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Acido nitroso: storia, proprietà, reazioni, sintesi, usi

Acido nitroso: un acido ternario instabile

L’acido nitroso è un acido ternario instabile con formula HNO2 che si trova solo in soluzione o sotto forma dei suoi sali conosciuti come nitriti (approfondisci sulla [nomenclatura degli acidi ternari](https://chimica.today/chimica-generale/nomenclatura-degli-acidi-ternari/)).

Scoperta e ricerche

Nel 1777, il chimico tedesco Carl Wilhelm Scheele distinse l’acido nitroso dall’acido nitrico, denominandolo come acido flogistico di azoto. Dimostrò che scaldando l’acido nitroso perdeva ossigeno, lasciando un sale deliquescente che si decomponva in un acido volatile a bassi valori di pH.

Si scoprì che esistevano due sali distinti, i nitriti e i nitrati. Il chimico britannico Henry Cavendish dimostrò la formazione di nitrito di argento facendo reagire il nitrito di potassio con una soluzione di nitrato di argento.

Proprietà dell’acido nitroso

L’azoto nell’acido nitroso ha un numero di ossidazione +3, intermedio tra i valori maggiore e minore, consentendo all’acido nitroso di agire sia come acido ossidante che riducente.

Agenti ossidanti come perossido di idrogeno, ione permanganato, ione cromato e ozono vengono ridotti mentre si trasforma in acido nitrico. Agenti riducenti vengono ossidati durante la trasformazione in monossido di azoto.

Reazioni tipiche

Alcune reazioni includono l’ossidazione dello stagno (II) a stagno (III), del biossido di zolfo in anidride solforica e dello ioduro in iodio secondo la seguente reazione:

2 I^- + 2 HNO2 → 2 OH^- + 2 NO + I2

Reazioni di Riduzione con Acido Nitroso

L’acido nitroso, oltre a produrre monossido di azoto dalla sua riduzione, può generare altri composti reattivi come l’azoto molecolare e il monossido di diazoto attraverso diverse reazioni.

# Reazioni con Altri Composti Organici

– L’urea, reagendo con l’acido nitroso, produce azoto, biossido di carbonio e acqua secondo l’equazione: CO(NH2)2 + 2 HNO2 → 2 N2 + CO2 + 3 H2O.

– L’idrazina, in presenza di acido nitroso, forma monossido di diazoto, ammoniaca e acqua: N2H4 + HNO2 → N2O + NH3 + H2O.

– L’acido idrazoico reagisce con l’acido nitroso generando monossido di diazoto, azoto e acqua: HN3 + HNO2 → N2O + N2 + H2O.

# Reazioni di Decomposizione

L’acido nitroso gassoso, se raramente presente, può decomporre in biossido di azoto, monossido di azoto e acqua secondo l’equazione: 2 HNO2 → NO2 + NO + H2O.

Metodi di Espansione

Può essere prodotto tramite diverse reazioni, tra cui:

– La reazione tra anidride nitrosa e acqua ghiacciata: N2O3 + H2O → 2 HNO2.

– La combinazione di nitrito d’argento e acido cloridrico: AgNO2 + HCl → HNO2 + AgCl.

– L’ossidazione dell’ammoniaca con perossido di idrogeno: NH3 + 4 H2O2 → HNO2 + 5 H2O.

– L’accoppiamento tra acido nitrico, monossido di azoto e acqua: HNO3 + NO + H2O → 3 HNO2.

Applicazioni

L’acido nitroso trova impiego nella produzione di sali di diazonio tramite la seguente reazione: HNO2 + ArNH2 + H+ → ArN2+ + 2 H2O. È anche utilizzato come reagente per distinguere le ammine primarie, secondarie e terziarie.

Idrogeno: metodi di preparazione

L’elemento più diffuso nell’universo è l’idrogeno, che si presenta in tre forme isotopiche: ^1H (98,9844%), conosciuto come Protio; ^2D (0,0156%), noto come Deuterio; e tracce di ^3H, chiamato Tritio. Con numero atomico 1 nella Tavola Periodica, l’idrogeno è un gas incolore, inodore, non tossico e infiammabile, essendo una molecola diatomica H2.

Henry Cavendish, chimico e fisico scozzese, nel 1766 identificò il gas prodotto dalla reazione tra un metallo e un acido come “aria infiammabile”. Scoprì che dalla combustione di questo gas si otteneva . L’idrogeno, il cui nome deriva dal greco (ὕδωρ e γεν), che significa generatore di acqua, può essere prodotto su scala industriale o in laboratorio.

Metodi di produzione dell’idrogeno

# dell’acqua

Per eseguire l’elettrolisi dell’acqua pura, è necessario aggiungere un elettrolita per aumentarne la conducibilità, poiché l’acqua pura è un cattivo conduttore. Durante questo processo, all’anodo avviene la semireazione di ossidazione 2 H2O → O2 + 4 H+ + 4 e– con E° = –1,23 V, mentre al catodo avviene la semireazione di riduzione 2 H2O + 2 e– → H2 + 2 OH– con E° = –0,828 V. La reazione complessiva è non spontanea: 2 H2O → O2 + 2 H2.

# Altri metodi di produzione

Reazione di spostamento del gas d’acqua

: avviene tra monossido di carbonio e acqua, catalizzata da Fe2O3 o Cr2O3: CO + H2O → CO2 + H2.

Gassificazione del carbone

: la reazione tra carbone e vapore acqueo a 1000°C produce CO + H2.

del gas naturale

: il metano reagisce con vapore acqueo tra i 700 e i 1100 °C, ottenendo CO + 3 H2.

Reazione tra idruri metallici e acqua

: l’idruro di metalli attivi reagisce con l’acqua, ad esempio: CaH2 + 2 H2O → Ca(OH)2 + 2 H2.

Reazione tra metalli e acido

: metalli reattivi come lo zinco reagiscono con acidi non come l’acido cloridrico per produrre idrogeno nell’: Zn + 2 H+ → Zn2+ + H2.

Calore latente: passaggi di stato, unità di misura, diagramma

Il concetto di calore latente rappresenta l’energia scambiata da una sostanza durante un passaggio di stato senza che vi sia variazione di temperatura. In altre parole, si tratta dell’energia termica necessaria per modificare lo stato di una sostanza senza influenzarne la temperatura.

Interpretazione del calore latente

Il termine “calore latente” fu introdotto da Joseph Black nel XVIII secolo, derivante dal verbo latino “lateo” che significa nascosto. Durante un passaggio di stato, come ad esempio da solido a liquido, l’energia immagazzinata nelle forze intermolecolari deve essere superata dall’energia cinetica delle particelle per consentire il cambiamento di fase.

L’entità del calore latente coinvolto dipende dal numero di legami e dall’energia di legame presenti: più legami ci sono, maggiore è il calore latente. Questa grandezza intensiva è determinata sperimentalmente per ciascuna sostanza e dipende dalla sua massa.

Formula e unità di misura

Il calore latente (L) è direttamente proporzionale all’energia scambiata durante un cambiamento di fase ed è inversamente proporzionale alla massa della sostanza, quindi: L = Q/m. L’unità di misura nel Sistema Internazionale è J/kg, ma può essere espressa anche in kcal/kg o cal/g a seconda dei casi.

Tipologie di calore latente

Esistono diverse tipologie di calore latente, in base al tipo di passaggio di stato. Le principali sono il calore latente di fusione, di e di . Ad esempio, nel passaggio da solido a liquido, la sostanza necessita di energia per superare le forze di attrazione del solido, mentre per tornare allo stato solido l’energia deve essere rimossa. Lo stesso principio si applica al passaggio da liquido a vapore.

Diagramma di riscaldamento

Graficando la temperatura della sostanza rispetto alla quantità di calore fornito, si ottengono delle curve di riscaldamento. Queste rappresentano l’andamento dell’energia necessaria durante i passaggi di fase e mostrano la costanza della temperatura in determinati intervalli.

In conclusione, il calore latente gioca un ruolo fondamentale nei processi di cambiamento di fase delle sostanze, determinando l’energia necessaria per superare le forze intermolecolari e permettere la trasformazione dello stato della materia.

Equilibrio fisico e chimico a confronto


Equilibrio fisico e chimico: definizioni e differenze

Nel contesto della chimica e della fisica, si parla di equilibrio sia fisico che chimico. Mentre l’equilibrio fisico riguarda lo stato del sistema che non varia nel , l’equilibrio chimico si riferisce al momento in cui le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti di una reazione chimica rimangono stabili nel tempo.

Equilibrio fisico

Un esempio di equilibrio fisico è quello solido-liquido, come nel caso dell’equilibrio tra ghiaccio e . In questo caso, non avviene alcuna reazione chimica, ma le due fasi possono coesistere alla stessa temperatura. Allo stesso modo, l’equilibrio liquido-vapore si , ad esempio, tra acqua e vapore in un sistema chiuso. Un altro tipo di equilibrio fisico è quello solido-vapore, che si manifesta nelle sostanze che sublimano, come lo .

Equilibrio chimico

L’equilibrio chimico si osserva nelle reazioni reversibili, in cui la velocità di formazione dei prodotti è eguale alla velocità di formazione dei reagenti. Un esempio può essere la reazione tra iodio e idrogeno, in cui inizialmente si osserva un colore violetto dovuto allo iodio che gradualmente reagisce con l’idrogeno. Dopo un certo tempo si raggiunge un equilibrio tra reagenti e prodotti, dove le concentrazioni rimangono costanti nel tempo.

Le principali differenze tra equilibrio fisico e chimico sono riassunte nella seguente tabella:

Equilibrio fisico Equilibrio chimico
Parametri costanti nel tempo Concentrazioni di reagenti e prodotti costanti nel tempo
Stato fisico del sistema costante Concentrazioni di reagenti e prodotti stabili
Coesistenza di due stati fisici nel sistema Coesistenza di reagenti e prodotti con concentrazioni costanti
Dinamico con processi opposti alla stessa velocità Dinamico con processi opposti alla stessa velocità

In conclusione, sia l’equilibrio fisico che chimico sono concetti fondamentali per comprendere il comportamento dei sistemi fisici e chimici, e le loro differenze sono determinanti nella formulazione delle leggi che regolano tali fenomeni.

Tellurio: storia, reazioni, usi

Tellurio: caratteristiche e scoperta

Il tellurio è un semimetallo appartenente al Gruppo 16 e al 5° periodo della tavola periodica, con configurazione elettronica [Kr], 4d10, 5s2, 5p4. Può presentarsi lucente di colore argenteo allo stato cristallino e come una polvere nero-bruna allo stato amorfo.

Presenta differenti numeri di ossidazione, che vanno da -2 a +6, ma i più comuni sono -2, +2, +4 e +6. Il tellurio esiste in un’unica forma allotropica, con la forma più stabile che contiene molecole lineari spiraliformi formando il solido Te8.

della scoperta

Il tellurio è stato scoperto nel 1782 da Franz Joseph Müller von Reichenstein, che inizialmente lo confuse con l’antimonio. Successivamente, nel 1798, il chimico tedesco Martin Heinrich Klaproth riconobbe il merito della scoperta di Müller von Reichenstein e lo denominò tellurio, dal latino “tellus” che significa terra.

Il tellurio si trova libero in natura ed è ottenuto da minerali come la silvanite, la calaverite e la . Attualmente, la maggior parte del tellurio viene ottenuta come sottoprodotto dall’estrazione e raffinazione del rame.

Reazioni chimiche

Il tellurio non reagisce con l’acqua, basi o acidi non ossidanti, ma si scioglie in oleum formando soluzioni di colore rosso a causa della formazione di specie cicliche cationiche Te82+. In presenza di ossigeno brucia per formare ossido di tellurio (IV) di colore bianco.

Il biossido di tellurio è insolubile in acqua, ma si solubilizza in basi forti formando telluriti cristallini. Inoltre, reagisce con il fluoro per produrre il fluoruro di tellurio (VI) di colore arancione.Il composto TeF4 si forma in atmosfera di azoto a 0°C. Allo stesso modo, reazioni condotte nelle stesse condizioni con cloro, bromo e iodio portano alla formazione di tetralogenuri di tellurio (IV).

L’acido esaossotellurico (VI), conosciuto come acido tellurico Te(OH)6, è composto da molecole ottaedriche allo stato cristallino ed è uno dei composti più conosciuti.

Utilizzi

La presenza di acido tellurico migliora la lavorabilità del rame e dell’acciaio inossidabile. Aggiungendolo al piombo si riduce l’azione corrosiva dell’ su questo metallo, migliorandone la resistenza e la durezza.

Questo composto è impiegato nell’industria elettronica insieme a cadmio e mercurio per creare fotosensibili. In particolare, il tellururo di cadmio (CdTe) viene utilizzato sotto forma di sottili film nei pannelli solari per la conversione dell’energia solare in elettricità.

Inoltre, l’acido tellurico è impiegato come sostituto dello zolfo nella vulcanizzazione della naturale e di quelle sintetiche.

Semimetalli: proprietà, ossidi

Caratteristiche distintive dei semimetalli

I semimetalli, noti anche come metalloidi, sono elementi che presentano caratteristiche intermedie tra metalli e non metalli. A differenza dei metalli, i semimetalli non sono é duttili né malleabili, ma possono formare leghe con alcuni metalli. Pur essendo solidi a temperatura ambiente, mostrano proprietà fisiche variabili come punti di ebollizione e di fusione. Inoltre, i valori dell’elettronegatività e dell’energia di ionizzazione dei semimetalli sono intermedi tra quelli dei metalli e dei non metalli.

La reattività dei semimetalli dipende principalmente dal numero di elettroni presenti nel livello più esterno. Ad esempio, il boro con tre elettroni di valenza si comporta come un metallo con elementi più elettronegativi come il fluoro, mentre gli altri semimetalli con più di quattro elettroni nel loro livello esterno tendono ad agire come non metalli. Elementi come il silicio e il germanio, che possiedono quattro elettroni di legame, possono comportarsi sia da metalli che da non metalli.

anfoteri dei semimetalli

I semimetalli si trovano sulla diagonale della Tavola Periodica che divide gli elementi in base alle proprietà acido-base dei loro ossidi. Gli elementi a sinistra della diagonale producono ossidi basici, quelli a destra ossidi acidi, mentre gli ossidi dei semimetalli sono anfoteri.

Benché vi siano controversie su quali elementi includere tra i semimetalli, generalmente si concorda sul fatto che il boro, il silicio, il germanio, l’arsenico, l’ e il tellurio siano considerati semimetalli.

Il termine “semimetalloide”, coniato dal greco, deriva dalla parola metallo e forma. Questo termine è ancora utilizzato nei paesi anglofoni per riferirsi ai semimetalli.

Semiconduttività dei semimetalli

Alcuni semimetalli, come il boro, il silicio e il germanio, agiscono come , mostrando una resistività maggiore rispetto ai conduttori e una minore rispetto agli . Ad esempio, il silicio, simile ai metalli nella lucentezza, è fragile e non malleabile come i non metalli.

Quasicristalli: caratterizzazione, proprietà

Scoperta dei Quasicristalli: Una Rivoluzione nella Chimica dei Materiali

I quasicristalli rappresentano una categoria di materiali con una struttura inusuale che sfida la definizione tradizionale di cristallinità. In cristallografia classica, un cristallo è considerato come una disposizione regolare tridimensionale di atomi con periodicità traslazionale lungo gli assi principali. Tuttavia, i quasicristalli presentano un perfetto ordine a lungo raggio senza la periodicità tridimensionale tipica dei convenzionali.

La Rivoluzionaria Scoperta di Daniel Shechtman

Nel 1984, il fisico israeliano Daniel Shechtman ha sconvolto il mondo scientifico con la sua scoperta dei quasicristalli costituiti da leghe intermetalliche contenenti alluminio. Questi materiali si distinguono per la mancanza di periodicità traslazionale tridimensionale e la presenza di una quasi-periodica. Tale innovazione ha valso a Shechtman il Premio Nobel per la Chimica nel 2011.

Caratterizzazione e Proprietà uniche dei Quasicristalli

I quasicristalli sono stati caratterizzati attraverso microscopi elettronici a trasmissione, rivelando una figura di diffrazione di ordine 5, tipica di una struttura bidimensionale con unità di cella pentagonale. La loro simmetria, seppur regolare, è solo quasi-periodica, il che li rende difficili da descrivere nello spazio tridimensionale comunemente usato per i cristalli convenzionali.

Rispetto ai cristalli tradizionali, l’ dei dati di diffrazione per i quasicristalli richiede un numero maggiore di vettori indipendenti per la caratterizzazione strutturale. Luca Bindi, geologo italiano, ha confermato nel 2009 che i quasicristalli si trovano anche in natura, rimanendo stabili per lunghi periodi.

Applicazioni e Potenziali Impieghi dei Quasicristalli

I quasicristalli offrono interessanti possibilità di applicazione in diversi settori tecnologici. Ad esempio, le loro proprietà uniche li rendono adatti per essere impiegati in celle solari che assorbono nell’infrarosso, rivestimenti antiaderenti, materiali compositi e rivestimenti resistenti all’ossidazione e alla .

In conclusione, la scoperta dei quasicristalli ha aperto nuove prospettive nella chimica dei materiali, offrendo soluzioni innovative e promettenti per le sfide tecnologiche attuali.

Tallio: proprietà, reazioni, composti

Il tallio è un metallo appartenente al e al 6° Periodo della tavola periodica con configurazione elettronica [Xe] 4f¹⁴,5d¹⁰, 6s²,6p¹. Si tratta di un metallo di post-transizione, posizionato nel blocco p tra i semimetalli e i metalli di transizione.

Caratteristiche del Tallio

Il tallio è un metallo di colore bianco argenteo scoperto nel 1861 da Sir William Crookes e Claude Auguste Lamy durante i loro studi sui residui della produzione di acido solforico. Attualmente, viene ottenuto come sottoprodotto dalla raffinazione di metalli pesanti. Il nome deriva dal greco θαλλός, che significa “germoglio verde”, per il colore verde intenso delle sue linee di emissione nello spettro. Presenta diversi numeri di ossidazione, ma il più comune è +1.

Proprietà Chimiche

Il tallio viene ossidato dal cloro a tallio (III) secondo la reazione:
Tl⁺(aq) + Cl₂(aq) → Tl³⁺(aq) + 2 Cl⁻(aq)

Il metallo reagisce con l’ossigeno, formando uno strato di ossido di tallio (I) che protegge dagli ulteriori processi di ossidazione. In presenza di acqua, reagisce lentamente formando idrossido di tallio, mentre in ambiente basico reagisce per dare l’ossido di tallio (III) di colore scuro. Con fluoro, cloro e bromo forma i corrispondenti alogenuri di tallio (III).

Reazioni con gli Alogenuri

Il tallio (I) reagisce con cloruri, bromuri e ioduri per formare sali poco solubili di diverse colorazioni. Ad esempio, con il cloruro e l’ si ottengono sali bianchi, mentre con l’ioduro si forma un sale giallo. Per quanto riguarda il tallio (III), in presenza di cloruro e bromuro forma complessi tetraclorotalliato (III) e tetrabromotalliato (III).

In sintesi, il tallio è un metallo con diverse proprietà chimiche e reattività che lo rendono un elemento interessante dal punto di vista della chimica e della ricerca scientifica.

Reazioni chimiche del tallio: un metallo versatile

Il tallio è un metallo che può formare diverse reazioni chimiche interessanti. In presenza di cloruro, il tallio forma un complesso con cloruro producendo un precipitato di cloruro di tallio. allo stesso modo, con il bromuro si forma un complesso di bromuro di tallio.

Reazioni con e solfuri

In presenza di ioduro, si forma un precipitato nero di triioduro di tallio (III). Questo composto, se riscaldato, si decomporre producendo tallio e iodio. In presenza di solfuri, tallio (I) forma un precipitato di solfuro nero.

Se il tallio ha un numero di ossidazione di +3, può essere ridotto reagendo con acido solfidrico o biossido di zolfo caldo per raggiungere il suo stato di ossidazione più stabile.

Composti del tallio

Uno dei composti notevoli del tallio è l’ossido di tallio bario calcio , un superconduttore con formula Tl2Ba2Ca2Cu3O10. Un altro composto importante è il di tallio (I), conosciuto per le sue proprietà velenose.

Il solfuro di tallio (I), grazie alle sue proprietà ottiche, è utilizzato in fotoresistori per applicazioni specifiche.

Saggio di Lassaigne: ricerca di azoto, zolfo, alogeni

Il metodo noto come saggio di Lassaigne prende il nome dal chimico francese Jean Louis Lassaigne, che nella prima metà del XIX secolo sviluppò una tecnica per identificare in modo qualitativo i principali componenti di un composto organico.

I composti organici sono principalmente costituiti da carbonio e idrogeno, sebbene in alcuni casi manchi l’idrogeno, come ad esempio nei composti CCl4 e CS2. Altri elementi comuni che si possono trovare nei composti organici includono azoto, zolfo e gli alogenati come cloro, bromo e iodio.

Il saggio di Lassaigne prevede la fusione del campione in presenza di sodio metallico per convertire eventuali composti contenenti questi elementi in sali di sodio solubili in acqua. Durante questo processo, i legami covalenti degli eteroatomi vengono rotti, formando legami ionici.

Ricerca dell’azoto

Nel caso in cui sia presente azoto, dopo la fusione del composto si otterrà un prodotto contenente ioni cianuro formati durante la reazione. Aggiungendo solfato di (II) a un campione della soluzione alcalina, si otterrà cianuro di ferro (II) e idrossido di sodio secondo la seguente reazione: FeSO4 + 2 NaCN → Fe(CN)2 + Na2SO4.

Il cianuro di ferro (II) reagirà con il cianuro di sodio in eccesso per formare sodio ferrocianuro: Fe(CN)2 + 4 NaCN → Na4[Fe(CN)6]. Riscaldando la soluzione contenente ferrocianuro di sodio, si favorirà l’ossidazione del Fe(II) a Fe(III) per mezzo dell’ossigeno atmosferico. Successivamente, acidificando con acido solforico si eviterà la precipitazione di idrossido di ferro (II) e di ferro (III).

La presenza di azoto nel campione viene confermata dalla precipitazione di blu di Prussia, ovvero ferrocianuro ferrico, ottenuto dalla reazione tra ferrocianuro di sodio e ferro (III).

Ricerca dello zolfo

Il metodo per ricercare lo zolfo può avvenire tramite il saggio con nitroprussiato di sodio o con .

Saggio con nitroprussiato di sodio

Nell’ con nitroprussiato di sodio, ad un’aliquota…Metodi di identificazione degli elementi tramite reazioni chimiche

Sperimentazione con il nitroprussiato di sodio

L’analisi chimica di un campione può essere effettuata mediante l’utilizzo del nitroprussiato di sodio in presenza di una soluzione alcalina. Se il composto originale contiene sodio, esso reagirà formando ione solfuro sotto forma di solfuro di sodio che, a sua volta, reagirà con il nitroprussiato, generando il sodio tionitroprussiato che si presenta con un’intensa colorazione viola.

Esperimento con l’acetato di piombo

Un’aliquota della soluzione alcalina viene trattata con acido acetico e acetato di piombo. La presenza di ioni solfuro viene rivelata dalla formazione di un precipitato nero di solfuro di piombo.

Indagine sui alogenuri

Quando il campione contiene azoto e zolfo, è necessario eliminarli per poter procedere con l’analisi degli alogeni. Tramite l’acidificazione con acido nitrico e successiva bollitura per eliminare azoto e zolfo, si prepara la soluzione per l’aggiunta di . Quest’ultimo permette la precipitazione degli ioni cloruro, bromuro e ioduro come AgCl, AgBr e AgI rispettivamente.

Per discriminare tra i diversi alogeni presenti, si utilizza ammoniaca concentrata: il cloruro di argento diventa solubile formando un complesso, l’AgBr è parzialmente solubile, mentre l’AgI rimane insolubile.

Per individuare bromo e iodio, si aggiunge una soluzione diluita di HCl, e acqua di cloro all’aliquota iniziale. La presenza di bromo si manifesta con una colorazione arancio nello strato di disolfuro di carbonio, mentre la presenza di iodio si evidenzia con un colore viola nello strato di solfuro di carbonio.

Test di Beilstein: analisi qualitativa degli alogenuri organici

Il Test di Beilstein: un’ qualitativa degli alogenuri organici

Il test di Beilstein è stato ideato dal chimico russo Friedrich Konrad Beilstein per l’analisi qualitativa degli alogenuri organici. Questo test è ampiamente utilizzato per rilevare la presenza di cloro in composti organici. Attualmente, una variante di questo test è impiegata dai tecnici della refrigerazione per individuare perdite di refrigeranti a base di freon.

Ricerca degli alogeni

Il test di Beilstein è fondamentale nell’ambito dell’analisi qualitativa organica poiché fornisce informazioni dettagliate sulla sostanza in esame. Se la sostanza contiene cloro sotto forma di cloruro, potrebbe rivelarsi dannosa poiché potrebbe degradarsi producendo gas tossici.

Il principio alla base di questo test si fonda sulla reazione di composti contenenti alogeni, come gli o polimeri alogenati come il , con un filo di riscaldato in fiamma. Tale reazione produce una caratteristica colorazione verde, che può virare al blu in presenza di bromo.

Il campione incognito viene avvicinato al filo di rame caldo riportato nella fiamma, e la presenza di alogeni viene evidenziata dalla colorazione della fiamma.

Usi e Applicazioni

Il test di Beilstein, grazie alla sua sensibilità, richiede solo una piccola quantità di campione per essere eseguito. Tuttavia, occorre prestare attenzione poiché i campioni volatili potrebbero evaporare troppo rapidamente, compromettendo il risultato del test.

Questo test è utilizzato per lo screening di una vasta gamma di prodotti, tra cui film plastici, adesivi, gomme, rivestimenti e . Tra i materiali più comuni analizzati con il test di Beilstein troviamo il PVC, le gomme clorurate, le resine epossidiche clorurate e i solventi alogenati.

Acido arachidonico: biosintesi, metabolismo

Scoperta e Struttura dell’Acido Arachidonico

L’acido arachidonico, noto anche come acido 5,8,11,14-eicosatetraenoico, è un acido grasso polinsaturo composto da venti atomi di carbonio con quattro doppi legami in posizione cis. Fu scoperto da Sir Percival Hartley, un immunologo inglese, nel lontano 1909.
Le principali fonti alimentari di acido arachidonico includono carni, uova, pesci, pollo e olio di arachidi. Si tratta di un acido grasso semiessenziale, essenziale per il nostro organismo.
Questo liquido incolore, insolubile in , ha formula molecolare C20H32O2.

Biosintesi dell’Acido Arachidonico

L’acido arachidonico può essere assunto tramite la dieta, ma la sua produzione principale avviene attraverso l’acido linoleico, un acido grasso essenziale. Quest’ultimo, presente nei di membrana, viene liberato grazie all’enzima fosfolipasi A2. Mediante l’azione dell’enzima delta-6-desaturasi, l’acido linoleico si trasforma in acido gamma-linolenico, che successivamente viene allungato tramite l’enzima elongasi, formando l’acido diomo-gamma-linolenico con 20 carboni e 3 doppi legami cis. Infine, l’enzima Δ-5-desaturasi trasforma l’acido diomo-gamma-linolenico in acido arachidonico, completando il processo di biosintesi.

Ruolo Metabolico dell’Acido Arachidonico

L’acido arachidonico è un acido omega-6 e il suo metabolismo si sviluppa attraverso due vie principali: la e la . Nella prima, l’acido arachidonico è il precursore delle , che svolgono un ruolo fondamentale come mediatori infiammatori e trombosi. Nella via lipossigenasica, invece, l’acido arachidonico è impiegato nella produzione di leucotrieni, molecole lipidiche coinvolte nei processi infiammatori e nell’immunità.

In conclusione, l’acido arachidonico agisce come regolatore dell’infiammazione, svolgendo un ruolo cruciale nell’adattamento all’esercizio fisico e nella riparazione muscolare. Questo lo rende un integratore molto usato dagli sportivi per favorire le prestazioni fisiche e cerebrali.

Trielina: sintesi, usi

Trielina: cenni storici e caratteristiche

La trielina, conosciuta anche con il nome I.U.P.A.C. di tricloroetilene, è un liquido volatile incolore caratterizzato da un dolce odore simile a quello del . Fu scoperta da Emil Fischer nel lontano 1864 e venne sintetizzata a livello industriale già a partire dal 1920. Inizialmente considerata per uso anestetico per via della sua presunta minore tossicità epatica rispetto al cloroformio e alla minore infiammabilità rispetto all’etere, la trielina è stata successivamente relegata a un utilizzo marginale a causa degli effetti collaterali, come la promozione di aritmie cardiache, e all’avvento di nuovi anestetici.

La struttura della trielina è simile a quella dell’etene, con tre atomi di idrogeno sostituiti da altrettanti atomi di cloro.

Sintesi della trielina

La trielina può essere ottenuta attraverso diverse vie sintetiche, ma la più comune prevede la clorurazione dell’etene in presenza di cloruro di (III) come catalizzatore, portando alla formazione di 1,2-dicloroetano. Successivamente, riscaldando l’1,2-dicloroetano a 400°C in presenza di cloro e di KCl o AlCl3 come , si ottiene il tricloroetilene.

Utilizzi della trielina

La trielina trova impiego nella produzione di prodotti a base di e come solvente in diversi settori. È ampiamente impiegata come agente smacchiante per la rimozione di grasso, nello sgrassaggio di metalli in processi di lavaggio a secco o industriali, nella produzione di colle per calzature e come solvente per smalti e colori. In ambito alimentare, è usata per la decaffeinazione del caffè e per l’estrazione di sostanze.

Tuttavia, è importante sottolineare che la trielina è considerata un probabile cancerogeno, spingendo sempre più all’adozione di alternative sicure come il tetracloroetene. L’uso diffuso della trielina nell’industria per lo sgrassaggio dei metalli comporta rischi ambientali, in quanto può contaminare le acque superficiali e profonde con le sue emissioni atmosferiche.

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