back to top
Home Blog Pagina 329

Lavoro fatto da una forza variabile

0

svolto da una variabile

Se si desidera determinare il lavoro compiuto da una forza variabile, è necessario possedere una conoscenza più ampia rispetto a quella richiesta nel caso in cui la forza sia costante.

Nel caso in cui la forza sia costante e sia parallela e concorde allo spostamento, la componente della forza nella direzione dello spostamento è uguale alla forza stessa. In tal caso, il lavoro compiuto è la moltiplicazione del modulo della forza per la distanza percorsa dal corpo, quindi W = F · x.

Tuttavia, se la forza e lo spostamento non sono nella stessa direzione, è necessario considerare la componente della forza lungo la direzione dello spostamento. In presenza di un angolo θ tra la forza e lo spostamento, il lavoro sarà W = F · x · cos θ.

Grafico e calcolo del lavoro

Per calcolare il lavoro compiuto da una forza variabile, si può prendere in considerazione un grafico che mostri la variazione della forza in funzione della distanza percorsa.

La determinazione del lavoro fatto avviene dividendolo in una serie di piccoli intervalli Δx, in cui la forza può essere considerata costante, e quindi il lavoro compiuto sarà ΔL = F ·Δx.

Successivamente, per ottenere un’approssimazione migliore, si può diminuire l’intervallo Δx. Infine, facendo tendere Δx a zero, si ottiene il lavoro tramite il limite Δx → 0 di Σ F ·Δx, esteso da xi a xf.

Il lavoro potrebbe essere numericamente uguale all’area sottostante la curva della forza compresa tra xi e xf.

Esempio pratico

Ad esempio, prendiamo in considerazione una molla di lunghezza 30 cm, a cui viene applicata una forza di 50 N, tale forza produce un allungamento della molla da 30 cm a 35 cm. Per calcolare il lavoro necessario per allungare la molla da 32 a 36 cm, bisogna calcolare l’integrale definito da 0.02 a 0.06 di  1000 x in dx, dove 1000 è la costante della molla ottenuta dalla applicata precedentemente.

Dopo aver eseguito i calcoli algebrici, si ottiene un valore finale di 0.0016 J.

In conclusione, per determinare il lavoro compiuto da una forza variabile, è necessario considerare la variazione della forza in funzione dello spostamento e calcolare l’integrale in base alle limitazioni specificate.

Il secondo principio della termodinamica e le macchine termiche

Il Secondo Principio della Termodinamica e le Macchine Termiche

Il primo principio della termodinamica, attraverso la definizione di , fornisce indicazioni sugli scambi di tra un sistema chimico e l’esterno, senza però offrire informazioni sul rendimento di una reazione e sulla sua spontaneità.

Il secondo principio della termodinamica, frutto di intense ricerche sulle macchine termiche sviluppatesi nell’Ottocento, riguarda i dispositivi attraverso i quali un fluido (gas o vapore) viene sottoposto a una trasformazione ciclica. Durante il ciclo termico, il viene scambiato dalla macchina con delle sorgenti esterne.

Enunciati

A differenza del primo principio, il secondo principio afferma che non è possibile trasformare integralmente il calore assorbito in meccanico. Inoltre, è impossibile che avvenga un processo naturale il cui unico effetto sia il trasferimento di calore dal corpo più caldo a quello più freddo. Per trasformare l’energia termica in energia meccanica, sono necessarie due sorgenti di calore: una a temperatura maggiore e l’altra a temperatura minore. Collegando tali sorgenti con una macchina termica, è possibile ottenere energia meccanica durante il trasferimento spontaneo del calore dalla sorgente più calda a quella più fredda. La macchina termica cessa di funzionare quando le temperature delle due sorgenti diventano uguali, richiedendo continuamente l’apporto di calore alla sorgente più calda.

Lavoro

Il lavoro utile ottenuto grazie alla trasformazione corrisponde alla variazione di energia libera ΔG tra lo stato finale e iniziale, mentre la frazione di energia termica non utilizzata viene dispersa nella sorgente fredda, aumentandone la temperatura. Il rendimento η della macchina è sempre inferiore a uno, rappresentando il rapporto tra il lavoro utile e la quantità totale di energia coinvolta per produrlo.

Principio di Carnot

Carnot, nel 1824, basò il suo approccio alle macchine termiche sull’analogia con le macchine idrauliche, stabilendo che il rendimento di una macchina termica è dato dal rapporto tra la quantità di lavoro calcolato e il lavoro teoricamente ottenibile. Ciò rappresenta un altro modo di esprimere il secondo principio della termodinamica.

Rendimento

Come esemplificato nella tabella, la maggior parte dell’energia non viene trasformata in lavoro utile dalla macchina, confermando che il rendimento è sempre inferiore a 1.

Conclusione

In generale, la macchina termica sfrutta il passaggio di calore a cascata, dalle sorgenti a temperatura maggiore a quelle a temperatura minore, simili a due livelli di energia potenziale. Questo di trasferimento di energia si verifica anche nelle macchine elettrochimiche e nelle reazioni biochimiche, dove si verifica un’ulteriore cascata di energia durante il processo di produzione di lavoro.

In conclusione, il secondo principio della termodinamica offre importanti informazioni sul funzionamento delle macchine termiche e sul rapporto tra energia termica e lavoro utile ottenuto.

Plasma accoppiato induttivamente

Plasma Accoppiato Induttivamente (ICP): Funzionamento, Vantaggi e Applicazioni

Il plasma accoppiato induttivamente, noto come ICP dall’acronimo inglese Inductively Coupled Plasma, è un metodo di che ha visto la sua dal 1974.

Questa tecnica presenta caratteristiche che spesso vengono paragonate a quelle degli spettrofotometri ad . Tuttavia, rispetto a questi ultimi, che operano con una temperatura di eccitazione della fiamma aria-acetilene compresa tra i 2000 e i 3000 K, la temperatura necessaria per generare un plasma di argon è tra 5000 e 7000 K. Il plasma, definito come il quarto stato della materia, è costituito da un gas ionizzato e globalmente neutro, composto da ioni ed elettroni. L’uso del gas inerte rende più difficile la generazione di ossidi e nitruri.

Funzionamento del Plasma Accoppiato Induttivamente

L’analita presente in soluzione viene introdotto in un nebulizzatore, dove viene convertito in un aerosol. Questo viene trasportato al plasma, dove gli elettroni, a causa dell’energia termica, passano dallo stato fondamentale a quello eccitato. Quando essi ritornano allo stato fondamentale, emettono una radiazione caratteristica, effettuando un salto quantico da un livello energetico discreto a un altro. Tale radiazione è rilevata e convertita in un segnale elettrico che consente di risalire al tipo di analita e alla sua concentrazione dopo la costruzione di una .

Vantaggi e Applicazioni del Plasma Accoppiato Induttivamente

Il plasma accoppiato induttivamente offre numerosi vantaggi, tra cui:
– Alta sensibilità, con la capacità di rilevare elementi in quantità minime con un limite inferiore di rilevamento dell’ordine di 10 ppb.
– Possibilità di effettuare sequenziale di più elementi.
– Scarsità di interferenze.
– Ampia regione di linearità della curva di calibrazione.
– Elevato numero di elementi determinabili difficilmente analizzabili con altre tecniche, tra cui zirconio, tantalio, fosforo, boro e gli elementi delle terre rare.

Questa tecnica è adatta a numerosi settori, tra cui quello ambientale, metallurgico, geologico, petrolchimico e farmaceutico. La sua elevata sensibilità e la capacità di rilevare elementi in tracce la rendono estremamente versatile per una vasta gamma di applicazioni analitiche.

Esercizi sulla legge di Hooke

0

La : svolti e spiegati

La legge di Hooke è un principio fondamentale in fisica che descrive il comportamento elastico dei corpi sottoposti a sforzi. Questa legge afferma che c’è una relazione lineare tra la esercitata su una molla e l’allungamento o la compressione della stessa. In termini matematici, l’equazione che esprime questa legge è F = – kx, dove F rappresenta la forza applicata, x l’allungamento o la compressione della molla e k la della stessa.

Calcolo della forza

Un esempio di calcolo della forza applicata su una molla è il seguente: consideriamo una molla con costante elastica di 20 N/m e un allungamento di 25 cm. Convertendo i centimetri in metri e applicando la legge di Hooke otteniamo F = 20 N/m · 0.25 m = 5.0 N.

Calcolo della costante elastica

Per calcolare la costante elastica di una molla quando è applicata una certa forza, possiamo utilizzare l’equazione k = F/x. Ad esempio, se una molla si allunga di 10 cm quando è applicata una forza di 500 N, otteniamo k = 500 N / 0.10 m = 5000 N/m.

Calcolo dell’allungamento della molla

Un’altra situazione pratica riguarda il calcolo dell’allungamento di una molla se è applicata una determinata forza. Ad esempio, se una molla si allunga di 5 cm quando è applicata una forza di 20 N, possiamo calcolare l’allungamento della molla se è applicata una forza di 30 N. In questo caso, la costante elastica della molla vale k = F/x = 20 N/0.05 m = 400 N/m e l’allungamento della molla è x = F/k = 30 N/400 N/m = 0.075 m = 7.5 cm.

Esercizio avanzato

Infine, consideriamo un esercizio più complesso che coinvolge il calcolo del peso originale di una applicata a una molla. Se un peso applicato a una molla provoca un allungamento di 5 cm e aumentando di 60 N il peso posto inizialmente l’allungamento è di 15 cm maggiore, possiamo calcolare il peso originale. Risolvendo l’equazione otteniamo P = 3/0.15 = 20 N.

Questi esercizi forniscono un’ulteriore comprensione della legge di Hooke e della sua applicazione pratica nel calcolo delle forze, delle costanti elastiche e degli allungamenti delle molle.

ROS: specie reattive dell’ossigeno

Reactive Oxygen Species (ROS) e la loro incidenza sul corpo umano

ROS, l’acrònimo per le specie reattive dell’ossigeno, rappresentano molecole altamente reattive. Queste molecole, come l’idrossile, l’idroperossido e l’, sono radici libere e possono causare danni alle biomolecole del corpo umano.

Il radicale ossidrile e il suo impatto

Il radicale ossidrile è una delle specie reattive dell’ossigeno più pericolose a causa della sua elevata capacità ossidante. Questa molecola può rimuovere o degradare facilmente molte molecole organiche, come acidi, alcoli, aldeidi, composti aromatici, ammine, eteri e chetoni. La sua formazione avviene da una soluzione acida contenente ferro (II) e perossido di idrogeno tramite la reazione di Fenton, la quale produce il radicale OH· il quale reagisce con i composti organici.

L’anione superossido e la sua formazione

L’anione superossido può formarsi durante l’ossidazione dell’emoglobina e viene prodotto dal sistema immunitario per combattere i microbi. Questo tipo di ROS può essere generato dalla catena respiratoria mitocondriale e dalla NADPH ossidasi. L’anione superossido svolge un ruolo cruciale nella respirazione e nella difesa immunitaria.

Ruolo degli antiossidanti e le difese del corpo umano

Il corpo umano ha sviluppato difese antiossidanti per proteggere le biomolecole vitali dai danni causati dai ROS. Gli antiossidanti possono agire direttamente sull’eliminazione dei ROS, inibire la loro formazione e riparare i danni causati da questi radicali. Esistono diversi tipi di antiossidanti, come la superossido dismutasi e la vitamina C.

Stress ossidativo e i danni alle biomolecole

Lo stress ossidativo si verifica quando i livelli di ROS superano la capacità delle difese antiossidanti del corpo umano. Questa condizione è associata a danni alle biomolecole, quali , lipidi e acidi nucleici. Lo stress ossidativo può provocare danni irreparabili alle cellule, causando gravi malattie croniche degenerative.

In sostanza, le ROS e lo stress ossidativo rappresentano uno dei principali meccanismi fisiopatologici di diverse malattie umane. Pertanto, è importante comprendere il ruolo di queste molecole reattive e adottare strategie per proteggere il corpo umano da potenziali danni.

Legame tra amminoacidi in una proteina

Il rapporto tra gli amminoacidi in una proteina

Il legame covalente tra due amminoacidi è noto come legame peptidico ed ha un carattere parziale di doppio legame.

Il legame peptidico è di tipo ammidico e connette due α-amminoacidi. Si forma quando il di un α-amminoacido reagisce con il di un altro α-amminoacido tramite una reazione di condensazione con l’eliminazione di una molecola di acqua.

I dipeptidi contengono un solo legame peptidico, mentre i peptidi, polipeptidi e sono composti da α-amminoacidi legati tra loro tramite un numero crescente di legami peptidici.

Risonanza e

Il gruppo ammidico è stabilito per risonanza grazie alla presenza del doppietto elettronico solitario sull’azoto e al doppio legame del . Questa stabilizzazione influisce sulla stabilità termodinamica e sulla capacità di formare legami a idrogeno.

La terza struttura di risonanza contribuisce alla lunghezza del legame carbonio-azoto, che è inferiore a quella di un legame singolo. Inoltre, questa struttura limita la libera rotazione intorno al legame carbonio-azoto, portando alla formazione di isomeri di tipo cis-trans.

L’isomero cis è stericamente impedito ed è quindi meno stabile dell’isomero trans.

L’ibridazione

Nel legame peptidico e ammidico, l’azoto è ibridato sp2 per poter condividere i propri elettroni di non legame con il gruppo carbonilico, formando un sistema di orbitali 2p paralleli che comprende azoto, carbonio e ossigeno. Questo porta a tre dei suoi atomi peptidici che giacciono sullo stesso piano.

In conclusione, il legame peptidico tra gli amminoacidi in una proteina è essenziale per la struttura e la funzione delle proteine stesse, contribuendo alla loro stabilità e alle loro proprietà di risonanza.

Il modello atomico di Rutherford o modello planetario

La scoperta del di

Il modello atomico di Rutherford, noto anche come , è stato pubblicato nel 1911, rappresentando uno dei risultati più significativi degli studi condotti dal chimico e fisico neozelandese naturalizzato britannico, premio Nobel per la Chimica nel 1908. Le ricerche di Rutherford si differenziarono da quelle di Thomson, che nel 1904 aveva ipotizzato un diverso modello atomico.

La ricerca delle interazioni tra radiazioni e atomi

Fin dal 1902, Rutherford intuì che l’osservazione dei fenomeni radioattivi avrebbe potuto fornire importanti informazioni sulla struttura atomica. Di conseguenza, iniziò a esaminare le interazioni tra le radiazioni emesse da elementi radioattivi e gli atomi. Si concentrò sullo studio del comportamento delle particelle-proiettili provenienti da sostanze radioattive quando interagivano con sottili fogli metallici, osservando il fenomeno dello scattering, ovvero la deviazione angolare delle traiettorie delle particelle cariche a seguito di urti con altre particelle.

L’

Tra il 1906 e il 1911, i fisici Hans Geiger e Ernest Marsden, diretti da Rutherford, condussero una serie di esperimenti di scattering. Utilizzarono particelle α, costituite da due protoni e due neutroni, anche note come nuclei di elio carichi positivamente (4He2+), come proiettili.

In un esperimento noto come “esperimento di Rutherford”, Geiger e Marsden fecero collidere un sottile foglio di oro con un fascio di particelle α emesse da un campione radioattivo. Dopo l’urto, la distribuzione angolare delle particelle α fu misurata conta le scintillazioni prodotte su uno schermo di solfuro di zinco.

I risultati dell’esperimento

I risultati ottenuti mostrarono che la maggior parte delle particelle α attraversava la lamina d’oro senza deviazioni significative, mentre alcune erano deviate ad angoli variabili e poche particelle rimbalzavano indietro fino al 180° rispetto alla direzione di incidenza.

Le conclusioni di Rutherford

Rutherford, basandosi sulla carica e sulla massa delle particelle α, e quindi sulla loro cinetica, ipotizzò che l’atomo dovesse possedere una struttura non uniforme caratterizzata da un nucleo centrale estremamente piccolo e denso, con una carica positiva concentrata. Gli elettroni, a loro volta, ruoterebbero intorno al nucleo come i pianeti intorno al Sole, bilanciando la carica positiva. Questa teoria, conosciuta come modello atomico nucleare o modello planetario, ha rappresentato un significativo passo avanti nello studio della struttura atomica.

Il modello atomico di Rutherford ha subito successivamente delle modifiche, ma l’idea fondamentale di un nucleo atomico denso e carico positivamente, bilanciato dagli elettroni, ha continuato a essere una base importante per la comprensione dell’atomo.

Esercizi sulla tensione di vapore di soluti volatili

: legge di Raoult e esercizi

Il chimico francese François-Marie Raoult, nel 1887, studiò le soluzioni e scoprì che le soluzioni ideali mostrano un’abbassamento della tensione di vapore, proporzionale alla quantità di soluto presente.

La legge di Raoult per soluzioni costituite da un soluto non volatile, come acqua e saccarosio, può essere espressa come:

p = p°X

Dove p è la tensione di vapore della soluzione, p° la tensione di vapore del solvente puro e X è la del solvente.

Se una soluzione è costituita da un soluto volatile, come una soluzione di e , la tensione di vapore è dovuta ad entrambi i componenti. La può essere espressa come:

p = p°AXA + p°BXB

Esercizi:

– Calcolare la tensione di vapore di una soluzione costituita da 1.40 moli di cicloesano e 2.50 moli di acetone sapendo che p° del cicloesano è 97.6 torr e p° dell’acetone è 229.5 torr.

Le moli totali sono pari a 1.40 + 2.50 = 3.90. Si calcolano le frazioni molari:
Frazione molare del cicloesano = 1.40/3.90 = 0.359
Frazione molare dell’acetone = 2.50/3.90 = 0.641
La tensione di vapore della soluzione è pertanto:
p = (97.6 · 0.359) + (0.641 · 229.5) = 182 torr

– Calcolare la tensione di vapore di una soluzione costituita da 252.0 g di n-pentano e da 1400 g di n-eptano a 20°C sapendo che, a questa temperatura p° del n-pentano è 420 mm Hg e p° del n-eptano è 36 mm Hg.

Calcolando le rispettive frazioni molari si ottiene:
Frazione molare del n-pentano = 3.49/17.5 = 0.200
Frazione molare del n-eptano = 14.0/17.5 = 0.800
La tensione di vapore della soluzione è pertanto:
p = (420 · 0.200) + (36 · 0.800) = 112.8 mm Hg

– Calcolare la frazione molare di benzene in una soluzione costituita da benzene e toluene sapendo che la tensione di vapore della soluzione è di 500 torr e che p° benzene è 745 torr e p° toluene è 290 torr.

La frazione molare del benzene è di 0.462.

Titolazione di cianuro di sodio con acido cloridrico

di con

La titolazione del cianuro di sodio può essere effettuata utilizzando l’acido cloridrico. Questa pratica coinvolge il calcolo del pH prima dell’inizio della titolazione, dopo l’aggiunta di una specifica aliquota di acido, al punto equivalente e dopo il punto equivalente. Inoltre, è necessario individuare l’indicatore più adatto per evidenziare il raggiungimento del punto finale della titolazione.

Esercizio

Un’aliquota di 50.00 mL di NaCN 0.0500 M è titolata con HCl 0.1000 M. (Ka di HCN = 9.1 · 10-10)

Calcolare il pH:
– prima di iniziare la titolazione
– dopo l’aggiunta di 10.00 mL di HCl
– al punto di equivalenza
– dopo l’aggiunta di 26.00 mL di HCl
– valutare l’indicatore più adatto per evidenziare il raggiungimento del punto finale della titolazione

Idrolisi

(a) Il cianuro di sodio si dissocia completamente in Na+ e CN. L’ione sodio non subisce idrolisi, mentre l’ione cianuro, dell’acido debole HCN, subisce idrolisi secondo l’equilibrio:
CN + H2O ⇄ HCN + OH
La costante di idrolisi Kb vale Kw/Ka = 1.0 · 10-14/9.1 · 10-10= 1.1 · 10-5. All’equilibrio, [CN] = 0.0500-x ; [HCN ]= [OH] = x. Il calcolo del pH ha fornito il valore di 10.2, con l’osservazione che il punto (a) viene trattato come un’operazione di idrolisi.

Soluzione tampone

(b) Dopo l’aggiunta di 10.00 mL di HCl, si ottiene un pH di 9.18.

(c) Al punto di equivalenza, il pH è pari a 5.26.

Acido Cloridrico in Eccesso

(d) Dopo l’aggiunta di 26.00 mL di HCl, il pH risulta essere di 2.88.

(e) Si suggerisce l’utilizzo del rosso metile come indicatore, dal momento che il suo intervallo di viraggio tra 4.4 e 6.3 copre il pH al punto equivalente, che è di 5.26.

Esercizio difficile sulle soluzioni tampone

Come calcolare i volumi delle
Gli esercizi sulle soluzioni tampone presentano diversi gradi di complessità, ma con la giusta strategia è possibile risolverli con successo. Prendiamo ad esempio il seguente esercizio: Si vuole preparare una soluzione tampone da 100 mL a pH 4.89 utilizzando una soluzione di acido acetico 0.200 M e una soluzione di acetato di sodio 0.250 M. Prima di procedere al calcolo dei volumi delle due soluzioni, è importante chiarire l’interpretazione del testo.

Interpretazione del testo
Nell’esercizio in questione si richiede di preparare una soluzione tampone unendo una soluzione di acido debole a concentrazione nota e una soluzione di a concentrazione nota. L’obiettivo è calcolare i volumi necessari delle due soluzioni per ottenere una soluzione tampone con pH 4.89.

Strategia
Per risolvere l’esercizio, possiamo applicare l’ (H-H):

pH = pKa + log [base coniugata]/[acido]

Considerando che il pKa per l’acido acetico è 1.80 x 10^-5, possiamo sostituire i valori noti nell’equazione e procedere con i calcoli.

La è definita come il rapporto tra le moli e il volume, quindi considerando che acido e base coniugata si trovano nella stessa soluzione (con volume 0.100 L), possiamo procedere con i calcoli e ottenere i volumi necessari delle due soluzioni per preparare la soluzione tampone.

La soluzione tampone richiesta avrà volume di 100 mL, quindi la somma dei volumi delle due soluzioni sarà pari a 0.100 L. Utilizzando questa informazione e seguendo i passaggi necessari, è possibile calcolare che il volume di acido acetico necessario è di 47.0 mL e il volume di acetato di sodio è di 53.0 mL.

In conclusione, seguendo la strategia corretta e calcolando con precisione i valori richiesti, è possibile risolvere con successo esercizi sulle soluzioni tampone.

Alogenuri: identificazione

Identificazione degli Alogenuri e Test di Riconoscimento

Gli alogenuri sono anioni monoatomici comunemente rappresentati come X e includono , e . L’identificazione di questi alogenuri avviene mediante specifici test che sfruttano le loro diverse proprietà chimiche. Gli alogenuri formano composti binari in cui l’alogeno ha un numero di ossidazione pari a -1.

Cloruri

La presenza di cloruri in composti come NaCl e KCl può essere confermata utilizzando diverse reazioni. Per esempio, l’aggiunta di acido solforico seguita da riscaldamento provoca la formazione di HCl e NaHSO4. Inoltre, la reazione con ammoniaca produce cloruro di ammonio. Un altro test prevede l’uso di biossido di e acido solforico che, per le sue proprietà ossidanti, trasforma il cloruro in gassoso di colore giallo-verde.

Un ulteriore test di riconoscimento dei cloruri prevede l’uso del bicromato di potassio e acido solforico concentrato seguito da riscaldamento. Questo produce vapor rossastri di cloruro di cromile. In seguito, l’aggiunta di idrossido di sodio reagisce con il cloruro di cromile formando cromato di colore giallo. Infine, l’aggiunta di acetato di piombo precipita il cromato di piombo di colore giallo.

Bromuri

Per i bromuri, la presenza viene confermata aggiungendo acido solforico al sale e riscaldando. Questo provoca la formazione di vapori marroni, dovuti al bromo ottenuto. Una reazione analoga si verifica anche utilizzando bromuro di sodio e acido solforico in presenza di biossido di manganese.

Ioduri

Infine, per gli ioduri, la presenza viene confermata mediante l’aggiunta di acido solforico al sale e riscaldando. Questo causa la formazione di vapori viola, dovuti all’iodio ottenuto. Allo stesso modo, la formazione di iodio avviene anche reagendo uno ioduro con bicromato di potassio in presenza di acido solforico.

In conclusione, questi test specifici sono utili per l’identificazione di cloruri, bromuri e ioduri, fornendo un metodo affidabile per la conferma della presenza di alogenuri nei composti chimici.

Metalli del blocco d: identificazione

Metalli del blocco d: caratteristiche e colori dei composti

I metalli del blocco d appartenenti al 4° periodo includono , titanio, vanadio, cromo, , ferro, cobalto, , e zinco. Essi presentano varie configurazioni elettroniche e numeri di ossidazione.

Configurazione e numeri di ossidazione

I numeri di ossidazione degli elementi del blocco d sono diversi. Ad esempio, il cromo può presentare numerosi valori di ossidazione, tra cui +1, +2, +3, +4, +5 e +6, mentre il manganese può avere valori da +2 a +7.

Colori degli acquoioni

I composti contenenti questi metalli, disciolti in acqua, possono formare complessi colorati. Ad esempio, il [Fe(H2O)6]3+ appare giallo-marrone, mentre il [Ni(H2O)6]3+ e il [Cu(H2O)6]2+ appaiono verdi e blu, rispettivamente.

Colore degli idrossidi

Aggiungendo idrossido di sodio a una soluzione contenente questi ioni si possono formare idrossidi colorati come il Cr(OH)3 verde, il Co(OH)2 rosa e il Fe(OH)3 marrone.

Complessi con cloruro e ammoniaca

Con l’aggiunta di concentrato si formano complessi colorati come il [FeCl4]2- verde e il [CuCl3]2- giallo. Inoltre, alcuni idrossidi possono formare complessi colorati con ammoniaca, ad esempio [Co(NH3)6]2+ (giallo) e [Ni(NH3)6]2+ (blu).

In conclusione, i metalli del blocco d presentano una varietà di colori nei loro composti che possono fornire utili informazioni sulla loro natura chimica.

è in caricamento