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I segreti dell’arte rinascimentale- Chimica

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I segreti della chimica nell’arte rinascimentale

Recenti ricerche condotte dal Karlsruhe Institute of Technology in Germania, pubblicate il 28 marzo su Nature Communications, hanno portato alla luce alcuni segreti riguardanti l’utilizzo dei colori da parte di artisti rinomati come Leonardo da Vinci e Sandro Botticelli.

Prima dell’avvento dei colori ad olio, ampiamente diffusi durante il Rinascimento, gli artisti facevano uso della tempera all’uovo, una tecnica conosciuta sin dall’antichità e utilizzata in diverse civiltà come la Cina, la Grecia micenea, l’Egitto e la Babilonia. I pittori italiani come Cennino Cennini descrissero i materiali e i metodi di lavorazione della tempera all’uovo.

La tempera all’uovo richiede l’utilizzo di tuorlo d’uovo, pigmento in polvere e acqua distillata. Questi ingredienti combinati creano un’ emulsione che forma un film protettivo superficiale, resistente all’acqua e che si asciuga rapidamente.

L’arte rinascimentale è caratterizzata dal passaggio dalla tempera all’uovo alla pittura ad olio su tela, con l’uso degli oli siccativi che ha permesso agli artisti di ottenere effetti ottici straordinari.

La tempera grassa, un’ emulsione costituita da uovo, olio siccativo e pigmento, è stata utilizzata da artisti come Giotto e Giovanni Bellini, offrendo la possibilità di preservare i colori nel alterazioni.

Uno studio condotto dai ricercatori ha evidenziato come i componenti presenti nell’emulsione a base di uovo e olio possano rallentare l’ossidazione che porta all’ingiallimento dei colori. Tuttavia, le sfide nell’identificare esattamente i materiali utilizzati dagli artisti rinascimentali rappresentano un ostacolo significativo.

L’arte rinascimentale italiana, con la sua straordinaria maestria e l’utilizzo innovativo delle tecniche pittoriche, costituisce un periodo di grande rilevanza storica e culturale, che continua ad essere ammirato e studiato ancora oggi.

Pulizia delle padelle antiaderenti

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Guida alla pulizia e cura delle padelle antiaderenti

Le padelle antiaderenti necessitano di cure speciali per garantirne una lunga durata. Queste padelle sono realizzate con materiali come il politetrafluoroetilene (PTFE), comunemente noto come , per evitare che il cibo si attacchi durante la cottura. Recentemente, sono state introdotte padelle rivestite in anodizzato, silice e smaltata, ma le più diffuse rimangono quelle rivestite in Teflon, grazie al loro costo contenuto e alla capacità di ridurre l’uso di grassi durante la cottura.

Queste padelle antiaderenti sono realizzate con diversi metalli, ma i più comuni sono l’ e l’alluminio. Sono sottoposte a una sabbiatura per ottenere una superficie irregolare che favorisce l’adesione del Teflon. Successivamente, vengono applicati da uno a sette strati di PTFE, e la qualità delle padelle aumenta con il numero degli strati. L’unico limite importante è la possibilità che lo strato di Teflon si sfaldi o si graffi.

I seguenti accorgimenti possono aiutare a prevenire danni alle padelle antiaderenti: evitare il surriscaldamento vuoto, utilizzare uno spargifiamma, e preferire utensili in gomma o silicone per evitare graffi. È preferibile lavare le padelle a mano e asciugarle con un panno morbido, e conservarle impilate con pentole o contenitori, coperte da un tovagliolo di carta o un panno morbido.

La pulizia delle padelle antiaderenti è semplice, grazie alla loro superficie antiaderente. È sufficiente usare sapone per piatti e una spugna per pulirle delicatamente. In caso di residui ostinati, evitare pagliette in acciaio o spazzole, e invece mettere a mollo la padella in acqua tiepida e sapone prima di pulirla delicatamente.

Se, invece, presentano residui di cibo bruciato, è possibile utilizzare il bicarbonato di sodio come abrasivo delicato. Mescolare bicarbonato e acqua per formare una pasta, applicarla sulla padella, strofinare con una spugna e risciacquare. Seguendo queste semplici linee guida, le padelle antiaderenti manterranno le loro proprietà e dureranno nel .

Assorbanza- Chimica analitica

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Assorbanza in : Misurazione e Applicazioni

L’assorbanza è la misura della capacità di una sostanza di assorbire la luce di una specifica . Il processo di assorbimento di energia è strettamente correlato alla struttura molecolare e alla quantità di energia assorbita, caratteristica della molecola stessa. Inoltre, le frequenze assorbite sono specifiche delle molecole. I moti traslatori e rotatori richiedono energie basse e corrispondono a frequenze nel campo delle onde radio e dell’estremo infrarosso. I moti vibratori richiedono energie più elevate, con frequenze nell’infrarosso medio e vicino, mentre i salti elettronici assorbono energie ancora maggiori, corrispondenti al campo del visibile e dell’ultravioletto.

Quando una radiazione luminosa incide su un mezzo trasparente, una parte viene riflessa e un’altra parte si rifrange nel mezzo. L’intensità di questa frazione diminuisce man mano che la radiazione si propaga, risultando in una minore intensità all’uscita.

La stabilisce una relazione tra l’estinzione e la concentrazione della sostanza disciolta, ed è alla base dell’analisi chimica quantitativa. Questa legge stabilisce una proporzionalità diretta tra l’assorbanza e la concentrazione della specie assorbente, dove a è una costante di proporzionalità chiamata assorbanza specifica, b è lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione espresso in centimetri e c è la concentrazione della sostanza assorbente nella soluzione. Nel caso in cui ci sia linearità tra assorbanza e concentrazione, si dispone di un metodo di analisi quantitativo per l’assorbimento nell’ultravioletto e nel visibile. Tuttavia, tale linearità è limitata a soluzioni diluite, e deviazioni dalla legge di Lambert-Beer possono verificarsi con il crescere della concentrazione.

L’analisi spettrofotometrica permette di misurare quanto una sostanza assorba la luce. La spettrofotometria è uno dei metodi più utili di analisi quantitativa in diverse aree scientifiche. La spettrofotometria visibile e ultravioletta si concentra nell’intervallo tra 190 nm e 2500 nm, e ha diverse applicazioni nell’analisi dei composti metallorganici, dei composti di coordinazione e dei composti organici. Le informazioni della spettrofotometria visibile risultano valide e diagnostiche per la determinazione di geometria del complesso e del numero di ossidazione.

In conclusione, la comprensione dell’assorbanza e le applicazioni della spettrofotometria fornirebbero fondamentali strumenti per l’analisi quantitativa e qualitativa in diversi campi della chimica.

Nomenclatura dei chetoni-esercizi

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Nomenclatura dei : guida dettagliata e esempi pratici

La nomenclatura dei chetoni è legata a quella degli alcani. I chetoni sono composti organici con una formula generale di RCOR’, che presenta un gruppo carbonilico in cui il carbonio è ibridato sp2. Per nominare i chetoni, si considera la catena più lunga contenente il gruppo carbonilico e la si numerata in modo che la sua posizione abbia il numero più basso possibile. Nei chetoni a tre o quattro atomi di carbonio, il numero che identifica la posizione del carbonio carbonilico non è utilizzato perché non esiste un posizionamento alternativo.

I nomi comuni dei chetoni sono formati nominando i gruppi alchilici legati al gruppo carbonilico e aggiungendo la parola “chetone”. Ad esempio, il chetone a tre atomi di carbonio è chiamato propanone, noto anche come acetone. Allo stesso modo, il chetone con quattro atomi di carbonio è chiamato butanone, anche se può essere indicato come etil-metilchetone.

Nel caso dei chetoni ramificati, si attribuisce al carbonio carbonilico il numero più basso possibile e si segue la numerazione fino alla ramificazione. Per esempio, un composto può chiamarsi 4-metil-3-esanone.

Quando una molecola presenta due o più gruppi funzionali, è necessario considerare la . Se nella molecola sono presenti gruppi funzionali che hanno una priorità minore rispetto a quella del chetone, il composto assume il nome del chetone. Ad esempio, un composto può chiamarsi 4-idrossi,2-pentanone.

Nei chetoni ciclici, il gruppo carbonilico è assegnato alla posizione e questo numero non è incluso nel nome. Un esempio di chetone ciclico è la cicloesanone.

In conclusione, la nomenclatura dei chetoni segue regole precise che tengono conto della struttura e della presenza di altri gruppi funzionali nella molecola. Con una corretta comprensione di queste regole, è possibile denominare correttamente tutti i tipi di chetoni incontrati in chimica organica.

Nomenclatura dei chetoni e dichetoni

Il cicloesanone, un composto chimico aromatico, assume il nome di 3-metilcicloesanone se è presente un sostituente, risultando così nella numerazione del carbonio carbonilico per garantire al sostituente il numero più basso possibile.

Analogamente, nel caso di chetoni aromatici, si numerano gli atomi di carbonio esterni al gruppo benzenico considerato sostituente. Quindi, ad esempio, 1-feniletanone è noto anche come .

Per quanto riguarda la nomenclatura di dichetoni, in presenza di due gruppi chetonici, la molecola assume il nome di dione o dichetone. Si assegna un numero a ciascun gruppo carbonilico e si assegna il nome sulla base del numero di atomi di carbonio seguito dal suffisso -dione.

Un esempio di questo è il 2,4-pentandione che assume appunto il nome di 2,4-pentandione.

Idrocarburi composti costituiti solo da carbonio e idrogeno

Gli idrocarburi: composizione e utilizzo

Gli idrocarburi sono una vasta gamma di composti organici costituiti esclusivamente da carbonio e idrogeno e hanno una formula generale CxHy. Questi composti sono presenti nel petrolio e nel gas naturale e vengono utilizzati per scopi diversi, come combustibili, lubrificanti e materie prime per la produzione di plastica, fibre, gomma, solventi, esplosivi e prodotti chimici industriali.

A seconda del tipo di legame tra gli atomi di carbonio, gli idrocarburi si classificano in tre categorie principali: saturi, insaturi e aromatici.

Idrocarburi saturi

Gli idrocarburi saturi, noti come alcani, hanno tutti gli atomi di carbonio ibridati sp3, il che significa che non ci sono legami doppi o tripli presenti. La loro formula generale è CnH2n+2 e possono essere sia lineari che ramificati, il che porta a diversi isomeri costituzionali con connettività diversa tra gli atomi di carbonio.

I punti di ebollizione degli alcani sono influenzati dal numero di atomi di carbonio presenti nella molecola: quelli con meno di cinque atomi di carbonio sono gassosi a temperatura ambiente, mentre quelli con più di venti atomi di carbonio sono generalmente solidi.

Gli alcani conducono solo limitate, come combustione, alogenazione e cracking, a causa della presenza di legami di tipo σ.

Idrocarburi insaturi

Gli idrocarburi insaturi, come gli alcheni, presentano legami doppi tra gli atomi di carbonio, mentre gli alchini hanno legami tripli. Questi composti conducono reazioni di addizione che comportano la rottura dei legami doppi o tripli.

Idrocarburi aromatici

Gli idrocarburi aromatici sono caratterizzati dalla presenza di uno o più anelli aromatici nella loro struttura, i quali condividono un totale di 4n+2 elettroni. Questi composti sono stabilizzati per risonanza e non conducono abitualmente reazioni di addizione, ma prevalentemente elettrofila aromatica.

In conclusione, gli idrocarburi sono una classe di composti molto versatile e fondamentale per numerose applicazioni industriali e quotidiane.

Tensioattivi molecole anfipatiche

Tensioattivi: Molecole Anfipatiche e Classificazione in Base alla Carica

I tensioattivi sono molecole anfipatiche con coda idrofoba e una testa idrofila che costituiscono un componente primario dei detersivi. Queste molecole sono in grado di modificare alcune proprietà chimico-fisiche delle soluzioni acquose, agendo sulle interfacce liquido-gas, liquido-liquido e liquido-solido. Inoltre, hanno la caratteristica di abbassare la di un liquido agevolando la bagnabilità delle superfici o la miscibilità tra liquidi diversi.

I tensioattivi possono essere classificati in due categorie in base alla carica, ovvero ionici e non ionici.

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I tensioattivi cationici sono caratterizzati dal fatto che la parte idrofoba della molecola porta una carica positiva quando il composto è disciolto in acqua. Sono impiegati come , agenti antistatici, brillantanti, inibitori della corrosione, disperdenti di particelle ed emulsionanti. Questi materiali sono stati introdotti per l’applicazione in prodotti farmaceutici, cosmetici, e in campo ambientale oltre che biologico.

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I tensioattivi anionici sono attualmente i tipi più utilizzati nella maggior parte delle formule detergenti e detergenti di uso quotidiano. La loro parte idrofila solubilizzante è costituita da un gruppo polare che risulta carico negativamente in soluzione acquosa. Questi tensioattivi sono ampiamente usati come detergenti, emulsionanti e solubilizzanti nell’industria cosmetica, come emulsionanti di pesticidi, nello smaltimento dei fanghi e nel trattamento delle acque reflue.

# Tensioattivi Non Ionici

I tensioattivi non ionici non hanno cariche quando sono solubilizzati in acqua. Sono disponibili in un’ampia varietà di differenti strutture chimiche e utilizzati nell’industria per le loro caratteristiche interessanti, come il basso costo, la non tossicità e la biodegradabilità.

# Tensioattivi Anfoteri

I tensioattivi anfoteri contengono sia anioni che cationi e hanno un pH caratteristico a cui la carica negativa è esattamente bilanciata dalla carica positiva. Possono essere permanenti o dipendenti dal valore del pH. Questi tensioattivi comprendono due gruppi principali, le e quelli a base di alchil imidazoline. Presentano caratteristiche uniche a causa della loro struttura molecolare come elevata solubilità in acqua, ampio intervallo isoelettrico, bassa concentrazione micellare critica, elevata stabilità della schiuma, bassa tossicità, eccellente biodegradabilità e bioattività.

Enantiomeri e diastereoisomeri a confronto

e : cosa sono e come si differenziano

Negli studi di isomeria, si distinguono due principali tipologie di : gli enantiomeri e i diastereoisomeri. Mentre gli isomeri strutturali si differenziano per le connessioni di ordine e legame, gli stereoisomeri differiscono nella disposizione spaziale delle strutture.

Gli enantiomeri, come le mani destra e sinistra, sono immagini speculari l’uno dell’altro e non sono sovrapponibili. Queste differenze diventano evidenti in presenza di altre molecole chirali o per l’interazione con enzimi che catalizzano biochimiche. I racemi, che sono miscele equivalenti di una coppia di enantiomeri, si formano spesso durante le reazioni che coinvolgono composti chirali.

Diversamente, i diastereoisomeri presentano due o più centri chirali e possono avere una configurazione R, S diversa in almeno uno degli stereocentri. Mentre gli enantiomeri hanno attività ottica e angoli di rotazione uguali ma opposti, i diastereoisomeri possono avere proprietà fisiche e chimiche diverse. Ad esempio, l’acido lattico rappresenta un esempio di enantiomero, mentre l’acido tartarico è un esempio di diastereoisomero.

Inoltre, gli enantiomeri non sono separabili per cristallizzazione, mentre i diastereoisomeri possono essere separati per .

In conclusione, mentre gli enantiomeri sono immagini speculari non sovrapponibili tra loro e hanno proprietà fisiche identiche tranne che per la capacità di ruotare la luce polarizzata, i diastereoisomeri hanno proprietà fisiche e chimiche diverse e possono essere separati per cristallizzazione frazionata.

Metabolismo dell’ammoniaca

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Il Metabolismo dell’Ammoniaca: Sua e Trasformazione in Sostanze Atossiche

Il metabolismo dell’ammoniaca è essenziale a causa della sua elevata tossicità anche a basse concentrazioni. Questa sostanza è un sottoprodotto importante del metabolismo degli , dei gruppi amminici di basi azotate come e pirimidine, nonché di altri composti azotati.

Si ritiene che l’ammoniaca sia generata nel tratto gastrointestinale dall’azione dei batteri sui substrati azotati e dalla deamidazione della glutammina nell’intestino tenue e crasso.

Poiché l’ammoniaca è una sostanza tossica, deve essere rimossa. Ciò avviene nel ciclo dell’urea, anche noto come ciclo di Krebs-Henseleit, durante il quale l’ammoniaca è trasformata in urea ed eliminata con le urine. La complessiva per la formazione di urea dall’ammoniaca è la seguente: 2 NH3 + CO2 + 3 ATP → NH2CONH2 + 3 ADP + H2O.

Formazione dell’Ammoniaca

Nei mammiferi, l’ammoniaca si forma a seguito della transaminazione seguita dalla deaminazione ossidativa del glutammato. In questo processo, l’ transaminasi e il glutammato transaminasi catalizzano il trasferimento di un gruppo amminico dagli amminoacidi per formare L-alanina dal piruvato e L-glutammato dall’α-chetoglutarato. Poiché l’alanina è anche un substrato per la glutammato transaminasi, tutto l’azoto proveniente dagli amminoacidi che danno luogo a transaminazione formano L-glutammato. Quest’ultimo è l’unico amminoacido che va incontro alla deaminazione ossidativa per dare ammoniaca.

L’ ammoniaca si forma anche a livello renale in cui vi sono concentrazioni particolarmente elevate di glutaminasi, un enzima mitocondriale appartenente alla classe delle idrolasi, catalizza la reazione di idrolisi: glutammina + H2O → glutammato + NH3.

Metabolismo dell’Ammoniaca

Il metabolismo dell’ammoniaca avviene tramite diverse vie:
– Reazione con α-chetogluatarato per riformare glutammato.
– Reazione con glutammato per formare glutammina.
– Ciclo dell’urea, che a livello epatico porta alla trasformazione dell’ammoniaca nella molecola atossica dell’urea, successivamente eliminata con le urine.

Nel primo stadio del ciclo dell’urea che avviene nei mitocondri, l’ammoniaca reagisce con il biossido di carbonio e si trasforma in carbamilfosfato: NH3 + CO2 + 2 ATP → carbamilfosfato + 2 ADP + Pi. La reazione avviene grazie all’enzima carbamilfosfato sintetasi appartenente alla classe delle liasi.

Idrossido di cromo (III)- Chimica

L’idrossido di cromo (III) – Caratteristiche, proprietà e utilizzo

L’idrossido di cromo (III) è un composto inorganico con formula Cr(OH)3 in cui il cromo ha un numero di ossidazione +3, conferendogli il caratteristico colore verde.

Solubilità


Questo composto è poco solubile in acqua e ha un prodotto di solubilità pari a .6 × 10-30. Si dissocia secondo l’equilibrio eterogeneo: Cr(OH)3(s) ⇄ Cr3+(aq) + 3 OH(aq).

Proprietà


L’idrossido di cromo (III) è gelatinoso e solubile in acidi minerali diluiti, producendo una soluzione blu o verde. È un composto anfotero, in grado di solubilizzarsi sia in acidi forti che in basi forti. In ambiente acido si forma il complesso esaacquocromo (III), mentre in ambiente basico si forma il metacromito. La solubilità è influenzata dal pH, con la minore solubilità registrata ad un pH compreso tra 7 e 10.

Sintesi


La sintesi di questo composto può avvenire per precipitazione dalla del cloruro di cromo (III) con idrossido di sodio, anche se un eccesso di NaOH porta alla solubilizzazione del precipitato. Un’altra via sintetica prevede l’utilizzo di una soluzione di bicromato di potassio in cui è fatta gorgogliare anidride solforosa, formando cromo (III) e solfato.


A temperature comprese tra 430 e 1000 °C, l’idrossido di cromo (III) subisce una decomposizione termica per dare ossido di cromo (III) e vapore acqueo. Inoltre, reagisce con l’acqua ossigenata in presenza di idrossido di sodio, formando cromato di sodio. Con l’acido nitrico, forma il nitrato di cromo.

Usi


L’idrossido di cromo (III) è impiegato nella formulazione di cosmetici, agenti coloranti per capelli, smalto per unghie, prodotti per la cura della pelle, prodotti per la pulizia, nella finitura dei metalli, conservazione del legno e come catalizzatore.

Queste sono le caratteristiche, proprietà e utilizzi principali dell’idrossido di cromo (III), un composto dal colore distintivo che trova impiego in svariate applicazioni industriali e cosmetiche.

Deidroalogenazione degli alogenuri alchilici- Chimica organica

La deidroalogenazione negli : reattivi e meccanismi

La deidroalogenazione è una che avviene a caldo in presenza di una base forte, come il KOH in un solvente alcolico, in cui un alogenuro alchilico si trasforma in un alchene.

Meccanismo della deidroalogenazione
Il meccanismo della deidroalogenazione coinvolge la rimozione di un idrogeno sul carbonio in β, la del doppio legame e l’espulsione dell’alogenuro. Questa reazione è una reazione di eliminazione e può avvenire attraverso i meccanismi E2 o E1.

Fattori che determinano il meccanismo
I fattori che determinano quale meccanismo avviene nella deidroalogenazione includono il tipo di base, il solvente e il tipo di alogenuro alchilico. Le basi forti favoriscono il meccanismo E2, mentre le basi deboli favoriscono quello E1. I solventi polari protici stabilizzano il carbocatione e favoriscono il meccanismo E1. Gli alogenuri alchilici primari danno luogo al meccanismo E2 a causa della scarsa stabilità del carbocatione.

Competizione con le
Le di sostituzione competono con quelle di eliminazione. Nel caso in cui il meccanismo avvenga in modo concertato, è possibile ottenere sia l’alchene che il prodotto di sostituzione.

Reazioni specifiche
Nel caso di alogenuri alchilici primari, se la base è di piccole dimensioni, il meccanismo SN2 compete fortemente con quello E1. Per esempio, facendo reagire il bromoetano con l’etossido di sodio in presenza di alcol a 55°C, si forma predominantemente il prodotto di sostituzione.

Nel caso di alogenuri alchilici secondari e terziari, il meccanismo prevalente è l’E2, soprattutto ad alte temperature. Inoltre, se è possibile formare due alcheni a seguito della deidroalogenazione di un alogenuro alchilico, si forma quello più sostituito.

La deidroalogenazione è un’importante reazione in chimica organica che permette la sintesi di alcheni a partire dagli alogenuri alchilici.

Esercizi di chimica analitica titolazioni (II)

di titolazioni

Nel campo della chimica analitica, è tipico affrontare esercizi volti a determinare quantitativamente il titolo di una specifica specie chimica. Tali esercizi, utili sia per valutare il proprio livello di preparazione che per la pratica quotidiana, sono di grande rilevanza. Di seguito, sono riportati due esercizi rappresentativi.

Esercizio : Determinazione della concentrazione di biossido di carbonio nell’aria

La concentrazione di biossido di carbonio presente nell’aria viene determinata utilizzando il metodo della retrotitolazione. Inizialmente, un campione di aria viene fatto gorgogliare in una soluzione che contiene idrossido di bario in eccesso, causando la precipitazione del carbonato di bario. Successivamente, l’eccesso di idrossido di bario viene retrotitolato con acido cloridrico. In un’analisi specifica, 3.50 L di un campione di aria vengono fatti reagire con 50.0 mL di una soluzione 0.0200 M di Ba(OH)2. L’eccesso di idrossido di bario viene quindi retrotitolato con 38.58 mL di una soluzione 0.0316 M di HCl. Lo scopo dell’esercizio è determinare la concentrazione molare di CO2.

Calcoli e risultati:
Le moli di idrossido di bario risultano essere 0.00100, mentre le moli di HCl che reagiscono con l’idrossido di bario sono pari a 0.00122, considerando il rapporto stechiometrico 1:2. Inoltre, le moli di idrossido di bario che hanno reagito con il biossido di carbonio risultano pari a 0.000390. Quindi, la molarità di CO2 risulta essere 0.000111 M.

Esercizio 2: Determinazione del grado di idratazione del solfato di ferro (II)

Un campione di solfato di ferro (II) idrato con massa pari a 12.18 g viene solubilizzato in una soluzione acquosa acidificata per acido solforico, e il volume finale risulta essere di 500.0 mL. Successivamente, un’ulteriore aliquota di 25.0 mL viene titolata con 43.83 mL di permanganato di potassio 0.0100 M. L’obiettivo dell’esercizio è determinare il grado di idratazione del sale.

Calcoli e risultati:
Dopo i calcoli necessari, si stabilisce che il solfato di ferro (II) è un eptaidrato, poiché il rapporto tra il peso molecolare del composto e quello del solfato di ferro (II) anidro corrisponde a sette.

In questo modo, attraverso esercizi come quelli appena proposti, è possibile approfondire la comprensione della chimica analitica e acquisire maggiore confidenza nella risoluzione di problemi pratici legati al campo chimico.

Reazione di eliminazione E1cb- Chimica organica

di eliminazione E1cb nelle reazioni organiche

La reazione di eliminazione E1cb, nota anche come reazione di eliminazione unimolecolare con base coniugata, è un tipo di reazione in cui l’intermedio di reazione ha carica negativa.

Durante la reazione di eliminazione, due sostituenti vengono rimossi da una molecola, e se un alogenuro alchilico reagisce con un nucleofilo, si verifica una reazione di sostituzione nucleofila che può avvenire via SN1 o via SN2. Tuttavia, a seconda delle condizioni, la reazione che principalmente compete con la sostituzione nucleofila è una reazione di eliminazione, nella quale il nucleofilo attacca un idrogeno β piuttosto che il carbonio con di un alchene. Questo porta alla formazione di un legame doppio o triplo o di un anello.

Le seguono una cinetica del primo ordine e procedono attraverso un intermedio carbocationico; quindi, la specie di partenza deve contenere un gruppo uscente. Questo tipo di reazione avviene principalmente con specie che possono dare stabili come carbocationi terziari, benzilici o allilici.

Secondo la regola di Zaitsev, in una reazione di eliminazione che porta ad un alchene, l’alchene più sostituito viene formato in quantità maggiore ed è più stabile, quindi la reazione è controllata da un punto di vista termodinamico.

Se si opera in condizioni basiche e nella molecola sono presenti un debole gruppo uscente come –OH, -OR o NR3+ sul carbonio α e un idrogeno acido sul carbonio in β, allora avviene una reazione E1cb, ovvero una eliminazione unimolecolare con base coniugata.

Meccanismo della reazione E1cb

Nel primo stadio, che costituisce lo stadio lento, avviene la deprotonazione del carbonio β con formazione di un carbanione. Poiché l’ordine di stabilità relativa dei carbanioni è primario > secondario > primario, viene rimosso il protone dal carbonio meno sostituito, dando luogo alla formazione dell’alchene meno sostituito che viene detto prodotto di Hoffmann.

Fattori che favoriscono la reazione E1cb

Tra i fattori che favoriscono una reazione di eliminazione E1cb vi sono la presenza di cattivi , dimensioni della base e la presenza di un substrato ramificato.

La presenza di cattivi gruppi uscenti favorisce l’attacco della base sull’idrogeno acido sul carbonio in β, formando il carbanione invece che la fuoriuscita con formazione del carbocatione. Le dimensioni della base influenzano l’attacco selettivo dei protoni, mentre la presenza di ramificazioni nel substrato può favorire la formazione del prodotto di Hoffmann a causa dell’impedimento sterico.

In conclusione, la reazione di eliminazione E1cb gioca un ruolo significativo nella chimica organica e può essere influenzata da vari fattori, come gruppi uscenti e dimensioni della base.

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