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Eteri: generalità

e Proprietà degli Eteri

Gli eteri, caratterizzati dalla formula generale

R-O-R’

, sono composti in cui un atomo di ossigeno centrale è legato a due gruppi R. La loro struttura molecolare può essere simmetrica, come nel caso del dimetil etere

CH₃OCH₃

, o asimmetrica, come nel caso dell’etil metiletere

CH₃OCH₂CH₃

. Gli eteri presentano una geometria molecolare simile a quella dell’acqua, con un atomo di ossigeno ibridato sp³ e un angolo di C-O-C di circa 100°, consentendo una rotazione agevole intorno al legame C-O.

Nomenclatura degli Eteri

La nomenclatura degli eteri segue solitamente i nomi d’uso anziché le IUPAC. I composti vengono denominati premettendo in ordine alfabetico i nomi dei gruppi alchilici legati all’ossigeno, seguiti dalla parola “etere”. Ad esempio, il CH₃OCH₂CH₃ viene chiamato etilmetiletere. Alcuni eteri, come il dietiletere e l’anisolo, sono conosciuti con nomi comuni. Secondo le regole IUPAC, gli eteri vengono denominati come alcossilalcani, ad esempio, il CH₃OCH₂CH₃ è noto come metossietano.

Proprietà degli Eteri

A differenza degli alcoli, con cui condividono l’isomeria, gli eteri non formano legami a idrogeno, determinando punti di ebollizione significativamente inferiori. Tuttavia, per gli eteri di elevato peso molecolare, le interazioni di van der Waals riducono tale differenza. I punti di fusione e di ebollizione degli eteri sono simili a quelli degli idrocarburi corrispondenti. A causa della polarità derivante dalla differenza di elettronegatività tra ossigeno e carbonio, gli eteri presentano una certa polarità, sebbene minore rispetto ad alcoli, esteri o ammine.

In conclusione, gli eteri sono composti chimici di rilevanza in diverse applicazioni industriali e farmaceutiche, con proprietà fisiche e chimiche uniche che li distinguono dagli altri composti organici.

Eteri: Struttura e Proprietà

Gli eteri sono composti organici che presentano due doppietti elettronici solitari sull’ossigeno, permettendo loro di formare legami a idrogeno con l’acqua. Questa capacità li rende importanti in ambito chimico.

Eteri di rilievo

Uno degli eteri più significativi è l’

etere etilico

, noto anche semplicemente come etere. Questo composto è altamente volatile e infiammabile, con vapori più pesanti dell’aria che possono stratificarsi in basso e facilmente infiammarsi. Quando esposto all’aria per un periodo prolungato, l’etere etilico forma perossidi poco volatili che, una volta evaporati, lasciano residui altamente esplosivi se esposti a calore, attrito o urti meccanici.

Ruolo storico e uso attuale

Storicamente, l’etere etilico è stato impiegato come anestetico inalatorio per indurre narcosi durante interventi chirurgici. Il chirurgo Crawford Long fu uno dei primi a utilizzarlo nel 1842, sfruttandone le proprietà anestetiche legate al rapporto di solubilità grasso/acqua.

Eteri ciclici rilevanti

Tra gli eteri ciclici più importanti troviamo il

e il

1,4-diossano

. Il tetraidrofurano è un liquido incolore con un odore simile all’acetone, utilizzato come precursore per la sintesi di polimeri e come solvente per il PVC e le vernici. Il 1,4-diossano, anch’esso liquido incolore con un profumo simile all’etere dietilico, è impiegato come solvente per acetato di , resine, oli, cere e vari composti organici e inorganici.

Applicazioni in sintesi organica

Gli eteri sono ampiamente utilizzati come solventi in sintesi organica grazie alla loro inerzia chimica nei confronti della maggior parte dei reagenti organici, all’elevata capacità solvente e alle basse temperature di ebollizione.

Questi composti svolgono un ruolo fondamentale in vari settori chimici e farmaceutici grazie alle loro caratteristiche uniche e alla capacità di formare legami con altre sostanze, contribuendo significativamente al progresso scientifico e industriale.

Elettrodo standard a idrogeno: potenziale di riduzione

L’elettrodo standard a idrogeno e la determinazione dei potenziali di riduzione

L’elettrodo standard a idrogeno è un elemento fondamentale per analizzare il potenziale di una cella elettrochimica. Questo elettrodo è costituito da immerso in una soluzione 1 M di ioni H+ e viene gorgogliato con idrogeno gassoso a 1 atm di pressione.

Scoprire i potenziali di riduzione

Per determinare il potenziale di una cella elettrochimica, è essenziale conoscere i . Ogni semireazione di riduzione in condizioni standard ha un potenziale misurato rispetto a una semireazione di riferimento con potenziale pari a zero.

e potenziale di idrogeno

Applicando l’equazione di Nernst, il potenziale dell’elettrodo a idrogeno può essere calcolato. A 25°C e 1 atm, l’equazione si semplifica in E = – 0.059 pH.

Tabella dei potenziali di riduzione

La tabella dei potenziali standard di riduzione è costruita in base all’elettrodo standard a idrogeno. Ad esempio, per la semireazione Cu2+(aq) + 2 e- ⇄ Cu(s), il potenziale standard di riduzione è +0.340 V. Questo indica che l’ione rame (II) si riduce a rame metallico acquistando elettroni in soluzione.

Reazioni di riduzione e determinazione del potenziale

La reazione complessiva tra H2(g) e Cu2+(aq) porta alla formazione di 2 H+(aq) e Cu(s), con un potenziale standard complessivo di 0.340 V. Al contrario, la semireazione Zn2+(aq) + 2 e- ⇄ Zn(s) ha un potenziale standard di -0.763 V, indicando una riduzione negativa.

Questo approccio alla determinazione dei potenziali di riduzione è cruciale nell’ambito dell’elettrochimica e ci fornisce preziose informazioni sulle reazioni redox e sulle caratteristiche degli elettrodi.

Potenziale di una cella elettrochimica: una breve

Il potenziale di una cella elettrochimica è determinato dalla differenza di potenziale tra i due elettrodi coinvolti. Ad esempio, in una cella costituita da un elettrodo di idrogeno e un elettrodo di zinco, avviene una serie di reazioni che generano una differenza di potenziale.

Reazioni e potenziale della cella

Nel caso della cella con elettrodi di idrogeno e zinco, la reazione di ossidazione dello zinco è rappresentata da: Zn(s) ⇄ Zn^2+(aq) + 2e^-. Allo stesso , la semireazione di riduzione dell’idrogeno è: 2H^+(aq) + 2e^- ⇄ H2(g).

Il potenziale associato alla semireazione di ossidazione dello zinco è di +0.763 V, mentre quello della semireazione di riduzione dell’idrogeno è 0.0 V. Quindi, il potenziale della cella in condizioni standard è dato dalla somma di questi due valori, ovvero 0.763 V.

Utilizzo degli elettrodi di riferimento

Sebbene l’elettrodo di idrogeno sia un elettrodo di riferimento standard, la sua utilità pratica è limitata dalla difficoltà di mantenere la pressione di idrogeno gassoso a 1 atm. Questa condizione è difficile da ottenere in modo costante, rendendo l’elettrodo di idrogeno poco pratico per utilizzi di routine.

Di conseguenza, i chimici preferiscono utilizzare elettrodi con maggiore sensibilità e riproducibilità per condurre esperimenti e misurazioni più precise ed affidabili.

In conclusione, il potenziale di una cella elettrochimica dipende dalle reazioni che avvengono agli elettrodi coinvolti. Mentre l’elettrodo di idrogeno è importante come riferimento standard, la sua limitata praticità ha portato all’uso di elettrodi più adatti per le applicazioni quotidiane in campo chimico.

Determinazione della vitamina C. Calcoli svolti

La determinazione della quantità di vitamina C presente in una soluzione può essere effettuata attraverso una titolazione iodometrica utilizzando il tiosolfato come titolante. La vitamina C, nota anche come , svolge un ruolo fondamentale nel corpo umano agendo come antiossidante e proteggendo dalle azioni dannose dei presenti in ambienti acquosi come i liquidi intracellulari e il plasma.

La vitamina C è essenziale per la formazione e la stabilizzazione del collagene, un’importante sostanza per la produzione del tessuto connettivo. La concentrazione di vitamina C in una soluzione può essere determinata tramite titolazione ossidimetrica.

Durante la titolazione iodometrica, l’aggiunta di iodato a una soluzione acida contenente porta a una reazione di ossidoriduzione, dove lo iodio formatosi reagisce con l’acido ascorbico formando ioduro e acido deidroascorbico. Le due semireazioni coinvolte sono il passaggio da I2 a due I- (semireazione di riduzione).

Successivamente, lo iodio in eccesso viene titolato con una soluzione di tiosolfato dando luogo alla reazione in cui lo iodio viene convertito in ioduro e tetrationato. Il punto finale della titolazione è indicato dall’aggiunta di amido che, in presenza di iodio, produce una colorazione blu.

Preparazione di una soluzione di tiosolfato di sodio 0.1 M

Per preparare una soluzione di tiosolfato di sodio 0.1 M, si utilizza il tiosolfato di sodio pentaidrato con un peso molecolare di 248.18 g/mol. Circa 25 g di tiosolfato di sodio pentaidrato vengono pesati e inseriti in un matraccio da 1 L.

Preparazione di una soluzione 0.010 M di iodato di potassio

Per ottenere una soluzione 0.010 M di iodato di potassio, si pesano con precisione 2.1 g di iodato di potassio anidro e vengono trasferiti in un matraccio tarato da 1 L. L’iodato di potassio è uno standard primario, quindi la massa pesata di iodato di potassio è fondamentale per la preparazione della soluzione.Calcolo del titolo della soluzione.

Supponendo di aver pesato 2.1006 g di KIO3, possiamo calcolare la quantità di moli di KIO3 utilizzando la seguente formula: moli di KIO3 = 2.1006 g / 214.001 g/mol = 0.009816. Successivamente, calcolando la concentrazione della soluzione otteniamo 0.009816 mol / 1.000 L = 0.009816 M.

Standardizzazione della soluzione di tiosolfato di sodio

Per la standardizzazione della soluzione di tiosolfato di sodio, è necessario pipettare 5.00 mL della soluzione di iodato di potassio in un pallone da 250 mL, aggiungere 2 g di ioduro di potassio e 10 mL di H2SO4 0.5 M. Si procede con la titolazione usando il tiosolfato fino a ottenere una soluzione giallo-pallida.

Aggiungendo 2 mL di salda d’amido e continuando la titolazione fino alla scomparsa della colorazione blu scuro, si registra il volume di tiosolfato utilizzato. Effettuando i , otteniamo che la concentrazione della soluzione di tiosolfato è di 0.1006 M.

Determinazione della vitamina C

Per determinare la quantità di vitamina C presente, si procede mettendo una compressa di vitamina C del peso di circa 0.25 g in un mortaio e trasferendo il solido in una beuta da 250 mL. Aggiungere 20 mL di H2SO4, 2 g di KI e 50.0 mL di soluzione standard di iodato e titolare con la soluzione di tiosolfato.

Considerando il volume di tiosolfato necessario per la titolazione (8.48 mL), si calcola che le moli di tiosolfato sono pari a 8.531*10-4. Le moli di iodio in eccesso titolate dal tiosolfato sono quindi 4.266*10-4. Calcolando le moli di iodio reagite con l’acido ascorbico, otteniamo 0.001045 moli.

Supponendo la massa della compressa di vitamina C pari a 0.2501 g, la percentuale di vitamina C contenuta risulta essere del 73.61%.

Tramite questi calcoli e titolazioni, è possibile determinare con precisione la concentrazione delle soluzioni e la percentuale di sostanze presenti nelle chimiche richieste.

Standardizzazione di una soluzione di tiosolfato. Calcoli


Standardizzazione della Soluzione di Tiosolfato per Titolazioni Iodometriche

La standardizzazione di una soluzione di è fondamentale per le titolazioni iodometriche che coinvolgono l’ossidazione dello ioduro a . Nell’ottica dell’analisi volumetrica, una tecnica comune è l’utilizzo dell’iodometria, che si basa sull’ossidazione dello ioduro a iodio seguendo la semireazione:

2 I ⇌ I+ 2e  E° = – 0.53 V

Stadi dell’Iodometria

La viene impiegata per determinare agenti ossidanti ed è condotta in due fasi distinte:

Primo Stadio

Nella prima fase si verifica la reazione tra ioduro e un agente ossidante come il permanganato di potassio, il bicromato di potassio, i perossidi, secondo il seguente schema generale:

KI + agente ossidante → I+ stato ridotto

Ad esempio, la reazione con il è:

6 KI + K2Cr2O+ 7 H2SO4> → Cr2(SO4)3 + 4 K2SO4 + 7 H2O + 3 I2

In questa reazione, lo iodio passa da un numero di ossidazione di -1 a zero, mentre il cromo va da +6 a +3.

Secondo Stadio

Nella seconda fase, lo iodio generato nella prima fase viene titolato con una soluzione di tiosolfato di sodio che si converte in tetrationato. Il punto finale della titolazione è rilevato con un indicatore specifico come la salda d’amido, aggiunta poco prima che la colorazione giallo-marrone dello iodio diventi appena visibile. La soluzione assume un colore blu poiché l’amilosio presente nella salda d’amido forma un composto di adsorbimento blu.

Quando tutto lo iodio è stato convertito in ioduro, la colorazione blu scompare, indicando il termine della reazione:

I2 +2 Na2S2O3 → 2 NaI + Na2S4O6

È quindi necessario avere a disposizione una soluzione di tiosolfato di sodio standardizzato.

Ad esempio, per preparare 250 mL di una soluzione di tiosolfato 0.2 M a titolo approssimativo,

Procedura per la standardizzazione del tiosolfato di sodio

Per iniziare la procedura di standardizzazione del tiosolfato di sodio, è necessario pesare il tiosolfato, che comunemente si presenta come pentaidrato. Il calcolo delle moli di tiosolfato necessarie si ottiene moltiplicando la concentrazione molare per il volume utilizzato, il che porta a una massa di tiosolfato di 12.4 g per 0.050 mol. Successivamente, il tiosolfato viene mescolato in un matraccio tarato con una piccola quantità di carbonato di sodio per ottenere una soluzione con un pH di circa 9-10 e portato a volume. Supponendo di aver pesato 12.62 g di tiosolfato, si raggiunge una concentrazione di 0.2033 M. È importante notare che, poiché il tiosolfato non è uno standard primario, la soluzione appena preparata ha solo un titolo approssimato.

Standardizzazione con

Successivamente, si procede alla standardizzazione del tiosolfato utilizzando l’iodato di potassio. La reazione di standardizzazione è la seguente: IO3- + 6 H+ + 6 S2O3^2- → I- + 3 S4O6^2- + 3 H2O, con un rapporto di 1:6 tra iodato e tiosolfato. In una beuta vengono aggiunti 25.0 mL di soluzione di iodato di potassio, 10 mL di acido solforico al 10% e 2 grammi di ioduro di potassio. Con l’aggiunta di soluzione a titolo approssimato di tiosolfato e l’uso di indicatore salda d’amido, si titola la soluzione quando il colore tende al giallo paglierino.

Supponendo una concentrazione di iodato di 0.0334 M e un volume di tiosolfato impiegato per la titolazione di 26.15 mL, è possibile determinare il titolo della soluzione di tiosolfato. Le moli di iodato contenute in 25.0 mL risultano essere 0.000835, mentre le moli di tiosolfato sono 0.00501. Di conseguenza, la concentrazione della soluzione di tiosolfato risulta essere 0.191 M.

Volume molare dei gas: esercizi svolti

Il concetto di volume molare dei gas

Il volume molare dei gas rappresenta il volume occupato da una mole di gas ed è misurato in m³/mol nel Sistema Internazionale. Secondo l’equazione di stato dei , ponendo il numero di moli (n) uguale a 1, otteniamo l’espressione pV = RT, da cui deriva V = RT/p. Quando il gas si trova nelle condizioni standard (STP), con pressione di 1 atm e temperatura di 273 K, il volume molare è di 22.4 L.

La e il volume di una mole di gas

La Legge di Avogadro, formulata dal chimico italiano Amedeo Avogadro, afferma che volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di particelle. Pertanto, il volume di una mole di qualsiasi gas, misurato nelle condizioni standard, è di 22.4 L.

Esercizi pratici sul volume molare

1.

Calcolo del volume di a STP


– Dato che il peso molecolare dell’ammoniaca è 17.03 g/mol, con 3.40 g di ammoniaca si ottengono 0.200 moli e quindi un volume di 4.48 L.

2.

Peso molecolare del biossido di carbonio


– Con un volume di 56.0 mL di biossido di carbonio a STP e una massa di 0.110 g, calcolando le moli di gas si ottiene un peso molecolare di 44.0 g/mol.

3.

Calcolo della massa di una mole di monossido di carbonio


– Sapendo che 100 mL di monossido di carbonio pesano 0.125 g a STP, si calcolano le moli di gas ottenendo un peso molecolare di 28 g/mol.

4.

Variazione del volume del gas in nuove condizioni


– Esempio di variazione di un gas con volume iniziale di 2.00 L a condizioni standard trasportato a 27 °C e 2280 mm Hg. Utilizzando l’equazione di stato dei gas o la , si calcola il nuovo volume del gas.

In conclusione, il volume molare dei gas è un concetto fondamentale nella chimica che permette di relazionare volume, pressione, temperatura e numero di moli di una sostanza gassosa.

Anfetamina: struttura, effetti


L’anfetamina: una sostanza dal passato controverso

L’anfetamina, conosciuta anche con il nome I.U.P.A.C di (RS)- 2-ammino-1-fenilpropano, è un composto facente parte della famiglia delle fenetilammine. La sua di base presenta uno scheletro di fenetilammina con un gruppo metile legato al carbonio alfa.

Le sue varianti più conosciute sono la metanfetamina e l’MDMA, comunemente nota come ecstasy. L’anfetamina è uno stimolante del centrale, utilizzato per trattare diverse condizioni di salute come obesità, narcolessia, e disturbi da deficit di attenzione e iperattività.

Storia dell’anfetamina

Fu il chimico rumeno di origine ebraica Lazăr Edeleanu ad avere il merito di sintetizzare per primo l’anfetamina nel 1887, ma solo negli anni ’30 ne furono scoperte le stimolanti sul sistema nervoso centrale. Inizialmente, veniva raccomandata dai medici per trattare diversi disturbi, tra cui l’abuso di alcol, la depressione e la narcolessia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, venne ampiamente utilizzata dai militari per aumentare l’attenzione e la resistenza. Tuttavia, a partire dagli anni ’60-’70, si diffuse l’abuso di anfetamine e metanfetamine, con conseguenti effetti collaterali negativi.

La Food and Drug Administration (FDA) statunitense limitò l’uso di queste sostanze già nel 1959, riconoscendone l’effetto stupefacente. L’Italia recepì le norme più restrittive solo in un secondo momento.

Effetti collaterali

Oltre agli effetti immediati, l’anfetamina e i suoi derivati possono portare a irritabilità, insonnia, perdita di appetito e dipendenza.

Effetti collaterali delle anfetamine

Le anfetamine, una classe di sostanze psicoattive, possono provocare diversi effetti collaterali sull’organismo, tra cui tremore, agitazione, disturbi del sonno, perdita di appetito, aggressività, instabilità dell’umore e depressione. Questi sintomi possono manifestarsi soprattutto in seguito a un uso prolungato e abusivo di queste sostanze.

Rischi legati all’abuso di anfetamine

L’assunzione eccessiva di anfetamine può comportare rischi gravi per la salute. Dosi elevate possono provocare allucinazioni, arresto cardiaco, danni ai reni e al fegato, oltre a disturbi mentali. Inoltre, l’abuso di anfetamine può innalzare la pressione sanguigna e la temperatura corporea fino a 41°C, aumentando il rischio di disidratazione.

Pericoli associati all’uso di anfetamine

Nei casi più gravi, soprattutto se le anfetamine vengono consumate insieme all’alcol, si possono verificare perdita di coscienza, stato comatoso e addirittura emorragie cerebrali. È importante sottolineare che l’anfetamina è più pericolosa della cocaina in quanto il suo metabolismo più prolungato può provocare effetti più intensi e dannosi per l’organismo.

Rilevamento delle anfetamine

La presenza di anfetamine nell’organismo delle persone che ne fanno uso può essere facilmente individuata tramite analisi gascromatografiche delle urine. Queste analisi possono essere integrate con l’impiego di strumenti come apparecchi UV, IR o spettrometri di massa per una conferma più accurata.

Impatto sociale e sanitario

Nonostante le restrizioni e i divieti, l’uso di derivati anfetaminici rappresenta ancora un grave problema politico, sanitario e sociale. Purtroppo, non sempre viene percepito con la dovuta gravità, nonostante gli evidenti rischi per la salute pubblica.

Per saperne di più sulle analisi gascromatografiche, ti consiglio di visitare il sito [chimica.today](https://chimica.today/chimica-analitica/la-gascromatografia/). Se invece desideri approfondire l’argomento della spettrometria di massa, puoi trovare ulteriori informazioni su [chimica.today](https://chimica.today/chimica-analitica/spettrometria-di-massa/).

Polistirene: struttura, proprietà, polimerizzazione

Tutte le informazioni sul Polistirene che devi conoscere

Il polistirene è un polimero termoplastico derivante dal monomero stirene, noto anche come feniletene, che è un derivato del petrolio. A temperatura ambiente è solido ma si ammorbidisce a 100°C, ritornando allo stato solido una volta raffreddato.

Proprietà e utilizzi del polistirene

Il polistirene è commercializzato in varie forme, tra cui il polistirene espanso. È resistente agli acidi (ad eccezione di quelli ossidanti), alle basi e all’acqua, ma solubile in solventi organici come l’acetone. Ha una certa resistenza al fuoco e unito ad additivi appropriati può ritardare la propagazione delle fiamme. Grazie alla sua bassa conducibilità termica, è spesso impiegato come isolante termico. È impermeabile all’acqua ma permeabile al vapore acqueo, il che lo rende ideale per prevenire la formazione di muffe negli edifici. Viene utilizzato anche nell’imballaggio per la capacità di assorbire gli urti.

Processo di polimerizzazione

La produzione di polistirene avviene in tre fasi:
1. Produzione di etilbenzene da benzene.
2. Produzione di feniletene.
3. Polimerizzazione del feniletene.

Per ottenere l’etilbenzene, si fa reagire il benzene con l’etene in un ambiente acido che funge da catalizzatore a circa 900°C e a una pressione di 20 atm.

Se desideri saperne di più sul polistirene e sulle sue applicazioni, ti consigliamo di seguire [Chimica Today](https://chimica.today/) per approfondimenti sul mondo della chimica e dei polimeri.

La Produzione Industriale del Polistirene e il Suo Meccanismo di Formazione

La Reazione di Friedel-Crafts e il Utilizzo del Catalizzatore ZSM-5

La produzione industriale del polistirene prevede la utilizzo della reazione di Friedel-Crafts, dove il catalizzatore impiegato è un alluminosilicato chiamato ZSM-5, che è una zeolite.

La Deidrogenazione dell’Etilbenzene e la Polimerizzazione

I vapori di etilbenzene vengono mescolati con un eccesso di vapore acqueo in presenza di ossido di ferro (III) come catalizzatore, causando la deidrogenazione dell’etilbenzene per produrre il feniletene, utilizzato come monomero per la reazione di polimerizzazione del polistirene.

La Reazione di Addizione Radicalica per la Formazione del Polistirene

Il polistirene viene ottenuto attraverso una reazione di addizione radicalica, che coinvolge un meccanismo testa-coda per formare una catena lineare polimerica ad alto peso molecolare.

Il Meccanismo di Formazione del Polistirene

Nella produzione del polistirene, vengono utilizzati iniziatori come perossidi, ad esempio il perossido di benzoile, che generano radicali in grado di reagire con il monomero stirene.

Il doppio legame esterno all’anello benzenico si rompe per consentire la formazione del radicale, il quale reagisce con lo stirene per propagare la catena polimerica. La terminazione avviene quando due radicali liberi si uniscono tra loro.

In conclusione, il polistirene viene sintetizzato attraverso una serie di reazioni chimiche che coinvolgono la deidrogenazione dell’etilbenzene, l’addizione radicalica del monomero stirene e la formazione di una catena polimerica ad alto peso molecolare.

Glicosidi cardiaci: struttura, effetti

Glicosidi Cardiaci: Un Trattamento per lo Scompenso Cardiaco

Per affrontare l’insufficienza cardiaca, si utilizzano glicosidi cardiaci che agiscono direttamente sul cuore aumentandone la forza della contrazione. Queste sostanze, chiamate anche cardiotonici, sono fondamentali nel migliorare la contrattilità del cuore.

Derivazione dei Glicosidi Cardiaci dalle Piante

I glicosidi cardiaci sono principalmente ottenuti dai fiori della digitale, un genere di piante che include varietà come la Digitalis purpurea e la Digitalis lanata. Queste sostanze possono anche essere estratte da piante come lo Strophantus kombe e la Scilla maritima. È interessante notare che sebbene le medicinali della Scilla siano state osservate già nel 1500 a.C., è stato solo tra il 1840 e il 1880 che sono stati ottenuti i primi preparati glicosidici dalle digitale.

e Attività dei Glicosidi Cardiaci

Dal punto di vista strutturale, i glicosidi cardiaci sono composti da una porzione fenantrenica e steroidea, a cui è collegato un anello lattonico e una sequenza di zuccheri (digitossosio). La parte non zuccherina della molecola è chiamata aglicone. La presenza di ossidrili e il numero di zuccheri legati all’aglicone influenzano l’attività farmacologica del composto. Ad esempio, aumentando la solubilità in acqua, si modifica l’assorbimento e la distribuzione nel corpo.

Attività dei Diversi Tipi di Glicosidi Cardiaci

Nei glicosidi cardiaci con anello lattonico insaturo, l’attività diminuisce seguendo la successione monoside > bioside > trioside > aglicone. I monosaccaridi aldeidici come i glucosidi e i ramnosidi mostrano una maggiore attività tra i monosidi. Al contrario, gli agliconi della Scilla sono più potenti dei corrispondenti glucosidi. È importante sottolineare che negli agliconi, l’insaturazione dell’anello lattonico è essenziale per l’attività cardiocinetica.

In definitiva, i glicosidi cardiaci rappresentano una componente significativa nel trattamento dell’insufficienza cardiaca, agendo direttamente sul cuore per migliorarne la contrattilità e ottimizzarne la funzionalità.

Utilizzi dei Glicosidi Cardiaci

I glicosidi cardiaci come il lanatoside A e il lanatoside C sono utilizzati in terapia clinica per trattare l’insufficienza cardiaca e le aritmie. Il loro d’azione consiste nell’inibire l’enzima Na+ K+ ATPasi, conosciuto anche come pompa sodio-potassio. Questo porta ad un accumulo di sodio all’interno delle cellule cardiache, riducendo la capacità dello scambiatore sodio-calcio di espellere il calcio e provocando un aumento del calcio intracellulare, che a sua volta aumenta la forza delle contrazioni cardiache.

Effetti Collaterali dei Glicosidi Cardiaci

Nonostante i benefici, l’uso di glicosidi cardiaci può causare gravi effetti collaterali e tossicità. Questo ha portato alla sostituzione di tali farmaci con altri come ACE-inibitori e beta-bloccanti. Gli effetti collaterali comuni includono stanchezza e affaticamento insoliti, ansia e allucinazioni, disturbi visivi, nausea o vomito e aritmie cardiache.

Conclusioni

In conclusione, i glicosidi cardiaci come il lanatoside A e il lanatoside C sono farmaci comunemente utilizzati per trattare patologie cardiache. Tuttavia, a causa dei potenziali effetti collaterali e della tossicità associati al loro impiego, sono stati progressivamente sostituiti da altre classi di farmaci più sicuri ed efficaci. L’avanzamento della ricerca medica ha permesso di sviluppare trattamenti alternativi per le condizioni cardiache, riducendo così la dipendenza dai glicosidi cardiaci.

Interazioni molecolari: forze di attrazione, esempi

Le interazioni molecolari rivestono un ruolo fondamentale in diversi campi della chimica, come il folding delle proteine, la progettazione di farmaci, il rilevamento di patogeni, la scienza dei materiali, i sensori e la nanotecnologia. Queste interazioni sono conosciute anche come interazioni non covalenti, interazioni intermolecolari e legami non covalenti, e hanno un impatto significativo sulle proprietà della materia a livello macroscopico.

Importanza delle interazioni molecolari

Le proprietà delle molecole, come il carattere polare o apolare, giocano un ruolo chiave nelle interazioni intermolecolari. Quando le molecole presentano elevati momenti dipolari, si verificano forze di attrazione intermolecolari. L’energia di interazione tra molecole dipolari deriva principalmente da interazioni elettrostatiche, dove l’atomo parzialmente positivo di una molecola attrae l’atomo parzialmente negativo di un’altra molecola.

Forze delle interazioni molecolari

Le forze intermolecolari sono responsabili dell’esistenza di solidi e liquidi. Quando una molecola si trova in una fase condensata, viene attratta dalle molecole vicine, creando una bassa energia potenziale. Con l’aggiunta di calore, una molecola può acquisire energia cinetica sufficiente da superare l’energia potenziale e passare allo stato di vapore.

La tensione di vapore, che misura la tendenza di una molecola in fase condensata a passare allo stato di vapore, dipende dalla pressione esercitata dal vapore in equilibrio con la fase solida o liquida. Un’alta tensione di vapore a basse temperature indica la necessità di una bassa energia cinetica per vincere le interazioni tra le molecole nella fase condensata.

Le uniche interazioni possibili tra molecole non polari sono le forze di van der Waals, che si manifestano in sostanze con basse temperature di ebollizione, in quanto le molecole possono interagire solo tramite queste forze, così chiamate in onore del loro scopritore, Johannes Diderik van der Waals.

Conclusione

Le interazioni molecolari svolgono un ruolo cruciale nella determinazione delle proprietà della materia e nelle varie applicazioni scientifiche e tecnologiche. Comprendere queste interazioni è fondamentale per lo sviluppo di nuovi materiali, farmaci e tecnologie innovative.

Temperature di Ebollizione di Alcune Sostanze Molecolari

Di seguito sono riportati i punti di ebollizione di alcune molecole:

| Sostanza | Temperatura di Ebollizione (°C) |
| ——– | ——————————- |
| He | -268.9 |
| H2 | -252.9 |
| N2 | -195.8 |
| Ar | -185.9 |
| NH3 | -33.3 |
| HF | 19.5 |
| H2O | 100 |
| NaCl | 1461 |
| LiF | 1673 |
| BeO | 3900 |

Polarità e Temperatura di Ebollizione

Se confrontiamo le temperature di ebollizione delle molecole che non presentano elettroni spaiati o sono apolari, possiamo notare che, ad esempio, l’argon ha una temperatura di ebollizione maggiore rispetto all’elio. Questo avviene perché l’argon ha un raggio atomico maggiore rispetto all’elio, il che rende la sua densità di carica più polarizzabile. Le forze di attrazione tra gli atomi di argon sono quindi maggiori, portando a una temperatura di ebollizione più alta. Queste forze di attrazione comportano deviazioni dal comportamento ideale anche in fase gassosa.

Molecole Polari e Legame a Idrogeno

Molecole come NH3, HF e H2O, che sono polari e presentano punti di ebollizione più alti rispetto a molecole non polari, possiedono legame a idrogeno. Questo legame si verifica quando l’idrogeno è legato a elementi più elettronegativi come azoto, ossigeno e fluoro. In particolare, il fluoruro di idrogeno forma legami a idrogeno tra le molecole, creando forze di attrazione aggiuntive.

Ruolo del Legame a Idrogeno

Ad esempio, il fluoro di idrogeno allo stato liquido è composto da molecole in cui un atomo di idrogeno di una molecola forma un legame a idrogeno con il fluoro di un’altra molecola. Allo stesso modo, le molecole di acqua allo stato liquido sono legate tra loro tramite legami a idrogeno. Il legame a idrogeno contribuisce a una maggiore coesione tra le molecole, influenzando la temperatura di ebollizione di queste sostanze.

Le forze tra le molecole e la temperatura di ebollizione dell’acqua

La temperatura di ebollizione dell’acqua è più elevata rispetto a sostanze come l’ammoniaca e l’acido fluoridrico, grazie alle forze intermolecolari presenti. Queste forze tengono le molecole d’acqua unite, richiedendo quindi maggiore energia per separarle rispetto ad altre sostanze.

Solidi e liquidi molecolari

Le fasi condensate delle molecole possono essere classificate come solidi o liquidi molecolari, in cui le singole identità molecolari rimangono distinte e separate.

La struttura dei cristalli ionici

Nei cristalli ionici, gli ioni positivi e negativi sono entità separate e organizzate in una struttura cristallina simmetrica. L’esempio classico è il cloruro di sodio, in cui ogni ione sodio è circondato da sei ioni cloruro e viceversa, con forze di attrazione bilanciate che mantengono la struttura stabile.

Forze di attrazione nei cristalli ionici

Le forze di attrazione tra gli ioni all’interno di un cristallo ionico sono molto forti, il che porta a temperature di ebollizione elevate per queste sostanze. Questo è dovuto alla necessità di sopraffare queste forze per separare gli ioni e portarli allo stato gassoso.

Per saperne di più sul cloruro di sodio e sulla chimica generale, puoi consultare [questo articolo su chimica.today](https://chimica.today/chimica-generale/cloruro).

Codeina: struttura, proprietà, effetti

La Codeina: Caratteristiche e Utilizzi

La codeina, conosciuta anche come 3-metilmorfina, è un alcaloide estratto principalmente dall’oppio che offre una vasta gamma di , tra cui analgesiche, antitosse, antidiarroiche, antipertensive, ansiolitiche, antidepressive, sedative e ipnotiche. Pur essendo presente in natura nel Papaver somniferum, la sua farmaceutica è spesso derivata da una sintesi semisintetica a partire dalla .

della Codeina

La formula chimica della codeina è C18H21NO3, conosciuta anche come (5α,6α)-7,8-dideidro-4,5-epossi-3-metossi-17-metilmorfinan-6-olo.

Proprietà della Codeina

La codeina si presenta in cristalli poco solubili in acqua ma solubili in solventi organici come alcol ed etere. I derivati della codeina, come il fosfato, il solfato, il bromuro e il cloridrato, sono facilmente solubili in acqua e vengono impiegati in preparati antitussivi. La codeina agisce a livello centrale bloccando il riflesso della tosse, quindi è efficace contro la tosse secca ma controindicata in caso di tosse produttiva.

Utilizzo e Controindicazioni

La codeina è disponibile in varie forme come compresse, capsule o sciroppo ed è spesso associata al paracetamolo per potenziarne gli effetti analgesici. È importante sottolineare che la codeina deve essere assunta solo su prescrizione medica poiché può causare effetti collaterali come problemi digestivi e sonnolenza. L’assunzione di alcolici in concomitanza con la codeina può intensificarne gli effetti collaterali emotivi e mentali.

Effetti Collaterali e Rischi

L’abuso di codeina oltre le dosi consigliate può provocare mal di testa, stitichezza, nausea, bocca secca, dipendenza, vomito e sindrome da intestino irritabile. Inoltre, l’uso prolungato di codeina può portare a problemi di tolleranza e dipendenza, con concreti rischi di epatotossicità ed emorragia gastrica. È importante quindi prestare attenzione all’assunzione e consultare sempre un medico prima di usarla.

Insulina: struttura, funzioni, uso

L’importanza dell’insulina nel metabolismo

L’insulina è un ormone essenziale prodotto dal pancreas che svolge diverse funzioni nel metabolismo del nostro corpo. Essa è responsabile di abbassare la concentrazione di nel sangue, favorire la sintesi di , e nei tessuti e aumentare la permeabilità al glucosio delle membrane cellulari.

Una carenza di insulina può portare a una serie di alterazioni metaboliche che coinvolgono carboidrati, proteine, grassi e l’equilibrio idrico, portando allo sviluppo di condizioni come il diabete mellito.

Produzione e purificazione dell’insulina

L’insulina che si trova in commercio viene estratta dal pancreas bovino o suino e sottoposta a un processo di purificazione. Dopo il trattamento con alcol e solventi, l’insulina viene isolata e cristallizzata per ottenere l’insulina standard utilizzata come campione di riferimento.

Struttura dell’insulina

La struttura dell’insulina è stata determinata nel 1955, composta da due catene polipeptidiche chiamate subunità A e subunità B. Queste due subunità sono collegate da ponti disolfuro che conferiscono stabilità alla molecola. La subunità A è formata da 21 amminoacidi, mentre la subunità B è composta da 30 amminoacidi. La struttura dell’insulina è cruciale per il suo ruolo nell’organismo.

Sebbene la sequenza degli aminoacidi dell’insulina possa variare leggermente tra le specie, la sua struttura di base rimane fondamentalmente simile in tutte le forme di vita.

In conclusione, l’insulina svolge un ruolo vitale nel regolare il metabolismo e il bilancio energetico nel nostro corpo, e la sua corretta produzione e funzionamento sono essenziali per la salute a lungo termine.

L’Insulina e la Sua Struttura Molecolare

L’insulina è una molecola molto conservata tra le diverse specie, presentando segmenti con conformazioni simili, come i tre ponti disolfuro, le parti terminali della catena A e i residui sulla catena B. Queste analogie nella sequenza degli amminoacidi portano alla formazione di una conformazione tridimensionale simile tra le varie specie, rendendo l’insulina di un animale biologicamente attiva anche in altre specie.

Processo di Formazione dell’Insulina

Le molecole di insulina hanno la tendenza a formare dimeri in soluzione, mentre in presenza di ioni zinco, i dimeri si associano formando esameri. Secondo la teoria di Sanger, in vivo, la proinsulina si forma da un precursore polipeptidico. Il processo avviene tramite enzimi proteolitici simili alla tripsina presenti in tessuti animali come il pancreas, il fegato, i reni, la milza e il muscolo.

Utilizzo dell’Insulina

L’insulina non è attiva per via orale e deve essere somministrata per iniezione sottocutanea. Dopo l’assunzione, viene facilmente assorbita ma può essere inattivata rapidamente, probabilmente da enzimi come l’insulinasi. A causa della sua breve durata di azione, circa sei ore, è necessario somministrarla frequentemente. Per superare questo inconveniente, sono state sviluppate le insuline retard, prodotti combinati con zinco o proteine basiche che ritardano l’assorbimento e prolungano l’azione nel tempo.

Terapeutiche

L’insulina è utilizzata nel trattamento del diabete mellito. Dosaggi appropriati dell’ormone, che variano da persona a persona, permettono di alleviare quasi tutti i sintomi della malattia e garantire al paziente condizioni di salute normali. Un monitoraggio attento e personalizzato dell’assunzione di insulina è essenziale per un efficace controllo della malattia metabolica.

In conclusione, l’insulina svolge un ruolo fondamentale nel controllo del diabete mellito, offrendo una soluzione vitale per regolare i livelli di zucchero nel sangue e garantire una vita sana ai pazienti affetti da questa condizione.

Inchiostri per tatuaggi: veicolo, pigmenti

Composizione degli Inchiostri per Tatuaggi: Veicolo e

Gli inchiostri per tatuaggi non hanno una composizione chimica standard ma sono costituiti da due componenti principali: il veicolo e i pigmenti. I produttori di inchiostri per tatuaggi non sono tenuti a rivelare i componenti esatti dei loro prodotti, e spesso vengono mescolati diversi inchiostri, tra cui sali metallici, tinture vegetali o materie plastiche.

Veicolo

Il veicolo ha il compito di distribuire uniformemente il pigmento, prevenire la formazione di sostanze dannose, evitare la formazione di grumi nei pigmenti e facilitare l’applicazione sulla pelle. Tra i veicoli più utilizzati ci sono l’, l’acqua purificata, l’amamelide di origine vegetale, la listerina, il e il . Va sottolineato che l’uso di alcol denaturato, metanolo, antigelo e formaldeide come veicoli è fortemente sconsigliato a causa della loro tossicità.

A seconda del colore dell’inchiostro, varia la composizione chimica: nero (resina acrilica, pigmento nero, glicerina, acqua, amamelide, alcol isopropilico), bianco (resina acrilica, biossido di titanio, acqua), rosso ciliegia (resina acrilica, pigmento rosso, pigmento blu, glicerina, acqua, alcol isopropilico, amamelide), e così via per gli altri colori.

Pigmenti

I pigmenti presenti negli inchiostri servono per conferire il colore desiderato. Mentre alcuni pigmenti provengono da fonti naturali, nella maggior parte dei casi sono ottenuti sinteticamente attraverso processi che coinvolgono varie fasi come dissoluzioni, reazioni chimiche, precipitazioni e essiccazioni. Studi hanno rivelato la presenza predominante di elementi come , titanio, ossigeno e carbonio nei pigmenti.

Sarebbe auspicabile che i legislatori regolamentassero l’utilizzo degli inchiostri per tatuaggi, richiedendo la trasparenza riguardo ai componenti utilizzati. Considerato che questi inchiostri vengono iniettati nella pelle, è fondamentale evitare l’uso di sostanze potenzialmente dannose per la salute.

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