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Le reazioni chimiche coinvolte nel metodo del biureto

Metodo del Biureto per la Determinazione delle

Il metodo del biureto è uno dei più utilizzati per determinare le proteine totali presenti in un campione. Questo metodo si basa sulla reazione del biureto, un composto ottenuto dalla reazione di condensazione dell’, che viene riscaldata a 180°C con l’eliminazione di secondo la seguente equazione:

2 H2NCONH2 → H2NCONHCONH2 + NH3

Sintesi del Biureto

Il biureto, essendo un composto ottenuto dalla reazione di condensazione dell’urea, viene utilizzato per la determinazione delle proteine presenti in un campione. La reazione di condensazione avviene a una temperatura di 180°C con eliminazione di ammoniaca.

Reazioni del Biureto

Quando il biureto viene trattato con solfato di rame in un ambiente alcalino, si forma un complesso di colore viola. In questo complesso, lo ione rame (Cu2+) coordina quattro atomi di azoto provenienti dai legami peptidici presenti nelle proteine.

La reazione dipende dalla presenza di legami peptidici ed è positiva con i polipeptidi e, quindi, con le proteine. La variazione di colore è proporzionale al numero di legami peptidici presenti nella soluzione. Pertanto, l’ quantitativa delle proteine può essere realizzata mediante metodi spettrofotometrici, considerando che il complesso assorbe a 540 nm.

Per evitare la precipitazione dell’idrossido di rame in ambiente basico, viene aggiunto il per stabilizzare lo ione rame. Inoltre, viene aggiunto ioduro di potassio per prevenire la riduzione dello ione rame.

Procedura di Determinazione

Per determinare la concentrazione delle proteine in un campione incognito, si prepara una soluzione del reattivo aggiungendo solfato di rame pentaidrato, sale di Rochelle e ioduro di potassio a una soluzione di NaOH. Successivamente, si prepara una soluzione di albumina di siero bovino con concentrazione 10 mg/mL e si realizzano soluzioni più diluite da questa soluzione madre.

Si misura l’assorbanza di ciascuna soluzione a 540 nm e si costruisce la curva di taratura. La concentrazione delle proteine nel campione incognito può essere determinata conoscendo la sua assorbanza e interpolando il valore sulla curva di taratura.

Il metodo del biureto risulta essere un metodo affidabile e sensibile per la determinazione delle proteine totali in una vasta gamma di campioni.

Le diverse applicazioni del Gliconitrile

Il Gliconitrile: proprietà e sintesi

Il gliconitrile, conosciuto anche come 2-idrossiacetonitrile, è una cianidrina derivante dalla formaldeide con formula HOCH₂CN. Questo composto si presenta come un liquido oleoso incolore e inodore dal sapore dolciastro, solubile in acqua ed etere. È incline a decadere in formaldeide e cianuro di tramite la reazione: HOCH₂CN → HCHO + HCN.

Sintesi

Il gliconitrile può essere ottenuto dalla reazione tra formaldeide e cianuro di potassio, con l’aggiunta di .

Reazioni

Il gliconitrile reagisce con l’ammoniaca per formare l’amminoacetonitrile secondo la reazione: HOCH₂CN + NH₃ → H₂NCH₂CN + H₂O. Quest’ultimo è importante per la presenza di come il gruppo amminico e il gruppo nitrile, utilizzati nella sintesi di eterocicli contenenti azoto.

L’amminoacetonitrile, ottenuto dall’idrolisi, produce glicina: H₂NCH₂CN + 2 H₂O → H₂NCH₂COOH + NH₃. Questo composto viene impiegato come intermedio nella produzione di farmaci, resine sintetiche e organici.

Importanza e scoperte

Nel 2019, il gliconitrile ha ricevuto attenzione a seguito di studi condotti da un team di ricercatori londinesi che hanno individuato la sua presenza nello spazio. Questa molecola è considerata una molecola prebiotica fondamentale per la formazione della base azotata adenina, presente nel e nell’RNA di organismi viventi.

Usi

Il gliconitrile trova impiego nella produzione di intermedi farmaceutici, come componente nelle resine sintetiche e come intermedio chimico per composti organici.

Nitrazione del naftalene: meccanismo, prodotti

Nitrazione del Naftalene: Processo Chimico e Prodotti

La nitrazione del naftalene avviene mediante un attacco elettrofilo da parte dello ione nitronio (NO₂⁺), generato mescolando acido nitrico e concentrato. Il naftalene è un composto biciclico aromatico con C₁₀H₈, costituito da due anelli benzenici condensati.

Ione Nitronio

Lo ione nitronio attacca il naftalene provocando la formazione di un intermedio carbocationico dopo la rottura di un . Successivamente, un nucleofilo come H₂O, HSO₄⁻ o NO₃⁻ interagisce con il carbonio legato al nitro gruppo, generando rispettivamente H₃O⁺, H₂SO₄ o HNO₃.

Prodotti

I principali prodotti della sostituzione elettrofila aromatica sono l’-nitronaftalene e il 2-nitronaftalene. La formazione prevalente dell’1-nitronaftalene è dovuta alla maggiore stabilità dell’intermedio formato dalla nitrazione sulla posizione 1, che genera sette strutture di .

La nitrazione sulla posizione 2 produce sei strutture di risonanza, ma solo due di esse mantengono l’ del secondo anello. Di conseguenza, l’intermedio derivante dalla nitrazione sulla posizione 1 è più stabile, il che porta alla predominanza dell’1-nitronaftalene come prodotto finale.

Forza di un acido binario: fattori che la influenzano

La determinazione della forza degli acidi

La forza di un acido dipende dal legame H-A e dalla stabilità della base coniugata. La forza degli acidi è misurata dalla loro capacità di cedere protoni in soluzioni acquose. Gli acidi forti hanno una costante di equilibrio molto elevata (Ka) e, se concentrati, presentano un inferiore a zero.

Acidi forti e

Gli acidi deboli non si dissociano completamente in acqua, essendo caratterizzati da una reazione di equilibrio con una costante di equilibrio (Ka) che può assumere valori bassi. Gli acidi possono essere binari, composti da e un alogeno o da un elemento del gruppo 16, dove l’idrogeno è direttamente legato a uno di questi elementi. Gli acidi ternari, ossiacidi, contengono anche ossigeno oltre all’idrogeno e un non metallo.

Elettronegatività e Forza degli acidi

La forza degli acidi è influenzata dalla polarità del legame H-X. Considerando composti binari del secondo periodo a partire dal Gruppo 14, il legame più polare è tra idrogeno e fluoro, rendendo l’acido fluoridrico (HF) il più forte. In generale, quanto più elevata è la differenza di elettronegatività, maggiore è la polarità del legame e la forza dell’acido.

Tabella sull’elettronegatività

– *HF*: Costante Ka = 7.2 · 10^-4, Differenza elettronegatività = 1.9
– *H2O*: Costante Ka = 1.0· 10^-14, Differenza elettronegatività = 1.4
– *NH3*: Costante Ka = 1.0· 10^-33, Differenza elettronegatività = 0.9
– *CH4*: Costante Ka = 1.0· 10^-44, Differenza elettronegatività = 0.4

La polarità del legame H-X influenza la facilità con cui si formano ioni H+ e X-. Quanto maggiore è la polarità, maggiore sarà la facilità di formazione di tali ioni.

Analisi dell’acidità degli acidi alogenidrici

Legame tra dimensioni atomiche e acidità

Mentre ci si potrebbe aspettare che gli acidi HCl, HBr e HI diventino meno acidi scendendo lungo il gruppo degli alogenidi a causa della diminuzione della differenza di elettronegatività con l’idrogeno, in realtà si verifica il fenomeno opposto. L’acidità di questi acidi aumenta man mano che si scende nel gruppo. Questa anomalia è spiegata dall’influenza delle dimensioni dell’atomo X: maggiore è la grandezza dell’atomo, più debole è il legame HX e quindi più forte è l’acido.

Legame tra dimensioni atomiche e forza dei legami

Di norma, i legami diventano più deboli all’aumentare delle dimensioni atomiche, come dimostrato dai valori delle entalpie di dissociazione. Per HF, HCl, HBr e HI, le entalpie di dissociazione diminuiscono all’aumentare delle dimensioni atomiche, con conseguente riduzione della forza del legame.
“`
Acido K_a (kJ/mol)
HF 7.2·10^-4 569
HCl 1.0·10^6 431
HBr 1.0·10^9 370
HI 3.0·10^9 300
“`

Attraverso i valori delle costanti di dissociazione Ka, si osserva che l’acidità degli aumenta con le dimensioni atomiche, confermando l’importante ruolo delle dimensioni atomiche nell’influenzare la forza del legame e di conseguenza l’acidità degli acidi alogenidrici.

Nuovo tipo di test per il coronavirus: sistema Mango

Nuova Tecnologia per l’Identificazione dell’: Il Test Mango

Un team di ricercatori dell’Università canadese Simon Fraser ha recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications i risultati di una ricerca innovativa. Grazie al sostegno finanziario fornito dal Canadian Institutes of Health Research durante la pandemia di , gli scienziati hanno sviluppato un nuovo test in grado di rilevare le molecole di RNA.

Ricerca e Innovazione nella lotta al COVID-19

La comunità scientifica ha dedicato oltre 400 progetti di ricerca al fine di comprendere, prevenire e trattare il COVID-19, una malattia che ha avuto un impatto significativo a livello globale. Questi progetti spaziano dalla diagnostica e trattamenti potenziali alle strategie di salute pubblica e di comunicazione.

La Tecnologia Mango per l’Imaging Molecolare

La tecnologia all’avanguardia sviluppata dai ricercatori, chiamata Mango, consente di rilevare con precisione le molecole di RNA. Questa nuova tecnologia offre un miglioramento significativo nello screening del coronavirus e potenzialmente porta a importanti scoperte sul funzionamento cellulare.

Funzionamento del Sistema Mango

Il sistema Mango si basa su un aptamero chiamato RNA Mango, un acido nucleico composto da 70-80 nucleotidi in grado di legarsi a una varietà di molecole. In particolare, l’aptamero RNA Mango si lega in modo specifico a un colorante fluorescente, generando un’intensa luminescenza al momento del legame. Questo processo consente di distinguere le molecole di RNA all’interno della cellula, facilitandone lo studio al microscopio.

Applicazioni Pratiche del Test

I coloranti RNA Mango sono disponibili presso l’Applied Biological Materials (APM) a Richmond e i relativi kit consentono di testare il coronavirus, un virus a RNA a filamento singolo. L’APM fornisce anche i tamponi necessari per effettuare diagnosi rapidamente e in modo efficace.

La tecnologia Mango rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica, offrendo nuove possibilità per l’identificazione rapida degli agenti patogeni come il COVID-19.

Teoria del legame di valenza e degli orbitali molecolari a confronto

Le Principali Teorie sui Legami Chimici

Nel 1916, il chimico statunitense Gilbert Lewis propose la sua pionieristica teoria sul legame chimico, introducendo il concetto che gli atomi formano legami mediante la cessione, l’acquisizione o la condivisione di elettroni, al fine di raggiungere la stabilità e la dei .

Con l’avanzare della meccanica quantistica, i fisici Heitler e London nel 1927 proposero la , seguiti qualche anno più tardi da Hund e Mulliken che nel 1932 elaborarono la .

Teoria del Legame di Valenza

La teoria del legame di valenza postula che quando due atomi si uniscono per formare un legame covalente, gli orbitali dei due atomi si sovrappongono, creando una regione di sovrapposizione in cui si trovano due elettroni con spin opposto.

Teoria degli Orbitali Molecolari

La teoria degli orbitali molecolari considera che nel legame tra gli atomi contribuiscano sia gli elettroni di valenza che gli altri elettroni presenti nella molecola stessa. In questo contesto, tutti gli elettroni sono distribuiti su orbitali molecolari.

Differenze tra le due Teorie

Le due teorie presentano differenze significative:

Applicazione a molecole:

La teoria del legame di valenza può essere applicata solo a molecole biatomiche, mentre la teoria degli orbitali molecolari vale anche per molecole poliatomiche.

Localizzazione dei legami:

Nella prima teoria i legami sono localizzati tra due atomi specifici, mentre nella seconda gli elettroni sono delocalizzati sull’intera molecola.

Ruolo delle strutture di :

Nella teoria del legame di valenza le forme limite di risonanza sono fondamentali, mentre nella teoria degli orbitali molecolari non hanno alcun ruolo.

Rappresentazione degli elettroni:

I doppietti elettronici solitari sono rappresentati come non condivisi nella teoria del legame di valenza, mentre nella teoria degli orbitali molecolari tutti gli elettroni appartenenti al guscio di valenza partecipano al legame.

Queste sono solo alcune delle differenze tra le due teorie, che offrono differenti approcci alla comprensione dei legami chimici.

Cloruro di bario: sintesi, usi

Il cloruro di bario è un solido ionico con formula BaCl2 che si presenta in due forme polimorfe: cristallizza in un reticolo cubico o ortorombico. Questa sostanza è solubile in acqua e metanolo, ma poco solubile in etanolo e acetato di etile.

Proprietà e Struttura Cristallina

È una specie igroscopica che tende a coordinarsi con due molecole di acqua, presentandosi come cloruro di bario biidrato BaCl2·2H2O. Questo composto è stabile a temperatura ambiente, ma perde metà della sua acqua di idratazione diventando un idrato a 55°C e un cloruro anidro a 121°C.

Sintesi del Cloruro di Bario

In laboratorio, il cloruro di bario può essere ottenuto dalla reazione tra carbonato di bario e acido cloridrico:
“`
BaCO3 + 2 HCl → BaCl2 + CO2 + H2O
“`
A livello industriale, viene prodotto a partire dal solfato di bario:
“`
BaSO4 + 4 C → BaS + 4 CO
“`
Oppure dalla reazione tra solfuro di bario e acido cloridrico:
“`
BaS + 2 HCl → BaCl2 + H2S
“`

Applicazioni del Cloruro di Bario

Il cloruro di bario è impiegato nei bagni per i trattamenti di tempra dell’acciaio. Viene utilizzato per la produzione di pigmenti come il giallo di barite, ottenuto dalla reazione con il cromato di potassio:
“`
K2CrO4(aq) + BaCl2(aq) → BaCrO4(s) + 2 KCl(aq)
“`
Inoltre, il cloruro di bario è impiegato come mordente nella tintura e nella stampa dei tessuti e per colorare di verde i fuochi d’artificio.

Conclusioni

Nonostante le sue svariate applicazioni, il cloruro di bario è soggetto a restrizioni a causa della sua tossicità. Viene impiegato con cautela e rispettando le normative vigenti per la sicurezza e la protezione dell’ambiente. Se necessario consultare il [sito](https://chimica.today/chimica-generale/cloruro) per ulteriori approfondimenti su questo argomento.

Variazione di energia libera: esercizi

Il calcolo dell’energia libera è fondamentale per valutare la spontaneità di una reazione chimica o di una trasformazione fisica. Questa grandezza termodinamica, indicata con ΔG, può essere calcolata utilizzando i relativi all’ (ΔH) e all’ (ΔS) seguendo la formula: ΔG = ΔH – TΔS, dove T rappresenta la temperatura.

L’energia libera di Gibbs, definita come G = H – TS, è una funzione di stato che dipende dall’entalpia, dall’entropia e dalla temperatura del sistema. Se ΔG 0, la reazione non avviene spontaneamente. Poiché l’energia libera è una funzione di stato, il suo valore dipende esclusivamente dalle condizioni iniziali e finali del sistema.

Un metodo comune per calcolare l’energia libera di un sistema chimico consiste nell’utilizzare la seguente relazione: ΔG = ∑Gprodotti – ∑Greagenti.

Calcolo dell’energia libera per la vaporizzazione dell’acqua a 25°C

La trasformazione fisica della vaporizzazione dell’acqua può essere rappresentata come: H2O(l) → H2O(g). Utilizzando i dati termodinamici relativi alla vaporizzazione dell’acqua a 25°C, con temperatura di 298 K e considerando mole di acqua, si ottiene:

ΔH° = (-241.82 kJ/mol) – (-286.83 kJ/mol) = +45.01 kJ
ΔS° = (188.8 J/(K·mol)) – (70.0 J/(K·mol)) = 118.8 J/K
TΔS° = 298 K * 118.8 J/K = 35.4 kJ
ΔG° = +45.01 kJ – 35.4 kJ = +9.61 kJ (non spontaneo)

Calcolo dell’energia libera per la dell’ossido di mercurio (II)

La reazione di decomposizione dell’ossido di mercurio (II) può essere scritta come: HgO(s) → Hg(l) + ½ O2(g). Utilizzando i dati termodinamici relativi a questa reazione e considerando il coefficiente stechiometrico di O2, si ha:

ΔH° = 1(0 kJ/mol + ½ * 0 kJ/mol) – 1*(-90.46 kJ/mol) = +90.46 kJ
ΔS° = [1(75.9 J/(K·mol)) + ½(205.2 J/(K·mol))] – 1(71.13 J/(K·mol)) = 107.4 J/K
TΔS° = 298 K * 107.4 J/K = 32.0 kJ
ΔG° = +90.46 kJ – 32.0 kJ = +58.46 kJ (non spontaneo)

In entrambi i casi calcolati, la variazione dell’energia libera ΔG è positiva, indicando che le trasformazioni non avvengono spontaneamente. La conoscenza dell’energia libera è quindi essenziale per prevedere la direzione di una reazione chimica o di una trasformazione fisica.

COVID-19: trasmissione, precauzioni

La del e dei Virus

Il COVID-19, un virus che ha iniziato a diffondersi dalla Cina per poi raggiungere il resto del mondo, fa parte della famiglia dei virus, organismi submicroscopici che si replicano all’interno delle cellule di altri organismi. Questi parassiti, privi di un metabolismo autonomo, sono caratterizzati da un rivestimento di proteine e , un genoma di RNA o DNA e enzimi necessari per la loro replicazione.

Patologie Virali e Vaccini

Le infezioni virali possono portare a una vasta gamma di malattie, tra cui il raffreddore comune e patologie più gravi come morbillo, varicella, AIDS e SARS. A differenza delle infezioni batteriche trattate con antibiotici, le infezioni virali richiedono l’uso di vaccini per essere debellate. Grazie ai vaccini, molte malattie virali che affliggono l’umanità da secoli sono state eliminate o drasticamente ridotte.

I Coronavirus e il COVID-19

I coronavirus, scoperti negli anni ’70, presentano uno strato esterno chiamato pericapside costituito da e glicoproteine. Tra i virus della famiglia dei coronavirus, il COVID-19 è responsabile di malattie respiratorie che vanno dal raffreddore a polmoniti e bronchiti potenzialmente letali, soprattutto per individui con condizioni preesistenti.

Trasmissione e SARS

La trasmissione del virus avviene principalmente attraverso goccioline trasportate dall’aria fino alla mucosa nasale. I coronavirus sono stati responsabili di epidemie passate come la SARS nel 2002 e la MERS nel 2012, quest’ultima con un tasso di letalità maggiore rispetto alla SARS. Il COVID-19 è stato identificato per la prima volta a Wuhan, in Cina, nel dicembre 2019, diffondendosi rapidamente in tutto il mondo.

Per combattere efficacemente il COVID-19 e prevenire la sua diffusione, sono necessarie misure di contenimento e ricerca per lo sviluppo di vaccini e terapie specifiche. La conoscenza e la consapevolezza riguardo ai virus e alle malattie che possono causare sono fondamentali per proteggere la salute pubblica e affrontare le sfide future che potrebbero presentarsi nel campo della virologia.La genomica del COVID-19 sta aprendo nuove prospettive per lo sviluppo di un vaccino efficace, che tuttavia non dovrebbe essere disponibile sul mercato prima della fine dell’anno. Mentre si combatte contro questo nemico con poche armi a disposizione, le strategie adottate dalle varie nazioni per evitare una pandemia sono diverse.

La patologia si è dimostrata più aggressiva nei confronti delle persone anziane e con problemi di salute, sebbene il tasso di mortalità rimanga relativamente basso. Tuttavia, il panico e l’isteria si sono diffusi in tutto il mondo.

In Italia, di fronte ai primi casi, si è verificato un eccessivo acquisto di disinfettanti e mascherine, che sono spariti dagli scaffali dei supermercati e delle farmacie. Senza un vaccino o cure specifiche, il mondo scientifico fornisce consigli su come prevenire il contagio.

Consigli e precauzioni

È fondamentale lavarsi le mani regolarmente, mantenere una distanza di sicurezza dalle persone malate, evitare di toccarsi occhi, naso e bocca, assumere farmaci solo su prescrizione medica e contattare il numero 1500 in caso di sintomi sospetti o dopo aver visitato zone contagiate dal COVID-19. Nonostante la diffusione del virus, è importante non cedere al panico, considerando che l’influenza è ancora responsabile di un numero maggiore di decessi, nonostante la disponibilità del vaccino.

In Cina e in Italia, le aree a rischio vengono poste in quarantena per almeno 14 giorni, corrispondenti al periodo di incubazione del virus. Questa pratica di isolamento risale all’antichità e viene ricordata anche nel contesto della peste del 1630, descritta da Manzoni, in cui i contagiati venivano segregati nei lazzaretti.

Informarsi e non cedere alla paura sono fondamentali in tempi di crisi. Come sottolineava Seneca nelle sue lettere a Lucilio, “Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, Lucilio mio, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà”.

Affidarsi alla rimane la soluzione migliore in queste circostanze.

Coefficiente di ripartizione: legge di distribuzione di Nernst

Concetto di Coefficiente di Ripartizione e Caratteristiche dei Solventi Immiscibili

Quando due solventi immiscibili si trovano a contatto con un soluto presente in entrambe le fasi, si fa riferimento al coefficiente di ripartizione o rapporto di ripartizione P, che indica il rapporto tra la concentrazione del soluto nella fase 1 e nella fase 2.

Per garantire l’immiscibilità dei due solventi, è essenziale che uno sia polare e l’altro apolare. I solventi polari presentano un momento dipolare e atomi con diversa elettronegatività, mentre i solventi non polari sono caratterizzati da valori di elettronegatività simili.

Esempi di solventi polari includono l’acqua, il metanolo, l’etanolo, l’acido metanoico e il fenolo, mentre esempi di solventi non polari sono i cicloalcani, il benzene e il tetracloruro di carbonio.

Influenza delle Forze Intermolecolari sulla Solubilità

La solubilità di un soluto in un solvente dipende dalle forze intermolecolari che agiscono tra le molecole di soluto, di solvente e tra soluto e solvente. Le molecole polari sono solubili in acqua (idrofile), mentre le molecole apolari sono solubili in solventi apolari (lipofile o idrofobe).

Ruolo del Coefficiente di Ripartizione nella Lipofilia

Il coefficiente di ripartizione, definito dalla legge di distribuzione di Nernst come K = [soluto] fase organica / [soluto] acquosa, rappresenta un indice adimensionale. Spesso si preferisce utilizzare il logaritmo decimale di K (log K) per semplificare i calcoli.

Applicazioni nella Distribuzione di Sostanze Lipofile nell’Organismo

Il coefficiente di ripartizione si rivela utile per valutare la lipofilia di una sostanza, in particolare per comprendere la distribuzione di farmaci nell’organismo. Le molecole lipofile tendono ad accumularsi nello strato lipidico, mentre le molecole idrofile si distribuiscono principalmente nel plasma.

Analogamente, è possibile studiare il coefficiente di ripartizione di sostanze inquinanti per valutare la loro distribuzione. Ad esempio, residui di.L’assorbimento dei pesticidi, che sono liposolubili, dagli organismi come i pesci anziché dalle acque marine è un fenomeno noto come biomagnificazione, dove le sostanze dannose si accumulano negli esseri viventi.

Il Coefficiente di Ripartizione e la Cromatografia

Un aspetto di particolare importanza nella cromatografia è il coefficiente di ripartizione. Questa tecnica si basa sulla distribuzione differenziale di vari componenti tra due fasi: la fase fissa (o stazionaria) e la fase mobile (o eluente) che scorre in modo continuo attraverso la fase fissa.

La Distribuzione dei Componenti

La separazione dei componenti avviene poiché ciascuna sostanza ha una distribuzione specifica tra le due fasi, determinata dal suo coefficiente di ripartizione. Questa conoscenza consente di prevedere, all’interno di una miscela di composti chimici, quali avranno tempi di ritenzione maggiori.

Per saperne di più sui pesticidi e sulla cromatografia, puoi consultare i seguenti articoli:
– [Pesticidi, antibiotici e ormoni negli alimenti](https://chimica.today/tutto-chimica/pesticidi-antibiotici-e-ormoni-negli-alimenti)
– [La cromatografia liquido-solido su colonna](https://chimica.today/chimica-analitica/la-cromatografia-liquido-solido-su-colonna-istruzioni-per-l%e2%80%99uso)
– [Il tempo di ritenzione nella chimica analitica](https://chimica.today/chimica-analitica/tempo-di-ritenzione/)

Questi articoli approfondiscono i concetti trattati e forniscono informazioni dettagliate sulla chiave della distribuzione dei composti e sulla loro ritenzione all’interno del processo di cromatografia.

Formazione di una soluzione

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La formazione di una soluzione avviene attraverso la combinazione di due o più sostanze, che possono essere nella stessa fase o fasi diverse. Affinché una soluzione si formi efficacemente, è necessario che le molecole del soluto si legano alle molecole del solvente. Per ottenere questo, i legami intermolecolari tra le molecole del soluto e del solvente devono essere rotti.

Esistono diversi tipi di soluti, tra cui i non elettroliti come il saccarosio e gli elettroliti che si dissociano in ioni e si distribuiscono tra le molecole d’acqua.

La formazione delle soluzioni si verifica spontaneamente e in alcuni casi può richiedere l’agitate della soluzione per favorire il mescolamento.

I fattori che favoriscono la formazione di una soluzione

La formazione spontanea di una soluzione è favorita dalla diminuzione dell’ del sistema e dalla maggiore dispersione della materia nel sistema, che porta ad un aumento dell’ complessiva del sistema.

Se le forze di interazione tra soluto e solvente sono simili a quelle tra soluto e solvente durante il processo di dissoluzione, si ha una soluzione ideale. Questo avviene ad esempio con elio e argon, metanolo ed , o pentano ed .

Diversamente dalle soluzioni gas-gas, le soluzioni liquido-liquido mostrano forze intermolecolari attrattive tra i componenti, senza variazioni di energia dovute alla similitudine della molecolare.

Processi di dissoluzione e forze intermolecolari

Le forze intermolecolari attrattive tra soluto-soluto, solvente-solvente e soluto-solvente influenzano i processi di dissoluzione. Questi processi avvengono in due fasi, una endotermica in cui viene consumata energia per superare le attrazioni soluto-soluto e solvente-solvente, e una esotermica in cui viene rilasciata energia durante la solvatazione.

A seconda della differenza tra l’energia consumata nella prima fase e quella rilasciata nella seconda, il processo di dissoluzione può assorbire o rilasciare energia.

In alcuni casi, le soluzioni non si formano poiché l’energia richiesta per separare le specie è maggiore dell’energia rilasciata durante la solvatazione.

Esempio pratico

Ad esempio, consideriamo la dissoluzione di un composto ionico in acqua. Per ottenere una soluzione, è necessario che le forze elettrostatiche tra i cationi e gli ioni dell’acqua superino le forze di attrazione tra i cationi stessi. Questo processo influenzerà il rilascio o l’assorbimento di energia durante la dissoluzione.Le interazioni tra ioni e molecole d’acqua sono fondamentali nel processo di dissoluzione di un composto ionico. Quando le forze di attrazione tra gli anioni e le molecole d’acqua superano le forze presenti nel soluto, si verifica un’endotermicità significativa. In questi casi, il composto potrebbe avere una scarsa solubilità, essendo poco propenso a sciogliersi.

Al contrario, se le forze di solvatazione prevalgono sulle forze elettrostatiche nel soluto, la dissoluzione sarà esotermica, come nel caso del cloruro di sodio (NaCl) che presenta una elevata solubilità. Tuttavia, esistono situazioni in cui un processo endotermico può portare comunque alla formazione di una soluzione, come nel caso del nitrato di ammonio presente nel ghiaccio istantaneo.

Una dissoluzione endotermica richiede una maggiore energia per ionizzare il soluto rispetto all’energia di solvatazione. Nonostante ciò, il processo è spontaneo grazie all’aumento dell’entropia associato alla formazione della soluzione.
Per approfondire il concetto di anioni, è possibile consultare questo articolo su chimica.today.

Comprendere le Forze di Attrazione e di Solvatazione

Le forze di attrazione elettrostatiche tra ioni e molecole d’acqua influenzano il processo di dissoluzione dei composti. Se le forze elettrostatiche superano quelle di solvatazione, si avrà un’endotermicità significativa, limitando la solubilità del composto. Al contrario, nel caso in cui le forze di solvatazione siano predominanti, la dissoluzione sarà esotermica e il composto sarà più solubile.

L’Importanza dell’Energia di Solvatazione

In una dissoluzione endotermica, è necessaria una maggiore energia per ionizzare il soluto rispetto all’energia di solvatazione. Tuttavia, nonostante questo dispendio energetico, il processo è spontaneo grazie all’aumento di entropia che accompagna la formazione della soluzione. Questi meccanismi sono cruciali per comprendere la solubilità dei composti in soluzione.

Per approfondire i concetti legati ai processi esotermici ed endotermici in chimica, puoi consultare questa risorsa su chimica.today.

Acido bromidrico: sintesi, reazioni, usi

Acido Bromidrico: Caratteristiche e Applicazioni

L’acido bromidrico, con formula chimica HBr, è un acido minerale forte ottenuto dalla dissoluzione del bromuro di idrogeno in acqua. Questo acido ha un odore acre ed è noto per la sua alta corrosività verso molti metalli e la sua elevata reattività, che può portare a in presenza di e composti organici.

Sintesi dell’Acido Bromidrico

L’acido bromidrico può essere prodotto attraverso diverse vie sintetiche, tra cui la reazione tra e un bromuro, la reazione tra e anidride solforosa, la reazione in fase gassosa tra bromo e idrogeno, e l’idrolisi del tribromuro di fosforo.

Principali Reazioni dell’Acido Bromidrico

L’acido bromidrico reagisce con diversi composti producendo bromuro di ammonio, , acqua, bromuri metallici, idrogeno e sale. Inoltre, può generare anidride solforosa, bromo e acqua in presenza di acido solforico, e formare bromuri alchilici in seguito a una reazione di addizione con alcheni.

Utilizzi dell’Acido Bromidrico

L’acido bromidrico è impiegato principalmente nella produzione di bromuri inorganici e di composti organici bromurati. Trova applicazione come intermedio per la sintesi di prodotti farmaceutici e viene utilizzato in agricoltura. È anche impiegato come catalizzatore nelle reazioni di alchilazione e come iniziatore in processi di polimerizzazione.

In conclusione, l’acido bromidrico è un composto versatile e fondamentale in diversi settori industriali grazie alle sue proprietà reattive e corrosive, che lo rendono prezioso per una vasta gamma di applicazioni chimiche.

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