitamina C del peso di circa 0.25 g in un mortaio e trasferendo il solido in una beuta da 250 mL. Aggiungere 20 mL di H2SO4, 2 g di KI e 50.0 mL di soluzione standard di iodato e titolare con la soluzione di tiosolfato.

Considerando il volume di tiosolfato necessario per la titolazione (8.48 mL), si calcola che le moli di tiosolfato sono pari a 8.531*10-4. Le moli di iodio in eccesso titolate dal tiosolfato sono quindi 4.266*10-4. Calcolando le moli di iodio reagite con l’acido ascorbico, otteniamo 0.001045 moli.

Supponendo la massa della compressa di vitamina C pari a 0.2501 g, la percentuale di vitamina C contenuta risulta essere del 73.61%.

Tramite questi calcoli e titolazioni, è possibile determinare con precisione la concentrazione delle soluzioni e la percentuale di sostanze presenti nelle analisi chimiche richieste.

Standardizzazione di una soluzione di tiosolfato. Calcoli


Standardizzazione della Soluzione di Tiosolfato per Titolazioni Iodometriche

La standardizzazione di una soluzione di è fondamentale per le titolazioni iodometriche che coinvolgono l’ossidazione dello a . Nell’ottica dell’analisi volumetrica, una tecnica comune è l’utilizzo dell’iodometria, che si basa sull’ossidazione dello ioduro a iodio seguendo la semireazione:

2 I ⇌ I+ 2e  E° = – 0.53 V

Stadi dell’Iodometria

La viene impiegata per determinare agenti ossidanti ed è condotta in due fasi distinte:

Primo Stadio

Nella prima fase si verifica la reazione tra ioduro e un agente ossidante come il permanganato di potassio, il bicromato di potassio, i perossidi, secondo il seguente schema generale:

KI + agente ossidante → I+ stato ridotto

Ad esempio, la reazione con il è:

6 KI + K2Cr2O+ 7 H2SO4> → Cr2(SO4)3 + 4 K2SO4 + 7 H2O + 3 I2

In questa reazione, lo iodio passa da un numero di ossidazione di -1 a zero, mentre il cromo va da +6 a +3.

Secondo Stadio

Nella seconda fase, lo iodio generato nella prima fase viene titolato con una soluzione di tiosolfato di sodio che si converte in tetrationato. Il punto finale della titolazione è rilevato con un indicatore specifico come la salda d’amido, aggiunta poco prima che la colorazione giallo-marrone dello iodio diventi appena visibile. La soluzione assume un colore blu poiché l’amilosio presente nella salda d’amido forma un composto di adsorbimento blu.

Quando tutto lo iodio è stato convertito in ioduro, la colorazione blu scompare, indicando il termine della reazione:

I2 +2 Na2S2O3 → 2 NaI + Na2S4O6

È quindi necessario avere a disposizione una soluzione di tiosolfato di sodio standardizzato.

Ad esempio, per preparare 250 mL di una soluzione di tiosolfato 0.2 M a titolo approssimativo,

Procedura per la standardizzazione del tiosolfato di sodio

Per iniziare la procedura di standardizzazione del tiosolfato di sodio, è necessario pesare il tiosolfato, che comunemente si presenta come pentaidrato. Il calcolo delle moli di tiosolfato necessarie si ottiene moltiplicando la concentrazione molare per il volume utilizzato, il che porta a una massa di tiosolfato di 12.4 g per 0.050 mol. Successivamente, il tiosolfato viene mescolato in un matraccio tarato con una piccola quantità di carbonato di sodio per ottenere una soluzione con un pH di circa 9-10 e portato a volume. Supponendo di aver pesato 12.62 g di tiosolfato, si raggiunge una concentrazione di 0.2033 M. È importante notare che, poiché il tiosolfato non è uno standard primario, la soluzione appena preparata ha solo un titolo approssimato.

Standardizzazione con iodato di potassio

Successivamente, si procede alla standardizzazione del tiosolfato utilizzando l’iodato di potassio. La reazione di standardizzazione è la seguente: IO3- + 6 H+ + 6 S2O3^2- → I- + 3 S4O6^2- + 3 H2O, con un rapporto di 1:6 tra iodato e tiosolfato. In una beuta vengono aggiunti 25.0 mL di soluzione di iodato di potassio, 10 mL di acido solforico al 10% e 2 grammi di ioduro di potassio. Con l’aggiunta di soluzione a titolo approssimato di tiosolfato e l’uso di indicatore salda d’amido, si titola la soluzione quando il colore tende al giallo paglierino.

Supponendo una concentrazione di iodato di 0.0334 M e un volume di tiosolfato impiegato per la titolazione di 26.15 mL, è possibile determinare il titolo della soluzione di tiosolfato. Le moli di iodato contenute in 25.0 mL risultano essere 0.000835, mentre le moli di tiosolfato sono 0.00501. Di conseguenza, la concentrazione della soluzione di tiosolfato risulta essere 0.191 M.

Volume molare dei gas: esercizi svolti

Il concetto di volume molare dei gas

Il volume molare dei gas rappresenta il volume occupato da una mole di gas ed è misurato in m³/mol nel Sistema Internazionale. Secondo l’equazione di stato dei , ponendo il numero di moli (n) uguale a 1, otteniamo l’espressione pV = RT, da cui deriva V = RT/p. Quando il gas si trova nelle condizioni standard (STP), con pressione di 1 atm e temperatura di 273 K, il volume molare è di 22.4 L.

La e il volume di una mole di gas

La Legge di Avogadro, formulata dal chimico italiano Amedeo Avogadro, afferma che volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di particelle. Pertanto, il volume di una mole di qualsiasi gas, misurato nelle condizioni standard, è di 22.4 L.

Esercizi pratici sul volume molare

1.

Calcolo del volume di a STP


– Dato che il peso molecolare dell’ammoniaca è 17.03 g/mol, con 3.40 g di ammoniaca si ottengono 0.200 moli e quindi un volume di 4.48 L.

2.

Peso molecolare del biossido di


– Con un volume di 56.0 mL di biossido di carbonio a STP e una massa di 0.110 g, calcolando le moli di gas si ottiene un peso molecolare di 44.0 g/mol.

3.

Calcolo della massa di una mole di monossido di carbonio


– Sapendo che 100 mL di monossido di carbonio pesano 0.125 g a STP, si calcolano le moli di gas ottenendo un peso molecolare di 28 g/mol.

4.

Variazione del volume del gas in nuove condizioni


– Esempio di variazione di un gas con volume iniziale di 2.00 L a condizioni standard trasportato a 27 °C e 2280 mm Hg. Utilizzando l’equazione di stato dei gas o la legge combinata dei gas, si calcola il nuovo volume del gas.

In conclusione, il volume molare dei gas è un concetto fondamentale nella che permette di relazionare volume, pressione, temperatura e numero di moli di una sostanza gassosa.

Anfetamina: struttura, effetti


L’anfetamina: una sostanza dal passato controverso

L’anfetamina, conosciuta anche con il nome I.U.P.A.C di (RS)- 2-ammino-1-fenilpropano, è un composto facente parte della famiglia delle fenetilammine. La sua struttura di base presenta uno scheletro di fenetilammina con un gruppo metile legato al alfa.

Le sue varianti più conosciute sono la metanfetamina e l’MDMA, comunemente nota come ecstasy. L’anfetamina è uno stimolante del centrale, utilizzato per trattare diverse condizioni di salute come obesità, narcolessia, e disturbi da deficit di attenzione e iperattività.

Storia dell’anfetamina

Fu il chimico rumeno di origine ebraica Lazăr Edeleanu ad avere il merito di sintetizzare per primo l’anfetamina nel 1887, ma solo negli anni ’30 ne furono scoperte le proprietà stimolanti sul sistema nervoso centrale. Inizialmente, veniva raccomandata dai medici per trattare diversi disturbi, tra cui l’abuso di alcol, la depressione e la narcolessia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, venne ampiamente utilizzata dai militari per aumentare l’attenzione e la resistenza. Tuttavia, a partire dagli anni ’60-’70, si diffuse l’abuso di anfetamine e metanfetamine, con conseguenti effetti collaterali negativi.

La Food and Drug Administration (FDA) statunitense limitò l’uso di queste sostanze già nel 1959, riconoscendone l’effetto stupefacente. L’Italia recepì le norme più restrittive solo in un secondo momento.

Effetti collaterali

Oltre agli effetti immediati, l’anfetamina e i suoi derivati possono portare a irritabilità, insonnia, perdita di appetito e dipendenza.

Effetti collaterali delle anfetamine

Le anfetamine, una classe di sostanze psicoattive, possono provocare diversi effetti collaterali sull’organismo, tra cui tremore, agitazione, disturbi del sonno, perdita di appetito, aggressività, instabilità dell’umore e depressione. Questi sintomi possono manifestarsi soprattutto in seguito a un uso prolungato e abusivo di queste sostanze.

Rischi legati all’abuso di anfetamine

L’assunzione eccessiva di anfetamine può comportare rischi gravi per la salute. Dosi elevate possono provocare allucinazioni, arresto cardiaco, danni ai reni e al fegato, oltre a disturbi mentali. Inoltre, l’abuso di anfetamine può innalzare la pressione sanguigna e la temperatura corporea fino a 41°C, aumentando il rischio di disidratazione.

Pericoli associati all’uso di anfetamine

Nei casi più gravi, soprattutto se le anfetamine vengono consumate insieme all’alcol, si possono verificare perdita di coscienza, stato comatoso e addirittura emorragie cerebrali. È importante sottolineare che l’anfetamina è più pericolosa della cocaina in quanto il suo metabolismo più prolungato può provocare effetti più intensi e dannosi per l’organismo.

Rilevamento delle anfetamine

La presenza di anfetamine nell’organismo delle persone che ne fanno uso può essere facilmente individuata tramite analisi gascromatografiche delle urine. Queste analisi possono essere integrate con l’impiego di strumenti come apparecchi UV, IR o spettrometri di massa per una conferma più accurata.

Impatto sociale e sanitario

Nonostante le restrizioni e i divieti, l’uso di derivati anfetaminici rappresenta ancora un grave problema politico, sanitario e sociale. Purtroppo, non sempre viene percepito con la dovuta gravità, nonostante gli evidenti rischi per la salute pubblica.

Per saperne di più sulle analisi gascromatografiche, ti consiglio di visitare il sito [chimica.today](https://chimica.today/chimica-analitica/la-gascromatografia/). Se invece desideri approfondire l’argomento della spettrometria di massa, puoi trovare ulteriori informazioni su [chimica.today](https://chimica.today/chimica-analitica/spettrometria-di-massa/).

Polistirene: struttura, proprietà, polimerizzazione

Tutte le informazioni sul Polistirene che devi conoscere

Il polistirene è un polimero termoplastico derivante dal monomero stirene, noto anche come feniletene, che è un derivato del petrolio. A temperatura ambiente è solido ma si ammorbidisce a 100°C, ritornando allo stato solido una volta raffreddato.

Proprietà e utilizzi del polistirene

Il polistirene è commercializzato in varie forme, tra cui il polistirene espanso. È resistente agli acidi (ad eccezione di quelli ossidanti), alle basi e all’acqua, ma solubile in solventi organici come l’acetone. Ha una certa resistenza al fuoco e unito ad additivi appropriati può ritardare la propagazione delle fiamme. Grazie alla sua bassa conducibilità termica, è spesso impiegato come isolante termico. È impermeabile all’acqua ma permeabile al vapore acqueo, il che lo rende ideale per prevenire la formazione di muffe negli edifici. Viene utilizzato anche nell’imballaggio per la capacità di assorbire gli urti.

Processo di polimerizzazione

La produzione di polistirene avviene in tre fasi:
1. Produzione di etilbenzene da benzene.
2. Produzione di feniletene.
3. Polimerizzazione del feniletene.

Per ottenere l’etilbenzene, si fa reagire il benzene con l’etene in un ambiente acido che funge da catalizzatore a circa 900°C e a una pressione di 20 atm.

Se desideri saperne di più sul polistirene e sulle sue applicazioni, ti consigliamo di seguire [Chimica Today](https://chimica.today/) per approfondimenti sul mondo della chimica e dei polimeri.

La Produzione Industriale del Polistirene e il Suo Meccanismo di Formazione

La Reazione di Friedel-Crafts e il Utilizzo del Catalizzatore ZSM-5

La produzione industriale del polistirene prevede la utilizzo della reazione di Friedel-Crafts, dove il catalizzatore impiegato è un alluminosilicato chiamato ZSM-5, che è una zeolite.

La Deidrogenazione dell’Etilbenzene e la Polimerizzazione

I vapori di etilbenzene vengono mescolati con un eccesso di vapore acqueo in presenza di ossido di ferro (III) come catalizzatore, causando la deidrogenazione dell’etilbenzene per produrre il feniletene, utilizzato come monomero per la reazione di polimerizzazione del polistirene.

La Reazione di Addizione Radicalica per la Formazione del Polistirene

Il polistirene viene ottenuto attraverso una reazione di addizione radicalica, che coinvolge un meccanismo testa-coda per formare una catena lineare polimerica ad alto peso molecolare.

Il Meccanismo di Formazione del Polistirene

Nella produzione del polistirene, vengono utilizzati iniziatori come perossidi, ad esempio il perossido di benzoile, che generano radicali in grado di reagire con il monomero stirene.

Il doppio legame esterno all’anello benzenico si rompe per consentire la formazione del radicale, il quale reagisce con lo stirene per propagare la catena polimerica. La terminazione avviene quando due radicali liberi si uniscono tra loro.

In conclusione, il polistirene viene sintetizzato attraverso una serie di reazioni chimiche che coinvolgono la deidrogenazione dell’etilbenzene, l’addizione radicalica del monomero stirene e la formazione di una catena polimerica ad alto peso molecolare.

Glicosidi cardiaci: struttura, effetti

Glicosidi Cardiaci: Un Trattamento per lo Scompenso Cardiaco

Per affrontare l’insufficienza cardiaca, si utilizzano glicosidi cardiaci che agiscono direttamente sul cuore aumentandone la forza della contrazione. Queste sostanze, chiamate anche cardiotonici, sono fondamentali nel migliorare la contrattilità del cuore.

Derivazione dei Glicosidi Cardiaci dalle Piante

I glicosidi cardiaci sono principalmente ottenuti dai fiori della digitale, un genere di piante che include varietà come la Digitalis purpurea e la Digitalis lanata. Queste sostanze possono anche essere estratte da piante come lo Strophantus kombe e la Scilla maritima. È interessante notare che sebbene le proprietà medicinali della Scilla siano state osservate già nel 1500 a.C., è stato solo tra il 1840 e il 1880 che sono stati ottenuti i primi preparati glicosidici dalle digitale.

Struttura e Attività dei Glicosidi Cardiaci

Dal punto di vista strutturale, i glicosidi cardiaci sono composti da una porzione fenantrenica e steroidea, a cui è collegato un anello lattonico e una sequenza di zuccheri (digitossosio). La parte non zuccherina della molecola è chiamata aglicone. La presenza di ossidrili e il numero di zuccheri legati all’aglicone influenzano l’attività farmacologica del composto. Ad esempio, aumentando la solubilità in acqua, si modifica l’assorbimento e la distribuzione nel corpo.

Attività dei Diversi Tipi di Glicosidi Cardiaci

Nei glicosidi cardiaci con anello lattonico insaturo, l’attività diminuisce seguendo la successione monoside > bioside > trioside > aglicone. I monosaccaridi aldeidici come i glucosidi e i ramnosidi mostrano una maggiore attività tra i monosidi. Al contrario, gli agliconi della Scilla sono più potenti dei corrispondenti glucosidi. È importante sottolineare che negli agliconi, l’insaturazione dell’anello lattonico è essenziale per l’attività cardiocinetica.

In definitiva, i glicosidi cardiaci rappresentano una componente significativa nel trattamento dell’insufficienza cardiaca, agendo direttamente sul cuore per migliorarne la contrattilità e ottimizzarne la funzionalità.

Utilizzi dei Glicosidi Cardiaci

I glicosidi cardiaci come il lanatoside A e il lanatoside C sono utilizzati in terapia clinica per trattare l’insufficienza cardiaca e le aritmie. Il loro meccanismo d’azione consiste nell’inibire l’enzima Na+ K+ ATPasi, conosciuto anche come pompa sodio-potassio. Questo porta ad un accumulo di sodio all’interno delle cellule cardiache, riducendo la capacità dello scambiatore sodio-calcio di espellere il calcio e provocando un aumento del calcio intracellulare, che a sua volta aumenta la forza delle contrazioni cardiache.

Effetti Collaterali dei Glicosidi Cardiaci

Nonostante i benefici, l’uso di glicosidi cardiaci può causare gravi effetti collaterali e tossicità. Questo ha portato alla sostituzione di tali farmaci con altri come ACE-inibitori e beta-bloccanti. Gli effetti collaterali comuni includono stanchezza e affaticamento insoliti, ansia e allucinazioni, disturbi visivi, nausea o vomito e aritmie cardiache.

Conclusioni

In conclusione, i glicosidi cardiaci come il lanatoside A e il lanatoside C sono farmaci comunemente utilizzati per trattare patologie cardiache. Tuttavia, a causa dei potenziali effetti collaterali e della tossicità associati al loro impiego, sono stati progressivamente sostituiti da altre classi di farmaci più sicuri ed efficaci. L’avanzamento della ricerca medica ha permesso di sviluppare trattamenti alternativi per le condizioni cardiache, riducendo così la dipendenza dai glicosidi cardiaci.

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