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Una statua di astronauta viene scolpita nella cattedrale di Salamanca nel 1500, sfidando gli oggetti fuori dal tempo e confondendo gli storici tradizionali.

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Scoperta choc: Un astronauta scolpito su una cattedrale del ‘500 a Salamanca? Sì, e non è opera di alieni invasori! Questo Oopart, o “oggetto collocato fuori posto”, fa impazzire i teorici del complotto, ma la verità è ben più terra-terra. Preparatevi a smontare miti storici con un tocco di sarcasmo – perché la ama trollarci!

L’astronauta di Salamanca è una statua enigmatica su una cattedrale del 1500, un classico Oopart che fa gola ai fan delle teorie alternative. Ma andiamo con ordine: si tratta di manufatti moderni in contesti antichi, come un astronauta su un rilievo maya o presunte lampadine su un tempio egizio. Questi oggetti alimentano storie infondate su civiltà aliene, ma in realtà sono solo fraintendimenti facili da spiegare. Per l’astronauta di Salamanca, però, è diverso – è davvero un viaggiatore spaziale scolpito su una cattedrale spagnola del XVI secolo. Com’è possibile? Beh, tenetevi forte, perché la risposta è più banale di un complotto su Twitter.

Gli Oopart più famosi, acronimo per “Out Of Place ARTifacts”, sono manufatti umani in contesti dove non dovrebbero stare, spesso oggetti moderni in arte antica. Questi roba alimentano narrazioni folli, tipo la Terra visitata da alieni, ma sono solo bufale . Di solito, si spiegano come immagini diverse da come appaiono o collocazioni logiche, non con fantasie da film di serie B. Vediamo due che fanno ridere i veri storici.

L’astronauta di Palenque è un bassorilievo su una tomba maya del VII secolo in Messico, che con un po’ di fantasia sembra un tizio al volante di una navicella. I promoter delle teorie aliene, come quel tizio Erich Von Däniken, lo sbandierano come prova, ma è un errore colossale: studi seri mostrano che raffigura solo un dignitario che passa dalla vita alla morte. Niente viaggi spaziali, solo trip mentali.

Le lampade di Dendera, su un tempio egizio del IV secolo a.C., sembrano grandi bulbi elettrici – inventati secoli dopo! I complottisti giurano che gli egizi conoscevano l’elettricità grazie ad alieni, ma la realtà è che raffigurano un mito: il serpente primordiale in un fiore di loto. Insomma, non era un generatore, ma una storiella antica – e i teorici moderni dovrebbero accendere le luci su questo.

L’astronauta sulla cattedrale di Salamanca si trova sulla facciata occidentale della Catedral Nueva, vicino alla Porta Ramos, e non c’è bisogno di fantasia: è inequivocabilmente un astronauta con casco e tuta. Come diavolo è finito lì nel ‘500? Semplice: è stato aggiunto durante un restauro negli anni ’80, quando i voli spaziali erano routine. Hanno ripreso figure danneggiate e ci hanno infilato tocchi moderni, tipo una lince iberica o questo astronauta per celebrare l’era spaziale. Non è unico – pensate al Duomo di Milano, dove sotto il fascismo scolpirono Mussolini e persino un pugile. Insomma, la storia è piena di aggiunte irriverenti, e questo astronauta è solo l’ultimo scherzo architettonico. Che commento? Altro che alieni: è solo un reminder che i restauri storici amano essere politicamente scorretti!

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Saturno impone la sua presenza nei cieli durante l’opposizione di settembre 2025

Saturno Ruba la Scena a Settembre 2025: Il Signore degli Anelli Brilla Come Mai Prima, Ignorando le Pazzie Terrestri!

Cielo da urlo a settembre: Saturno, quel gigante gassoso con anelli da sballo, è il re indiscusso del mese (tranne per quell’eclissi di luna il 7 che prova a rubargli la gloria). Se avete un binocolo decente, non perdetevelo, perché il 21 settembre sarà all’opposizione, con la sua luminosità al massimo – un evento che vi farà gridare “wow” come se foste a un concerto rock. Non fate i soliti terrestri distratti dalle sciocchezze quotidiane, guardate su!

Ma cosa significa esattamente questa opposizione? Come spiega l’INAF, è un allineamento epico di Saturno con il Sole e la Terra, proprio con noi in mezzo – e per vederlo di notte, il pianeta deve essere ben oltre la nostra orbita, cosa che accade il 21. In quel momento, Saturno offre le migliori condizioni di osservazione, essendo alla minima distanza dalla Terra e per tutta la notte. Insomma, un’opportunità da non sprecare, a meno che non preferiate fissare lo schermo del telefono come zombie moderni.

E non è tutto: secondo l’UAI, quell’eclissi di Luna a “rubare la scena”, Saturno sarebbe il protagonista assoluto. Il pianeta sarà visibile dall’inizio della sera fino all’alba, raggiungendo il culmine a Sud nelle ore centrali della notte, con la massima luminosità e dimensioni apparenti. Potrete ammirare i suoi anelli, anche se in questo periodo appaiono un po’ sottili, come una dieta stellare – e chissà, magari è il modo di Saturno per non sembrare troppo vanitoso in un mondo già pieno di egocentrici.

Parlando di numeri che fanno impressione, il perigeo di Saturno sarà a una distanza minima di 8,547 Unità Astronomiche, ovvero ben .278.577.000 km – roba da far impallidire i vostri viaggi in auto. Immaginatevi il cielo del 21 settembre alle 22:30, con Saturno che domina la scena come un boss.

Ah, e c’è un bonus: Saturno non si limita a brillare, ma si sposta! Dopo aver concluso il suo tour nei Pesci, il 29 settembre entrerà nell’Acquario, muovendosi in retrogrado come un viaggiatore spaziale svogliato. Da non perdere, gente – mentre quaggiù litighiamo per inezie, lassù c’è uno spettacolo gratuito e infinitamente più cool. Com’è che si dice? Guardate le stelle, non i politici!

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Le teorie sull’evoluzione vengono sconvolte da un rettile con cresta piumata vissuto 247 milioni di anni fa

Sconvolgente! Un rettile preistorico dalla Francia sfoggia una cresta flessibile e pigmentata che ridicolizza tutto ciò che gli “esperti” credevano sull’evoluzione della pelle. Pensavate che i rettili fossero solo squame e noia? Pensateci di nuovo! Questa bestia triassica, Mirasaura grauvogeli, dimostra che la natura era già un passo avanti 247 milioni di anni fa.

Preparatevi, perché questa scoperta fossile sta facendo tremare i paludosi corridoi accademici! Nel Triassico medio, Mirasaura grauvogeli, un agilissimo rettile arboricolo, sfoggiava una cresta dorsale fatta di strutture simili a piume – roba che fa passare i dinosauri per sfigati della moda. Fino a ora, i sapientoni giuravano che i rettili non si fossero mai spinti oltre le squame rigide, ma questi fossili francesi li stanno costringendo a mangiare il cappello.

I ricercatori hanno messo le mani su due scheletri quasi intatti e oltre 80 frammenti cutanei, rivelando una cresta composta da appendici sovrapposte con una cresta centrale sottile e strati curvi ai lati. Niente di vero e proprio piumato, ma queste cose erano morbide, flessibili e rugose – un look da passerella preistorica, non certo per tenere caldo o volare.

al microscopio elettronico (SEM) mostrano una trama pieghettata, perfetta per fare colpo o comunicare, non per isolare dal freddo. Con un cranio di soli 17 millimetri e occhi enormi per una visione da cecchino tra i rami, Mirasaura aveva un muso quasi sdentato, ideale per sgranocchiare insetti sulla corteccia, e un corpo allungato con arti prensili e artigli curvi – insomma, un vero acrobata come uno scoiattolo strafottente.

La di questi melanosomi è molto simile a quella riscontrata nelle piume di uccelli, come ha fatto notare la dottoressa Valentina Rossi, suggerendo pattern colorati per l’accoppiamento o il riconoscimento sociale. Peccato che non possiamo riverniciarlo per una sfilata.

Questo tizio divide il palco con Longisquama insignis, un altro del gruppo Drepanosauromorfi, con strutture simmetriche e un’evoluzione indipendente dalle piume di uccelli e dinosauri. Secondo l’analisi filogenetica, Mirasaura è fuori dai soliti sospetti dei rettili moderni – una vera anomalia che fa impallidire i discendenti.

I resti di Mirasaura furono raccolti negli anni ’30 in Alsazia da Louis Grauvogel, ma giacevano dimenticati fino al 2019, quando il Museo statale di naturale di Stoccarda li ha riscoperti. Il nome Mirasaura grauvogeli – che significa “rettile meraviglia di Grauvogel” – è un omaggio al collezionista, e questa bomba anticipa l’origine dei Drepanosauromorfi di 20 milioni di anni, dimostrando che la pelle dei rettili era già un capolavoro evolutivo. Lo studio è su Nature, e la natura continua a sorprenderci, reinventando trucchi in modo scandalosamente creativo. ,,

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Nadezda Durova inganna l’esercito zarista travestendosi da ufficiale di cavalleria per entrare in battaglia

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La Guerriera Travestita Che Ha Fregato Napoleone! Siete pronti a una epica e un po’ piccante? Nadezda Durova, la russa che si è vestita da uomo per combattere come un boss nell’esercito dello Zar, ha affrontato Napoleone con più palle di tanti machi da bar. Da moglie e mamma a di guerra, questa tizia non si è fatta problemi a ribaltare le regole del genere in pieno 1800.

Nadezda Andreevna Durova, nata a Kiev nel 1783 e morta nel 1866, è stata una specie di mito vivente: una ufficiale di cavalleria zarista che, arruolandosi come Aleksander Sokolov, ha dato filo da torcere a Napoleone in quelle battaglie che parevano solo roba da maschi. Figurati lo shock quando lo Zar Alessandro I l’ha scoperta e le ha dato una medaglia, la Croce di San Giorgio, per aver salvato compagni feriti come una vera dura. Ritirata nel 1816, ha continuato a girare in abiti maschili, e chissenefrega se oggi discutono se fosse transgender o solo una che amava i pantaloni – lei rimane un’icona irriverente.

Dalla sua infanzia folle, dove cadeva da carrozze e giocava con pistole e sciabole grazie al papà ufficiale, a quel matrimonio lampo del 1801 con Vasily Stefanovich Cherno che le ha fruttato un figlio nel 1803, Nadezda ha mollato tutto nel 1806 (o forse 1805, chi lo sa) per inseguire l’adrenalina. Travestita da uomo, si è unita agli ulani e ha combattuto nella campagna prussiana, salvando due tizi feriti come se fosse una scena di un film d’azione. E dopo? Promossa tenente dallo Zar, ferita a Borodino nel 1812, e presente alla sconfitta finale di Napoleone nel 1815. Insomma, una che non si è risparmiata un graffio.

Negli ultimi anni, Nadezda ha scritto un diario di guerra che il poeta Pushkin ha convinto a pubblicare nel 1836, diventando un bestseller con il titolo “Memorie del cavalier pulzella”. Questo libro è una bomba per studiare le guerre napoleoniche, e lei ha pure sfornato romanzi mentre restava fedele ai suoi abiti maschili. Morta nel 1866 e sepolta con onori militari, rimane la prova che le donne possono essere più toste degli stereotipi – anche se, diciamocelo, un po’ fuori dagli schemi!

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Umani trasformati in scatole viventi: le capsule abitative del Giappone sfidano lo spazio personale con alloggi ultracompatti e una guida essenziale per i curiosi.

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Capsule Hotel in Giappone: Dormire in una scatola sovraffollata? Il futuro è qui, e fa schifo!
Preparatevi a essere scioccati: in mezzo al caos di Tokyo e Osaka, dove lo spazio è più prezioso del sushi fresco, i giapponesi si infilano in capsule abitative come topi in una trappola – minuscole gabbie grandi quanto un letto, impilate a decine in strutture da incubo. Nate negli anni ’70 per i lavoratori sfiniti, queste “stanze” offrono solo l’essenziale: un posto per crollare, a prezzi da saldo. Simbolo di minimalismo estremo e vita urbana folle, sono diventate un must per chi ama il disagio.

Il panorama urbano del Giappone, specialmente nelle città iper-dense come Tokyo e Osaka, ha spinto a soluzioni abitative estreme e innovative che fanno sbellicarsi dalle risate – o piangere, a seconda. Le capsule abitative, o capsule hotel, sono la risposta alla carenza di spazio e ai ritmi di vita forsennati: alloggi piccolissimi, poco più di un letto, impilati in strutture che sembrano alveari per umani in miniatura. Offrono l’indispensabile – un posto dove dormire e nient’altro – a costi ridicoli e con un’efficienza spaziale che urla “emergenza”. Nate alla fine degli anni ’70 per i lavoratori pendolari, come la Nakagin Capsule Tower di Tokyo, queste capsule sono ora il simbolo dello stile di vita giapponese: un mix di minimalismo funzionale e pragmatismo urbano che ti fa pensare se valga la pena vivere così.

e origini delle capsule abitative
Le radici delle capsule abitative affondano nella traiettoria economica e sociale del Giappone del dopoguerra, dove negli anni del boom economico (’60-’70) le città crescevano come funghi radioattivi, schiacciando il mercato immobiliare. In questo inferno, l’idea era ridurre lo spazio domestico all’osso, optando per soluzioni economiche, veloci da costruire e perfette per centri urbani strapieni. Architetti del Movimento Metabolista hanno immaginato strutture con unità sostituibili: moduli prefabbricati agganciati a un’infrastruttura centrale, come organismi viventi che si adattano al caos. In un Paese con spazio limitato e folla ovunque, queste idee utopiche – o folli – hanno mescolato tradizione e avanguardia in esperimenti architettonici da capogiro.

La Nakagin Capsule Tower di Tokyo
Un raro esempio di architettura metabolista è stata la Nakagin Capsule Tower di Tokyo, inaugurata nel 1972 e progettata dall’architetto Kishō Kurokawa, tra i fondatori del movimento. Questo edificio di 13 piani nel quartiere di Ginza consisteva in due torri di calcestruzzo con 140 capsule abitative prefabbricate in agganciate. Ogni modulo era un micro-appartamento autonomo di circa 10 metri quadrati, con arredi integrati, aria condizionata, letto futon, bagno e una finestra a oblò. Kurokawa immaginava di sostituire periodicamente le capsule per tenere l’edificio “vivo” e aggiornato, un’applicazione dei principi metabolisti. Progettate con un ciclo di vita di 25 anni come alloggi temporanei per working nomads, però, si sono rivelate un disastro: rimuoverne una richiedeva di spostare quelle sopra, cosa mai fatta. Alla fine, tra degrado e guai vari, la torre è stata demolita – una lezione su sogni architettonici finiti in fumo.

Cosa sono i capsule hotel giapponesi e com’è dormirci
Mentre la Nakagin Capsule Tower è fallita in grande stile, Kurokawa ha rilanciato l’idea in una versione più semplice e radicale negli anni Settanta, per i pendolari esausti che non tornavano a casa. Il primo, il Capsule Inn Osaka, progettato da lui nel 1979, offriva dormitori con capsule-letto individuali a basso costo per chi non poteva permettersi un hotel vero. Queste strutture sostituiscono le camere con capsule minuscole (circa metri di profondità, di larghezza e poco più di 1 di altezza), disposte in file sovrapposte e chiuse da un pannello o tendina. Dentro, c’è l’essenziale: un materasso, luce da lettura, prese elettriche, una TV e ventilazione. I servizi come bagni e docce sono condivisi, e i costi – tra 2.000 e 5.000 yen a notte (circa 10-30 euro) – sono una pacchia rispetto agli hotel normali. Ideali per salarymen locali o viaggiatori tirati, oggi attirano turisti curiosi con capsule a tema pop-futuristico: da necessità a moda, trasformando la vita in una scatola in un’attrazione weird.

Aspetti culturali e psicologici
Per alcuni, i capsule hotel sono il massimo della solitudine urbana – file di loculi dove dormi appiccicato a sconosciuti ma isolato come un eremita – per altri, un bozzolo intimo nel caos metropolitano. Da un lato, praticità e modernità; dall’altro, un segno di una società che si chiude in sé stessa. Queste capsule, nate dall’ingegno e dalla necessità, rispecchiano lo spirito pragmatico del Giappone: trasformano problemi come la scarsità di spazio, i ritmi di lavoro da incubo e l’isolamento in un modello abitativo tailor-made. Dormire in due metri quadrati? Per molti è la norma, e forse una scelta temporanea che dice tutto sul mondo moderno – che sia geniale o deprimente, dipende da voi.

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I cieli vengono invasi da Venere, il Presepe e le meteore in una notte controversa

Cielo in fiamme stanotte: Stelle cadenti che sfrecciano e Venere che si “immerge” in un ammasso stellare! Preparatevi per uno spettacolo celeste GRATIS tra il 31 agosto e il ° settembre, a occhio nudo bisogno di roba costosa. Si immergerà nell’M44, e chi se lo perde è un idiota cosmico. #StelleCadenti #VenereVirale #CieloImpazzito

Che nottata epica ci aspetta per sbatter via agosto e accogliere settembre con stile! Dopo la mezzanotte, le stelle cadenti theta Aurigidi illumineranno il cielo come fuochi d’artificio improvvisati, e prima dell’alba, Venere “si immergerà” nell’ammasso stellare M44. Niente scuse, gente: è tutto gratis e visibile senza ingegnosi marchingegni, purché abbiate gli occhi aperti e non siate distratti da litigi politici inutili.

Le stelle cadenti: Come sputa fuori l’UAI, queste theta-Aurigidi raggiungono il picco nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre, con il punto di partenza nella costellazione dell’Auriga (guardate la mappa per il cielo intorno all’1.30). Sono velocissime e, ok, non piovono a frotte (tipo 6-10 all’ora), ma possono regalarvi quel brividino romantico o un desiderio da ubriaconi. La Luna al Primo Quarto non rovinerà la festa, tenendola discreta per una volta.

La congiunzione Venere – Ammasso del Presepe: Ma l’action non si ferma qui! Poco prima dell’alba del 1° settembre, Venere attraverserà l’ammasso stellare M44, noto anche come Ammasso del Presepe, per uno show che potrebbe essere visto a occhio nudo se avete un cielo decente (controllate la mappa per le 5.00 circa). Venere è quel pianeta spaccone del Sistema Solare che si fa notare senza sforzo, e come dice StarWalk, l’Ammasso del Presepe è roba seria: terzo oggetto di Messier più luminoso dopo le Pleiadi e la Galassia di Andromeda, e il secondo deep-sky più vicino dopo le Pleiadi.

In pratica, M44 potrebbe sembrare una macchia luminosa in posti senza luci fastidiose, ma se siete fortunati lo beccherete anche in città – però, per vederlo come si deve, un binocolo non guasterebbe, altrimenti siete solo dei dilettanti. È un ammasso aperto con stelle nate insieme, “giovane” a modo suo con 600-700 milioni di anni, rispetto ai 4,6 miliardi del nostro Sistema Solare. Pronti per una notte di desideri e meraviglie celesti? Non fatevi scappare questo doppio botto gratuito!

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Cyberbulli prendono di mira un adolescente su tre in Italia, rivelando un problema online dilagante

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ATTENZIONE: ,7 MILIONI DI ADOLESCENTI ITALIANI SOTTO ATTACCO DIGITALE! Il cyberbullismo sta devastando la nostra gioventù: il 34% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha subito insulti, minacce e umiliazioni online, con maschi e stranieri che pagano il prezzo più alto. È una guerra invisibile, dove i vigliacchi si nascondono dietro gli schermi, e spesso sfocia in aggressioni reali. Sveglia, Italia!

In base all’indagine Istat “Bambini e Ragazzi: comportamenti, atteggiamenti e progetti futuri”, un terzo dei giovani italiani tra gli 11 e i 19 anni – parliamo di ben 1,7 milioni di vittime – ha sperimentato il cyberbullismo, con i maschi e gli stranieri che svettano nelle statistiche come i più colpiti. E non è roba da niente: nel 30% dei casi, queste persecuzioni digitali si trasformano in pestaggi o insulti dal vivo, sfidando la Legge n. 71 del 2017 che dovrebbe fermare questo caos.

Ma cos’è esattamente il cyberbullismo, e perché è peggio del bullismo “tradizionale” che tutti conosciamo? Con il 90% dei ragazzi che passa almeno due ore al giorno online, tra social e chat, il rischio esplode: messaggi offensivi, insulti ripetuti, foto umilianti diffuse via SMS, email o piattaforme – e attenzione, solo gli episodi ricorrenti contano ufficialmente. A differenza del bullismo faccia a faccia, il cyberbullismo ha caratteristiche uniche che lo rendono una bestia diversa: la persistenza di contenuti che non si cancellano mai, l’anonimato dei bulli che si nascondono dietro nickname falsi, e l’amplificazione virale di un video che può rovinare una vita in ore. Ogni click conta, e ferisce più di uno schiaffo che passa inosservato.

I numeri non mentono e sono da brividi: secondo i dati Istat, più di 1,7 milioni di adolescenti – circa uno su tre – ha subito almeno un episodio online nel 2023, con i maschi che superano le femmine di 7 punti percentuali. Le forme più comuni di tortura digitale? Offese e insulti al 23,5%, emarginazione sociale al 17,9% e diffamazione all’8%. E non finisce qui: per quasi un terzo (30,1%), questi attacchi si estendono offline, creando un circolo vizioso di violenza. Peggio ancora, un adolescente su dodici (7,8%) è vittima ripetuta, con i maschi ancora in testa all’8,9% contro il 6,6% delle femmine.

Ma la situazione è esplosiva per i ragazzi stranieri, che pagano un prezzo ancora più alto: quasi quattro su dieci hanno subito cyberbullismo, con gli ucraini in cima alla lista al 44,5% (praticamente uno su due), seguiti da cinesi e rumeni al 42,8%, marocchini al 36,% e albanesi al 35,2%. Rumeni e ucraini sono i più a rischio sia online che offline, mentre cinesi, albanesi e marocchini subiscono di più sul digitale. E il divario di genere? Tra gli albanesi, i maschi arrivano al 39,5% contro il 30,2% delle femmine; per le ucraine femmine, è il 47,8% dei casi, e per le cinesi addirittura il 41,2%. Dietro questi numeri, ci sono vite reali distrutte: ansia, isolamento e autostima a terra. Se sei una vittima, non reagire d’istinto – salva le prove con screenshot, blocca i colpevoli e confida in un adulto. Ma diamoci una mossa: serve educazione digitale vera, empatia e consapevolezza, perché la rete non perdona, ma possiamo usarla per fare del bene invece che per distruggere.

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Gli umani sono stati surclassati da 5 animali velocissimi in una classifica tra terra, mare e cielo

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Svelato: Gli animali che battono le Ferrari e i jet! Dal falco pellegrino che piomba come un razzo a 320 km/h, al ghepardo che scatta da 0 a 100 in 3 secondi – meglio dei nostri giocattoli su ruote. Chi è il vero re della ? Preparatevi a invidiare la natura! #AnimaliVeloci #RecordNatura #VelocitàFolli

In un mondo dove la velocità è una questione di vita o morte, l’evoluzione ha creato delle “macchine biologiche” che fanno sembrare le nostre auto e barche giocattoli da bambini. Immaginate prede e predatori in una corsa folle: il falco pellegrino domina i cieli con picchiate a oltre 320 km/h, il ghepardo sfreccia nelle savane a 120 km/h, e poi ci sono i campioni degli oceani e degli insetti che vi lasceranno a bocca aperta. Chi pensava che l’uomo fosse il più veloce si sbaglia di grosso – questi bestioni mettono in ridicolo la nostra .

Il Re del cielo: il falco pellegrino – oltre i 300 km/h

Il falco pellegrino (Falco peregrinus) non è solo l’uccello più veloce, ma l’animale più veloce del pianeta, schiantandosi in picchiata a più di 320 km/h – e ci sono avvistamenti che sfiorano i 380 km/h, superando persino il record di Formula a 372 km/h di Juan Pablo Montoya nel 2005 a Monza. Con il suo corpo robusto e aerodinamico, piumaggio grigio-ardesia e ali da uragano (apertura alare fino a 110 cm), questo predatore domina tutti i continenti, preferendo falesie e montagne per i suoi nidi. Mentre noi umani ci vantiamo dei nostri aerei, questo falco fa sembrare i nostri voli da polli.

Esemplare di falco pellegrino (Falco peregrinus) su un trespolo.

L’animale terrestre più veloce: il ghepardo – 115 km/h

Il ghepardo (Acinonyx jubatus), con il suo mantello maculato da cattivo ragazzo, è il re della terraferma, sfrecciando a oltre 100 km/h fino a 115 km/h, e accelera da 0 a 100 in soli 3 secondi – una Ferrari F80 ci mette ,2 secondi, ma chissenefrega, questo felino è puro caos. Peccato che la sua furia duri solo 400 metri, poi deve fermarsi per riprendere fiato, con quelle zampe lunghe, la spina dorsale flessibile e artigli che gripano come pneumatici da rally. Abita le savane africane, ridicolizzando qualsiasi auto sportiva che osa sfidarlo.

Ghepardo (acinonyx jubatus) durante la corsa.

L’antilocapra americana: la maratoneta delle praterie – 90 km/h

L’antilocapra americana (Antilocapra americana) non arriva ai 100 km/h come il ghepardo, fermandosi “solo” a circa 90 km/h, ma è un maratoneta nato, capace di mantenere velocità pazzesche per chilometri grazie a un cuore e polmoni sovrumani e zoccoli ammortizzanti. Come l’unico sopravvissuto della sua antica famiglia di ruminanti, regna sulle praterie del Nord America, dimostrando che a volte è meglio la che lo sprint – prendi nota, umani con le vostre maratone da dilettanti.

L’antilocapra americana nel suo habitat naturale.

Il pesce vela del Pacifico: il proiettile da 110 km/h degli oceani

Negli oceani, dove misurare la velocità è un incubo, il pesce vela del Pacifico (Istiophorus platypterus) e il suo rivale marlin nero (Istiompax indica) si contendono il titolo a 110 km/h – per fortuna, sott’acqua non ci sono multe! Con un corpo idrodinamico lungo fino a 3 metri e una “vela” dorsale per stabilità, questo gigante nuota negli oceani Atlantico e Pacifico, rendendo ridicole le barche più veloci. Se pensavate che l’acqua rallenti le cose, pensateci di nuovo.

Un pesce vela (Istiophorus platypterus) durante una battuta di caccia.

La libellula: il velocista del mondo degli insetti – 100 km/h

Nel mondo degli insetti, dove tutto è un lampo fulmineo, la libellula (Austrophlebia costalis) è la star, con scatti a oltre 50 km/h e picchi di 100 km/h – anche se i tafani osano sfidarla arrivando a 140 km/h. Il coleottero tigre della famiglia Carabidae è un campione in proporzione, correndo a 2,5 m/s, ma la libellula con le sue quattro ali indipendenti è un’acrobata letale. Vive vicino a fiumi e stagni in tutto il mondo, dimostrando che dimensioni non significano tutto – prendi esempio, umani con i vostri droni lenti. ,,

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I piloti di F1 vengono ingannati dalle curve di Tarzan e dalle sopraelevate basate su Fibonacci nel circuito olandese di Zandvoort

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Zandvoort: Il Tracciato Ribelle del GP d’Olanda Che Fa Impazzire i Piloti!
Preparatevi per il caos epico al GP d’Olanda: Zandvoort, la bestia del Mare del Nord, torna in pista con curve da brividi e vento che gioca a fare il bullo. Domenica 31 agosto, 72 giri di follia a 306,5 km, con il nostro “padrone” di casa Max Verstappen che potrebbe dominare – o scivolare sulla sabbia! #F1 #ZandvoortGP #MaxMania #Formula1Drammatica

Zandvoort, quel tracciato olandese vecchio stile ma sempre letale, è tornato a ruggire nel Mondiale di Formula dopo 36 anni di esilio, grazie alla popolarità del fenomeno locale Max Verstappen e qualche ritocco moderno. Inaugurato nel 1948, questo gioiello di 4.259 metri è un incubo su ruote con le sue curve sopraelevate – la curva 3 e la curva 14, entrambe con un banking oltre i 18° – che sfidano la fisica e i nervi dei piloti. Aggiungete il vento del Mare del Nord che porta sabbia sull’asfalto, riducendo il grip e trasformando ogni giro in una lotteria rischiosa, e avrete il mix perfetto per un gran premio che fa sudare le F1. Non dimentichiamo il giro record in gara di Hamilton nel 2021: 1’11″097 a una velocità media di 216 km/h – roba da eroi o folli!

Questo circuito “old style” è una trappola stretta e pietà: niente super rettilinei per sorpassi facili, solo curve impegnative e pochissimi spot per azzardare manovre audaci, proprio come all’Hungaroring. La qualifica del sabato? Cruciale, altrimenti siete fregati! All’72% del giro, l’acceleratore è a tavoletta tra le 14 curve (10 a destra, 4 a sinistra), con il DRS utilizzabile in due brevi tratti, ma i sorpassi rimangono una rarità – nel 2023, il meteo pazzo ha regalato 186 sorpassi, contro i miseri 23 dell’anno prima. Solo due curve sono piatte, le altre hanno un banking da 3° a 19°, con la curva 3 (Hugenholtzbocht) che segue addirittura la sequenza di Fibonacci fino al 35% – un trip da ingegneri!

Il giro parte dal rettilineo dei box, dove le monoposto sfrecciano a 330 km/h in ottava, poi la curva 1 (Tarzanbocht) frena di brutto con 4,5 G, scendendo a 122 km/h in 116 metri. Segue la sequenza folle delle curve 4-5-6 in pieno gas, dove grip e aerodinamica decidono chi vince o piange. Nel secondo settore, la curva 7 (Scheivlak) a quasi 300 km/h è un killer, mentre la curva 9 frena con 3,9 G. Il terzo settore culmina nella chicane 11-12, con frenate da 142 kg sul pedale, e la curva 14 a 18° di banking lancia i piloti verso il rettilineo per sorpassi epici. Per fortuna, i freni non soffrono troppo: Brembo dà un indice di 3 su 5, con solo il 17% del giro in frenata.

Per le strategie, Zandvoort è un rompicapo: assetto da medio-alto carico per domare le curve veloci, ma attenzione alle , specie quelle anteriori, stressate dalle sopraelevate di curva 3 e 14. Il degrado termico è una bestia, complicato dal vento e dalla sabbia che abbassano l’aderenza. Pirelli, in festa per la 500ª gara, porta mescole più morbide (C2 Hard, C3 Medium, C4 Soft) per spingere strategie aggressive a due soste, anche se una sosta resta la più veloce grazie al limite pit lane salito a 80 km/h. L’undercut può funzionare, ma evitate il traffico o perderete secondi preziosi – e l’asfalto “Flying Dutch” è studiato per grip e drenaggio, anche sotto la pioggia.

Ora, i numeri che fanno : Zandvoort è leggendario, con Jim Clark al top con 4 vittorie, Ferrari a 8 successi, e Max Verstappen a 3 pole position (appaiato a René Arnoux). Podi per Clark e Lauda a 6, e record come il giro in gara di 1’11″097 di Hamilton e in qualifica 1’08″885 di Verstappen. Qui, piloti come Ascari hanno vinto per la prima volta nel 1952, Hunt nel 1975, e Lauda ha salutato con l’ultima vittoria nel 1985. Un tracciato che non perdona, ma regala momenti epici – chissà cosa combinerà quest’anno!

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La superficie di 970 km² è occupata dall’isola artificiale più grande del mondo, imposta nei Paesi Bassi in un’ambiziosa sfida alla natura.

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Siete pronti per l’assurdità ingegneristica dei Paesi Bassi che hanno prosciugato il mare per creare Flevopolder, la più ENORME isola artificiale del mondo con i suoi 970 km²? Questa roba è un pugno in faccia alla natura, situata vicino ad Amsterdam e nata da argini e dighe folli! #Flevopolder

Ma pensateci: i Paesi Bassi, sempre lì a sfidare le onde del Mare del Nord, hanno trasformato un antico golfo in un paradiso artificiale. Flevopolder non è solo la più grande isola mai costruita dall’uomo, ma anche un polder prosciugato e bonificato, con il nome che rimanda al lago Flevo dell’epoca romana – roba che fa impallidire persino le storie di Noè!

L’intera follia è iniziata nel 1924 con la diga Amsteldiep, che ha collegato l’Olanda Settentrionale all’isola di Wieringen, e poi boom: nel 1932 arriva l’Afsluitdijk, una mostruosità di 32 km che ha isolato lo Zuiderzee trasformandolo nell’IJsselmeer, un lago d’ dolce. Non male per un popolo che sembra odiare l’acqua tanto quanto la ama!

Oggi, Flevopolder è al centro dell’IJsselmeer, circondata da laghi come Markermeer, Ketelmeer, Veluwemeer e Gooimeer, e insieme a Noordoostpolder e Urk la provincia di Flevoland – la più giovane dei Paesi Bassi, nata nel 1986. Con città come Almere e Lelystad, ospita circa 400.000 abitanti, e gran parte del territorio è a 5 metri sotto il livello del mare, protetta da sette stazioni di pompaggio che tengono a bada le infiltrazioni come guardie armate contro l’oceano!

Queste stazioni, sparse lungo la costa, sono il vero eroe della : di loro, tutta questa terra strappata al mare tornerebbe al mittente in un baleno. Chiamatelo miracolo o incoscienza, ma Flevopolder dimostra che gli umani possono giocare a fare Dio – con un po’ di rischio in più!
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La storia e l’evoluzione della Via Lattea riscritte dall’esplosione di una supernova dimenticata di Calvera

Siete pronti a sfatare miti stellari? Una stella di nome Calvera ha deciso di fare un’esplosione epica ai confini della Via Lattea, dove nessuno se l’aspettava, dando una lezione ai sapientoni degli astronomi! Grazie a INAF e UniPalermo, questa bomba cosmica potrebbe ribaltare tutto sulla nostra galassia.

Mai dare per scontato l’universo, perché Calvera ce lo dimostra alla grande: questa stella è esplosa migliaia di anni fa ai margini della Via Lattea, proprio dove gli astronomi giuravano che roba del genere non poteva succedere. “vicino” (per le distanze cosmiche), ma lontanissimo dalle zone affollate, questa scoperta guidata dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dall’Università degli Studi di Palermo potrebbe stravolgere le nostre idee sull’evoluzione galattica.

A più di 6500 anni luce sopra il piano della Via Lattea, dove lo spazio è più vuoto di una promessa elettorale, Calvera – ispirata all’antagonista di “I Magnifici 7” – sta riscrivendo le regole come un fuorilegge. È un resto di supernova con una pulsar in fuga, un duo cosmico che sfida le teorie stellari e fa tremare i banchi degli accademici.

Nel 2022, il radiotelescopio Lofar ha individuato una struttura circolare che sembra un’esplosione stellare, lontana dal solito caos galattico. Accanto, c’è la pulsar Calvera, nota per la sua emissione nei raggi X, e indovinate? “fuga” dal centro dell’esplosione, come se stesse scappando da un disastro. Questo legame tra i due oggetti dipinge un quadro di una stella massiccia che è saltata in aria, lasciando gas in espansione e una neutroni in libera uscita.

Ora, i ricercatori hanno scandagliato i dati da Xmm-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Analizzando il gas caldo nel resto di supernova, unendo il moto della pulsar e altre info, hanno calcolato distanze tra 13.000 e 16.500 anni luce, con un’età di 10.000-20.000 anni. Tutto quadra, rafforzando l’idea di un’origine comune.

“Le stelle massicce, cioè con massa almeno otto volte più grandi del Sole, si formano quasi esclusivamente sul piano galattico, dove la densità del gas è più alta e favorisce la nascita stellare – spiega Emanuele Greco, primo autore dello studio – Trovarne i resti a simili distanze dal piano è estremamente raro. La nostra ha permesso di stimare con maggiore precisione la distanza, l’età e perfino le caratteristiche della possibile stella progenitrice che ha originato sia la pulsar Calvera che il suo resto di supernova”

Anche in queste zone “periferiche” rarefatte, dove pensavamo non ci fosse abbastanza casino per produrre gamma, Calvera dimostra il contrario. Strumenti come Xmm-Newton, Fermi/Lat e il Telescopio Nazionale Galileo rivelano plasma a milioni di gradi, grazie a urti che incontrano addensamenti locali. Insomma, nelle zone desolate della galassia, possono accendersi fuochi d’artificio stellari che cambiano la narrazione sull’evoluzione della Via Lattea.

E non è solo trivia: questa roba, pubblicata su Astronomy & Astrophysics, potrebbe farci riscrivere i libri di cosmica. Fonti: INAF / Astronomy & Astrophysics.

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Scienziati rivelano campo idrotermale sottomarino Kunlun nel Pacifico come potenziale serbatoio di idrogeno, ignorando le critiche ambientali

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Scoperta Shockante: I Cinesi Trovano un Mostro Sottomarino che Erutta Idrogeno Come un Geiser Impazzito!
Ehi, gente, preparatevi a un colpo di scena epico! Scienziati dell’Istituto di Oceanologia Cinese hanno appena svelato un gigantesco campo idrotermale chiamato Kunlun nel Pacifico occidentale, a 80 km dalla Fossa di Mussau, vicino alla Nuova Guinea. Quest’affare è 100 volte più enorme del famoso Lost City scoperto nel 2000, con 20 crateri enormi che sputano idrogeno come se il pianeta stesse cercando di darci una lezione su come fare pulita. Pensateci: questo gas potrebbe aver dato il via alla vita sulla Terra, e ora è come una miniera d’ sottomarina – o forse una bomba ad orologeria! #Kunlun #IdrogenoRivoluzione #ScienzaCheFaNews

Ma andiamo al sodo: questo Kunlun non è solo un buco nell’, è una zona di subduzione dove la placca Caroline sprofonda sotto quella del Pacifico, creando fratture che fanno esplodere l’idrogeno come fuochi d’artificio subacquei. I ricercatori, armati di ecoscandagli e sommergibili high-tech, hanno mappato 20 depressioni da brividi, con diametri fino a .800 metri e profondità oltre i 100 metri – roba che fa sembrare le nostre buche stradali una passeggiata. E non parliamo dei frammenti rocciosi sparsi ovunque, prove di esplosioni violente che hanno dato vita a tutto ciò. Insomma, Madre Natura non bada a maniere, eh?

Passando al come si è formato questo casino, beh, l’idrogeno esce da processi tipo la serpentinizzazione – roba da pazza dove l’acqua marina incontra rocce calde del mantello, ossidando l’olivina e liberando gas a tonnellate. Risultato? Flussi di idrogeno pazzeschi, stimati in 4,8 × 10^11 mol all’anno, che bastano per coprire il 5% della produzione globale abiotica. E chissenefrega delle vecchie teorie: chi l’avrebbe detto che l’idrogeno si genera anche lontano dalle dorsali oceaniche? Studiarlo è oro per l’energia pulita, anche se i politici continuano a chiacchierare invece di agire.

Infine, non dimentichiamo la parte creepy: in questo abisso profondo, tra gamberetti, anemoni e vermi, c’è una biodiversità da far impallidire Netflix. Si pensa che l’idrogeno abbia kick-started la vita sulla Terra, alimentando i primi microbi – e magari pure su Marte o altrove. Insomma, un reminder che il nostro pianeta è un laboratorio vivente, e se non lo trattiamo bene, potrebbe esplodere come Kunlun! Chi l’avrebbe mai detto che il fondo dell’oceano è più eccitante di un reality show? 😏

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