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Chetone del lampone: sintesi, composto anti-obesità?

Il Chetone del Lampone: Origine e Utilizzi

Il chetone del lampone, noto anche come 4-(4-idrossifenil)butan-2-one, è un composto fenolico che conferisce al lampone il suo caratteristico aroma. A differenza di more e mirtilli, nel lampone questo composto prevale sugli altri e contribuisce significativamente al profumo, insieme ad esteri, aldeidi, chetoni e terpenoidi.

Sintesi del Chetone del Lampone

Nella natura, il chetone del lampone si forma attraverso una serie di reazioni a partire dalla condensazione tra 4-cumaroil-CoA e malonil-CoA. Questo composto è ampiamente utilizzato dall’industria alimentare per aggiungere aroma ai prodotti, oltre ad essere impiegato nel campo dei cosmetici e dei .

Per ottenere il chetone del lampone in quantità significative, viene spesso sintetizzato artificialmente. Una via sintetica comune prevede una incrociata tra 4-idrossibenzaldeide e , seguita da un processo di idrogenazione catalitica per ottenere il chetone desiderato.

Metodi Sintetici Alternativi

Un’altra metodologia sintetica implica un’ alchilazione di Friedel-Crafts tra fenolo e 4-idrossiburan-2-one, con l’ausilio di un catalizzatore per favorire la reazione.

Potenziali Benefici Anti-Obesità

Il chetone del lampone è stato oggetto di interesse per le presunte proprietà anti-obesità. Studi condotti su ratti nel 2005 hanno indicato che il chetone del lampone potrebbe alterare il , portando alla perdita di grasso. Questa scoperta ha stimolato l’uso del chetone del lampone come brucia-grassi in .

Tuttavia, data la sua somiglianza con la sinefrina, un alcaloide noto per le sue proprietà stimolanti, sono necessarie ulteriori ricerche per valutare eventuali rischi. Al momento, non è escluso che il chetone del lampone possa interagire con il sistema cardiaco, riproduttivo e lo sviluppo, richiedendo ulteriori approfondimenti.

Microplastica e danni all’ambiente: classificazione

La minaccia della microplastica

Le particelle di microplastica, con dimensioni che variano da un millimetro a un micrometro, rappresentano un serio problema ambientale. L’accumulo di rifiuti plastici nei mari ha dato vita a un nuovo ecosistema marino chiamato “plastisfera”. Questo ambiente unico è caratterizzato da una comunità microbica che si sviluppa attorno alla plastica, creando una nicchia ecologica distinguibile dall’ambiente circostante.

Impatto delle microplastiche sull’ambiente marino

Le sostanze polimeriche più comuni trovate nelle acque marine includono , , , polistirene e polivinilcloruro, derivanti da bottiglie, contenitori, piatti, posate, bicchieri e altro materiale plastico. Paesi come la Cina, le Filippine, la Thailandia, l’Indonesia e il Vietnam sono tra i maggiori contributori globali all’inquinamento marino da plastica.

Il Mediterraneo è particolarmente colpito dall’inquinamento da plastica, con la Turchia che gioca un ruolo significativo in questo contesto. Con tempi di decomposizione della plastica che vanno da 100 a 1000 anni, è fondamentale adottare misure per mitigare lo sversamento e l’accumulo crescente di questi materiali nell’ambiente marino.

Effetti dannosi delle microplastiche

Le microplastiche rappresentano oltre il 90% della plastica presente nei mari. Questi piccoli frammenti, spesso inghiottiti dagli organismi marini, possono compromettere la vita selvatica, con il rischio di causare gravi danni agli ecosistemi marini. È comune che pesci, tartarughe e foche rimangano intrappolati nei rifiuti plastici o li ingeriscano accidentalmente, mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza.

Classificazione e gestione delle microplastiche

Le microplastiche sono classificate come secondarie, derivanti dalla frammentazione di rifiuti plastici più grandi, e primarie. Mentre la gestione delle microplastiche secondarie può essere limitata riducendo l’apporto di plastica nei mari, è fondamentale adottare politiche più rigorose per affrontare il problema delle microplastiche primarie. Investire in tecnologie avanzate e pratiche sostenibili potrebbe aiutare a mitigare l’impatto devastante delle microplastiche sull’ambiente marino.

Il Problema Delle Microplastiche

Le microplastiche, derivanti da una vasta gamma di prodotti di uso quotidiano come cosmetici e detergenti per la casa, hanno effetti devastanti sull’ambiente marino. Queste particelle, a causa delle loro dimensioni ridotte, vengono ingerite da pesci e altri organismi marini, finendo così sulle nostre tavole e compromettendo la catena alimentare.

Le Sostanze Dannose Coinvolte

La produzione industriale delle plastiche comporta l’utilizzo di sostanze nocive come solventi, stabilizzanti e plastificanti come il , i ftalati e gli . Queste sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene si accumulano negli organismi marini, aumentando il rischio per la salute umana.

Impatto Sull’Ambiente Marino

Gli effetti dell’inquinamento da microplastiche non si limitano agli animali marini di grosse dimensioni, ma coinvolgono anche gli invertebrati filtratori che rischiano di soffocare a causa dell’accumulo di questi rifiuti. È fondamentale intervenire per proteggere gli ecosistemi marini e preservare la biodiversità.

La Responsabilità dell’Essere Umano

L’uomo ha il dovere di agire con responsabilità e consapevolezza, adottando pratiche sostenibili e investendo in ricerca e innovazione per affrontare la sfida dell’inquinamento plastico. Solo un impegno concreto verso la salvaguardia dell’ambiente e il benessere delle generazioni future potrà dare una soluzione a questo grave problema.

Conclusioni

Per contrastare l’inquinamento da microplastiche e proteggere gli ecosistemi marini, è necessario un cambio di mentalità e un’impegno collettivo per ridurre l’uso di plastica e promuovere pratiche sostenibili. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e azioni concrete si potrà preservare la bellezza e la ricchezza dei nostri mari per le generazioni future.

Acido cloroaurico: sintesi, usi

L’Acido Cloroaurico e le sue Applicazioni nell’Industria Chimica

L’acido cloroaurico, noto anche come HAuCl4, è un acido monoprotico forte comunemente impiegato nei processi di raffinazione dell’oro. Questo acido viene utilizzato per dissolvere l’oro, nonostante la sua scarsa reattività come metallo, grazie all’azione combinata dell’, una miscela di acido cloridrico (HCl) e acido nitrico (HNO3). La reazione chimica che avviene è la seguente:

Au + HNO3 + 4 HCl → HAuCl4 + NO + 2 H2O

Il risultato di questa reazione è la formazione di aghiformi di colore giallo-arancio, noti come acido cloroaurico.

La Sintesi dell’Acido Cloroaurico

L’acido cloroaurico può essere ottenuto in diversi modi, tra cui l’elettrolisi dell’oro in acido cloridrico e l’azione del cloro in presenza di HCl. Queste reazioni sono utilizzate per il recupero dell’oro da componenti elettronici.

Applicazioni Industriali delle d’Oro

L’utilizzo principale dell’acido cloroaurico è nella sintesi di nanoparticelle d’oro (AuNPs) con diametro variabile da 5 a 400 nm. Queste nanoparticelle trovano applicazione in diversi settori, come la biomedicina e l’industria. Nel campo biomedico, le nanoparticelle d’oro vengono impiegate come biomarcatori e nei biovetri per la ricostruzione ossea, mentre nell’industria trovano impiego come catalizzatori e sensori colorimetrici.

Processo di Sintesi delle Nanoparticelle d’Oro

Le nanoparticelle d’oro vengono sintetizzate utilizzando una soluzione di acido cloroaurico, che viene portata all’ebollizione e fatta reagire con . Questa reazione porta alla formazione di acido chetoglucarico e oro colloidale. Il risultato finale è una soluzione di colore rosso vino, che indica la formazione delle nanoparticelle d’oro.

In conclusione, l’acido cloroaurico gioca un ruolo fondamentale nell’industria chimica, sia per la sia per la sintesi delle preziose nanoparticelle d’oro, utilizzate in svariate applicazioni.

Serie spettrochimica: separazione del campo dei leganti

La series spettrochimica identifica una graduatoria di leganti e ioni metallici in base alla loro capacità di generare un campo. Questa serie è stata sviluppata inizialmente da R. Tsuchida nel 1938 attraverso lo di spettri elettronici di che coinvolgono .

L’assunzione di base è che il metallo si presenti in forma ionica e i leganti si legano ad esso per attrazione elettrostatica, considerando i leganti come cariche negative puntiformi. A seconda del numero di elettroni nel catione metallico, si forma un diverso campo elettrostatico quando i leganti si avvicinano ad esso.

Orbitali d e serie spettrochimica:

Vi sono cinque orbitali degeneri di tipo d: dxy, dxz, dyz, dx2-y2, dz2. Per gli orbitali dxy, dxz, dyz, la massima probabilità di trovare gli elettroni è a 45° rispetto agli assi cartesiani, mentre per gli orbitali dx2-y2, dz2 è lungo gli assi.

Se lo ione è circondato da un campo con simmetria sferica di cariche negative, si un aumento dell’energia degli orbitali d a causa dell’effetto repulsivo tra il campo negativo e gli elettroni negli orbitali d. Viceversa, in caso di simmetria ottaedrica, gli elettroni d vengono repulsi dalle cariche puntiformi dei leganti, provocando un’instabilità dipendente dalla forma del complesso e dalla direzionalità degli orbitali d.

:

Questa situazione porta ad una separazione degli orbitali d precedentemente degeneri in due gruppi: orbitali dx2-y2, dz2 a energia più elevata (eg) e orbitali dxy, dxz, dyz a energia inferiore (t2g). L’innalzamento di energia degli orbitali dx2-y2, dz2 corrisponde ad un abbassamento di energia degli orbitali dxy, dxz, dyz.

La differenza di energia, chiamata separazione del campo, influisce sulla stabilità complessiva del complesso e sulla sua reattività.

Fattori che influenzano la separazione del campo cristallino

La separazione del campo cristallino, indicata con Δ e Δo per i complessi ottaedrici, rappresenta la repulsione elettrostatica tra gli elettroni d dell’ione metallico e le cariche puntiformi dei leganti. Questa misura è influenzata da diversi fattori:

Tipo e dimensioni del legante

Il tipo e le dimensioni dei leganti influenzano la repulsione elettrostatica tra gli elettroni d e le cariche puntiformi dei leganti, contribuendo alla separazione del campo cristallino.

Forza di legame tra legante e ione metallico

La forza di legame tra il legante e l’ione metallico ha un impatto diretto sulla separazione del campo cristallino, poiché determina la capacità del legante di influenzare la disposizione degli elettroni d.

Geometria e numero di coordinazione del complesso

La geometria e il numero di coordinazione del complesso metallico-legante influenzano la separazione del campo cristallino, poiché determinano la disposizione spaziale degli elettroni d.

Numero di ossidazione del catione metallico

Il numero di ossidazione del catione metallico può influenzare la separazione del campo cristallino, poiché determina la disponibilità degli elettroni d per interagire con i leganti.

Classificazione dei leganti

I leganti sono classificati in leganti a campo forte e a campo debole in base alla loro capacità di provocare una separazione del campo cristallino. I leganti a campo forte inducono un alto valore di Δ, mentre i leganti a campo debole determinano un Δ più basso.

Serie spettrochimica

I leganti sono classificati in base alla loro capacità di provocare una separazione del campo cristallino in una serie detta serie spettrochimica. Questa serie rappresenta l’ordine dei leganti in base alla loro forza nel separare il campo cristallino, come illustrato nella figura sottostante.

Tricloruro di azoto in piscina

Il Pericolo del Tricloruro di Azoto nelle Coperte

Il tricloruro di azoto, noto come tricloroammina, è un liquido oleoso giallo con un odore pungente e irritante, scarsamente solubile in acqua. La sua sintesi avviene facendo reagire ammonio cloruro e cloro. Tuttavia, è importante notare che questo composto è un forte ossidante che può provocare esplosioni violente se sottoposto a shock o a temperature superiori a 57°C.

Il Pericolo delle Esplosioni

Le esplosioni causate dal tricloruro di azoto hanno provocato in passato gravi danni fisici a diversi ricercatori, incluso Sir Humphry Dave, che ha subito danni temporanei alla a causa di una reazione esplosiva. Le conseguenze di tali esplosioni hanno portato alla perdita di dita e ad altri danni fisici significativi.

Rischi Respiratori

Il tricloruro di azoto è comunemente presente nell’aria delle piscine coperte, causando problemi respiratori e irritazione degli occhi per coloro che frequentano tali ambienti. Questo composto si forma insieme ad altri derivati del cloro usati come disinfettanti nelle piscine e da composti organici dell’azoto provenienti da varie fonti come , sudore e tessuti epiteliari.

Formazione della

La formazione del tricloruro di azoto avviene come risultato della reazione tra l’urea e l’, che porta alla formazione di varie clorammine tra cui la triclorammina. La corretta gestione e analisi delle acque delle piscine sono cruciali per minimizzare la presenza di questo composto potenzialmente nocivo.

Conclusioni

La presenza di tricloruro di azoto nelle piscine coperte rappresenta un rischio per la salute umana, e pertanto è fondamentale adottare misure preventive per ridurre al minimo l’esposizione a questo composto tossico. La corretta aerazione delle piscine e un’attenta gestione delle acque possono contribuire a mantenere un ambiente più sicuro per gli utenti.

Rana fluorescente: molecole presenti

La straordinaria della rana a pois ha recentemente attirato l’attenzione degli studiosi. Secondo i risultati di nuovi studi pubblicati il 13 marzo Proceedings of the National Academy of Sciences, la rana a pois, nota anche come Hypsiboas punctatus, è in grado di emettere luce fluorescente. Questo anfibio, facente parte della famiglia delle Hylidae, è diffuso nelle foreste tropicali e subtropicali dell’America del Sud.

La fluorescenza, un fenomeno raro negli animali terrestri, è più comunemente riscontrata in creature marine come coralli, alcune specie di pesci, squali e persino una particolare specie di tartaruga marina. Tuttavia, è insolito trovarla in anfibi, rendendo ancora più affascinante la scoperta relativa alla rana a pois.

Le ricerche condotte su queste rane hanno portato alla luce la presenza di che conferiscono loro colori che vanno dal verde al rosso. Quando esposte alla luce naturale, le rane a pois assumono una brillante tonalità verde quando illuminate con luce ultravioletta. Questa peculiarità ha fatto ipotizzare ai ricercatori brasiliani e argentini che tale fenomeno potrebbe essere utilizzato per la comunicazione e l’accoppiamento tra gli esemplari della stessa specie.

Una delle ipotesi suggerisce che la fluorescenza aumenti la visibilità delle rane durante il crepuscolo e durante le notti di luna piena, migliorando la loro capacità di interagire tra loro. I ricercatori hanno identificato tre molecole – H-L1, H-L2 e H-G1 – come responsabili di questo straordinario fenomeno luminoso, trovandole nel tessuto linfatico, nella pelle e nelle secrezioni ghiandolari degli anfibi.

I prossimi passi della ricerca prevedono approfondimenti sulle potenzialità di fluorescenza di altri anfibi, in particolare quelli che appaiono traslucidi, per verificare se questo fenomeno sia diffuso in altre specie. La nuova scoperta sulla fluorescenza delle rane a pois potrebbe aprire la strada a ulteriori studi sulla comunicazione e sul comportamento di questi affascinanti anfibi.

Acroleina: sintesi, reazioni

Acroleina: caratteristiche, produzione e utilizzi

L’acroleina, con formula CH2=CHCHO, è la più semplice tra le aldeidi insature. Si tratta di un liquido incolore o giallastro con un odore acre di grasso bruciato, facilmente evaporabile e infiammabile, solubile in acqua, alcol e vari solventi organici.

Sintesi

L’acroleina può essere ottenuta tramite tra formaldeide e acetaldeide, secondo la reazione: HCHO + CH3CHO → CH2=CHCHO + H2O, mediante il processo Degussa sviluppato dall’azienda chimica tedesca Evonik Degussa.

Produzione industriale

Attualmente, a livello industriale, l’acroleina viene principalmente prodotta attraverso l’ossidazione del in presenza di ossidi metallici come catalizzatori, secondo la reazione: CH2=CHCH3 + O2 → CH2=CHCHO + H2O.

Negli ultimi anni, grazie alla disponibilità di glicerolo come sottoprodotto nella produzione di biodiesel, l’acroleina può essere ottenuta tramite la pirolisi del glicerolo, secondo la reazione: HO-CH2-CHOH-CH2-OH → CH2=CHCHO + 2 H2O.

L’acroleina risulta essere tossica per il fegato e irritante per la mucosa gastrica.

Utilizzi

L’acroleina è impiegata come biocida per combattere erbe infestanti e alghe nei canali di irrigazione. Viene inoltre utilizzata nella sintesi dell’acido acrilico, ma la maggior parte della produzione è dedicata alla sintesi della attraverso la reazione con il metantiolo.

La metionina è nota per le sue proprietà ed è impiegata in per alleviare i sintomi di varie patologie, come l’osteoartrite e la fibromialgia.

In conclusione, l’acroleina ha diverse applicazioni industriali e nell’ambito della chimica organica, contribuendo a diversi processi di sintesi e alla produzione di importanti composti.

Utilizzi dell’acroleina e reazioni chimiche

L’acroleina può subire numerose reazioni chimiche, tra cui l’ossidazione in presenza di perossido di idrogeno o ossidi metallici per formare l’acido acrilico. Un’altra reazione importante è quella con il trietilsilano seguita da idrolisi, che permette una riduzione selettiva del doppio legame trasformandola in propanale. L’acroleina può anche partecipare a reazioni pericicliche, metatesi, addizioni 1,2 e addizioni 1,4.

Rischi per la salute legati all’acroleina

Presente nel fumo di sigaretta e nei componenti derivanti dalla combustione di combustibili fossili, l’acroleina può essere assunta anche tramite gli alimenti, come ad esempio nei cibi fritti, nel caffè tostato e negli oli degradati. L’inalazione di acroleina può causare danni polmonari e alle vie respiratorie, irritazione alle mucose gastriche e agli occhi. Un’elevata esposizione può avere effetti sul sistema nervoso centrale.

Tossicità e cancerogenicità dell’acroleina

Inoltre, l’acroleina è una sostanza potenzialmente cancerogena e tossica per il fegato. Bisogna prestare particolare attenzione sia all’esposizione ambientale che all’assunzione tramite gli alimenti, poiché la tossicità di questa sostanza può avere gravi conseguenze sulla salute umana.

Reazioni di disidratazione: esempi

Perdita di acqua in chimica organica

La disidratazione in chimica organica si verifica quando un reagente perde acqua durante una reazione. Questo processo è comune negli alcoli, dove il gruppo -OH funge da reagente che perde acqua durante la reazione.

Reazione di disidratazione negli alcoli

La disidratazione degli alcoli avviene attraverso un di tipo E1. Inizialmente, il gruppo -OH viene protonato in un ambiente acido per formare -OH2⁺, che funge da buon gruppo uscente. Successivamente, avviene la perdita di acqua, formando un carbocatione che viene attaccato da una base o dall’acqua per formare un doppio legame.

Formazione di

Gli alcoli, come il metanolo e l’etanolo, possono subire una disidratazione intermolecolare per dare eteri simmetrici, come il dietiletere, che è utilizzato come solvente industriale. Questa reazione avviene a temperature di circa 130-140°C in presenza di .

Meccanismo della reazione

Durante la reazione, l’alcol viene protonato e reagisce con un’altra molecola di alcol tramite sostituzione nucleofila, generando un etero simmetrico protonato. Successivamente, una molecola di acqua deprotona l’intermedio formatosi, producendo l’etero desiderato.

Sintesi di

Le anidridi possono essere ottenute riscaldando due equivalenti di acido carbossilico in presenza di ossido di zinco. Questa reazione porta alla formazione di anidridi a partire dagli .

Sintesi di ammidi

Infine, le ammidi primarie possono essere ottenute in presenza di un agente disidratante come P2O5, che favorisce la reazione di disidratazione per la formazione delle ammidi desiderate.

Reazioni di deidratazione nella chimica organica

Le reazioni di deidratazione sono fondamentali nella chimica organica e permettono di ottenere molecole importanti come i nitrili, i disaccaridi, i peptidi e i polimeri di policondensazione come il nylon.

# Conversione di composti in nitrili

I composti come le ammidi o il POCl3 possono essere trasformati in nitrili attraverso opportune reazioni chimiche. I nitrili sono composti organici utilizzati in vari settori per le loro proprietà.

# Formazione di disaccaridi e peptidi

La formazione di un disaccaride dalla condensazione di due monosaccaridi e di un peptide dalla condensazione di due amminoacidi sono due esempi significativi di reazioni di deidratazione che avvengono nell’ambito della chimica biologica.

# Policondensazione per la produzione di nylon

La polimerizzazione per condensazione è alla base della produzione di polimeri come il nylon. Questi materiali si ottengono tramite la condensazione di due gruppi funzionali con conseguente eliminazione di acqua.

Le reazioni di deidratazione sono fondamentali nei processi di sintesi organica e consentono di formare legami tra molecole con la perdita di una molecola di acqua. Questi meccanismi di reazione sono essenziali nella produzione di composti indispensabili per diversi settori industriali e scientifici.

Glicerolo: sintesi, reazioni, usi

Il Glicerolo: un composto versatile con molteplici utilizzi

Il glicerolo, conosciuto anche come glicerina, è un composto di colore chiaro, viscoso, igroscopico e dal sapore dolciastro. Grazie ai suoi tre gruppi -OH, il glicerolo è solubile in acqua ed è presente nei sotto forma di trigliceride, dove sostituisce gli atomi di idrogeno con catene di a lunga catena.

Sintesi del Glicerolo

Il glicerolo può essere ottenuto dall’idrolisi dei in ambiente alcalino, producendo glicerolo e sali di acidi grassi utilizzati per la produzione di saponi. Inoltre, il glicerolo può essere sintetizzato industrialmente a partire dal tramite una serie di reazioni chimiche.

Il composto può anche essere prodotto dalla fermentazione degli zuccheri, con rese che possono raggiungere fino al 25% in presenza di solfito di sodio. Un’altra fonte di produzione è rappresentata dal biodiesel, da cui il glicerolo è estratto come sottoprodotto.

Reazioni del Glicerolo

Il glicerolo presenta due gruppi -OH primari e un gruppo -OH secondario, con diversi comportamenti reattivi. Ad esempio, facendo reagire il glicerolo con il sodio a temperatura ambiente, si ottiene il 1,3-disodio gliceroato, in cui solo i gruppi -OH primari vengono attaccati.

In presenza di un ambiente acido, il glicerolo può subire disidratazione e dare luogo a diversi composti. Questa versatilità reattiva rende il glicerolo un composto di grande interesse in diversi settori industriali e di ricerca.

In conclusione, il glicerolo è un composto dalle molteplici proprietà e applicazioni, che lo rendono un ingrediente chiave in vari processi industriali e prodotti di largo consumo.

Il Glicerolo: Caratteristiche e Utilizzi

Il processo di disidratazione avviene sul gruppo ossidrilico primario, producendo principalmente l’idrossiacetone. Quando invece coinvolge il gruppo ossidrilico secondario, si ottiene il 3-idrossipropanale, che successivamente può essere trasformato in acroleina, un prodotto utilizzato nell’industria per la produzione di acido acrilico.

Reazioni di Ossidazione del Glicerolo

Il glicerolo può subire ossidazione con diversi agenti ossidanti, producendo differenti composti a seconda dell’ossidante utilizzato:
– Acido nitrico diluito porta alla formazione dell’acido glicerico.
– Acido nitrico concentrato produce sia l’acido glicerico che l’acido tartronico.
– Il nitrato di bismuto genera l’acido mesossalico.
– Il reattivo di Fenton dà luogo alla formazione di gliceraldeide e diidrossiacetone.
– Il permanganato genera acido ossalico e biossido di carbonio in una reazione violenta ed esplosiva.

Utilizzo del Glicerolo

Uno dei che emerse durante la Prima Guerra Mondiale fu il “Glyptal”, una resina alchidica ottenuta da glicerolo, anidride ftalica e acidi grassi, utilizzato come rivestimento e materiale impregnante.

Il glicerolo è impiegato in svariati settori:
– come dolcificante in prodotti alimentari e bevande, non essendo tossico;
– come antigelo per i radiatori delle automobili;
– come lubrificante e agente idratante nei cosmetici;
– nella produzione di composti organici.

Applicazioni Mediche

Dal punto di vista medico, il glicerolo viene utilizzato come lassativo. La nitroglicerina, ottenuta tramite reazione con acido nitrico fumante, è un noto esplosivo ma trova anche impiego come vasodilatatore con indicazioni farmacologiche.

Il glicerolo, quindi, non solo svolge un ruolo cruciale in diversi processi chimici e industriali, ma ha anche applicazioni significative nel campo alimentare, cosmetico e medicale. La sua versatilità lo rende un componente essenziale in molte produzioni.

Determinazione di biossido di zolfo libero nel vino

L’importanza di determinare il biossido di zolfo in un vino è fondamentale poiché valori irregolari possono influenzare negativamente le sue caratteristiche sensoriali. Il biossido di zolfo, noto anche come , viene comunemente utilizzato nell’industria enologica come conservante e antiossidante. Svolge un ruolo chiave nella prevenzione di instabilità microbiologica durante la vinificazione e nelle fermentazioni secondarie dei vini dolci.

Ruolo del biossido di zolfo nelle fermentazioni

Il biossido di zolfo reagisce con aldeidi, in particolare con l’acetaldeide e i chetoni. La presenza di biossido di zolfo libero, in forma di HSO₃⁻ e SO₃²⁻, può influenzare gli equilibri chimici coinvolti nel processo. Il della soluzione idroalcolica gioca un ruolo determinante nella posizione di tali equilibri, con soluzioni più acide che favoriscono la presenza di SO₂.

per determinare il biossido di zolfo

La maggior parte delle aziende vinicole utilizza il metodo di Ripper per misurare il contenuto di SO₂ nei vini. Questo metodo si basa su una titolazione iodometrica che coinvolge una reazione redox tra iodio e biossido di zolfo.

Procedura per la determinazione del SO₂

In fase di analisi, si preleva un volume di vino e si aggiungono e salda d’amido. Successivamente, si procede con la titolazione utilizzando una soluzione di iodio fino a ottenere un colore blu persistente.

relativi alla determinazione

Dopo la titolazione, è possibile calcolare la concentrazione molare di SO₂ nel vino. Utilizzando la molarità della soluzione di iodio e il volume di vino impiegato, si ottiene la concentrazione di SO₂ espressa in mg/L.

La corretta determinazione del contenuto di biossido di zolfo è cruciale per garantire la qualità del vino e prevenire eventuali difetti sensoriali o alterazioni indesiderate. Il metodo di Ripper rimane uno dei più affidabili e efficienti per monitorare il livello di SO₂ nei vini bianchi, contribuendo alla produzione di bevande di alta qualità.

Arsenico: il veleno dei re e il re dei veleni

L’utilizzo tossico dell’arsenico risale ai tempi antichi, come testimoniato da Ippocrate nel 370 a.C. che descrisse i sintomi di avvelenamento da arsenico in un minatore. Dioscoride Pedanio, medico e botanico, lo identificò come veleno, mentre Agrippina potrebbe averlo usato per avvelenare Britannico e far diventare imperatore suo figlio Nerone.

Il Re dei Veleni

Gli arsenici inorganici sono insapori e incolori, facilmente ottenibili dai minerali per creare una polvere bianca e cristallina solubile in acqua, risultando quasi indetectable all’epoca. Questo fattore rese l’arsenico il “re dei veleni”, in grado di essere somministrato gradualmente in dosi piccole, portando a uno stato di progressiva debilitazione interpretato come il decorso naturale di una malattia.

Diffusione del Veleno nel Rinascimento

Durante il Rinascimento, il “veneficio” si diffuse soprattutto nelle corti europee, dove l’intrigo e le rivalità dominavano. Nasceva così la figura dell’assaggiatore, impiegato dai signori per proteggersi dall’avvelenamento.

La

Nel contesto dei veleni, il nome dei Borgia e di Lucrezia Borgia emerge come emblema. Si diceva che utilizzasse la “cantarella”, un veleno ottenuto dalle viscere di suini cosparsi di arsenico, essiccati e polverizzati. Altri sostenevano fosse composto da arsenico e sali derivati dall’evaporazione dell’urina in un recipiente di rame.

L’

Giulia Tofana produsse l’acqua tofana bollendo As2O3, limatura di piombo e antimonio in una pentola sigillata. Questo preparato veniva venduto a donne desiderose di diventare vedove per un profitto personale. Nel 1659, donne a Roma pubblicizzavano veleni a base di arsenico per i più nefasti fini.

Scoperte e Caduta in Disuso

Solo nel 1936 il chimico James Marsh riuscì a dimostrare l’avvelenamento da arsenico con un metodo efficace. L’arsenico come veleno cadde in disuso, ma nel 1918 l’ “lewsite” venne scoperta come un veleno simile ai gas nervini, provocando avvelenamento attraverso l’assorbimento cutaneo.

Conclusioni

L’utilizzo storico dell’arsenico come veleno è stato ampiamente superato nel corso dei secoli, ma la sua rimane un capitolo significativo nei racconti di intrighi e tragedie del passato.

Determinazione dei grassi nel latte

Metodi per Determinare i Grassi nel Latte e nei suoi Derivati

Il latte è un liquido complesso che consiste in tre fasi distinte:
– La frazione lipidica, costituita da particelle di grasso emulsionate nell’acqua.
– La frazione proteica, che si presenta sotto forma di micelle colloidali disperse nell’acqua.
– La fase acquosa, che contiene ioni inorganici disciolti.

La determinazione dei grassi nel latte e nei suoi derivati è estremamente importante per valutarne il suo valore commerciale e per rilevare eventuali frodi che potrebbero comprometterne la qualità.

Procedura per Calcolare la Quantità di Grassi

Per misurare la quantità di grassi presenti nel latte, si possono adottare due diversi metodi: il e quello di Rose-Gottlieb, spesso utilizzato nei protocolli ufficiali.

Il metodo di Rose-Gottlieb è un metodo gravimetrico che prevede la separazione quantitativa dei grassi dal latte mediante l’aggiunta di ammoniaca per fluidificare le e etanolo per precipitare il grasso. Successivamente, il grasso viene estratto utilizzando etere etilico ed .

Passaggi per Determinare i Grassi nel Latte

. Prepara un campione di latte pesando circa 10 g e aggiungendo 1 mL di ammoniaca concentrata e 10 mL di etanolo in un cilindro graduato con tappo a smeriglio.
2. Aggiungi 25 mL di etere dietilico e 25 mL di etere di petrolio a 45-60°C e agita vigorosamente.
3. Estrai lo strato etereo superiore e ripeti l’estrazione almeno due volte usando 15 mL di etere dietilico e 15 mL di etere di petrolio ogni volta.
4. Trasferisci una parte del volume etereo estratto in un pallone precedentemente pesato e lascia evaporare il solvente a bagnomaria. Successivamente, riscalda il residuo in una stufa a 100°C finché il peso non risulti costante.
5. Calcola la percentuale di grasso nel campione utilizzando la formula:

% (m/m) = E ∙ P ∙ 100/ S∙ g

Dove E è il volume totale della fase eterea in millilitri, P è la massa del grasso estratto in grammi, S è il volume della soluzione sifonata e g è la massa iniziale del campione di latte estratto.

Questo metodo offre un modo preciso per determinare la quantità di grassi presenti nel latte e per garantire la sua qualità e autenticità.

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