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Trombina: sintesi, funzioni

La Trombina e il Suo Ruolo nella Coagulazione del Sangue

La trombina è un enzima appartenente alla classe delle che gioca un ruolo cruciale nella coagulazione del sangue. Questo enzima catalizza la trasformazione del solubile in filamenti insolubili di fibrina, facilitando così la formazione dei coaguli che prevengono il sanguinamento incontrollato.

Meccanismo di Azione della Trombina

La trombina è una serin proteasi che sfrutta la reattività della serina per il suo meccanismo di catalisi. Pur condividendo alcune caratteristiche strutturali con la pancreatica, presenta specificità nei confronti dei substrati e dei cofattori che la rendono unica rispetto ad altre proteasi della serina meno specifiche come la tripsina.

Sintesi e Attivazione

La trombina viene sintetizzata nel fegato e secreta sotto di protrombina, un enzima inattivo noto come . L’attivazione della protrombina avviene mediante proteolisi limitata durante la cascata della coagulazione, producendo trombina nei siti di danno vascolare.

Ruolo nella Trombosi e nella Coagulazione

La trombina svolge un ruolo cruciale nell’equilibrio tra sanguinamento e trombosi. Sebbene la coagulazione del sangue sia essenziale per prevenire il sanguinamento eccessivo, coaguli eccessivi possono comportare gravi conseguenze, come infarti e ictus.

La formazione e l’attività inadeguata della trombina possono essere alla base della trombosi, causando coaguli che ostruiscono arterie e vene. Questo enzima è fondamentale per attivare le piastrine, convertire il fibrinogeno in fibrina e promuovere la formazione di coaguli stabili.

In conclusione, la trombina svolge un ruolo cruciale nella coagulazione del sangue, mantenendo l’equilibrio tra sanguinamento e trombosi. La sua attività regolata con precisione è essenziale per garantire una corretta funzionalità del sistema emostatico.

Esosammine e insulino resistenza

Il ruolo delle esosammine nella biochimica

Le esosammine sono molecole organiche costituite da un monosaccaride esoso in cui un gruppo ossidrilico è sostituito da un gruppo amminico sul carbonio 2. Esistono diversi tipi di esosammine, tra cui la fruttosammina derivante dal fruttosio e la glucosammina derivante dal glucosio. Le N-acetil-esosammine, invece, presentano un gruppo N-acetilamminico al posto del gruppo ossidrilico e sono comunemente trovate nelle glicoproteine e nei glicolipidi.

Sebbene il glucosio venga principalmente metabolizzato dalla via glicolitica, una parte del fruttosio-6-fosfato viene utilizzata nella , portando all’aumento delle concentrazioni di N-acetilglucosammina. Questo processo avviene in quattro stadi distinti:

. Il fruttosio-6-fosfato viene convertito in glucosamina-6-fosfato mediante l’enzima glutammina: fruttosio-6-fosfato amidotransferasi.
2. La glucosammina-6-fosfato viene trasformata in N-acetilglucosammina-6-fosfato dall’enzima glucosammina-fosfato N-acetiltransferasi.
3. L’N-acetilglucosammina-6-fosfato subisce la mutazione in N-acetilglucosammina-1-fosfato tramite l’enzima N-acetilglucosammina mutasi.
4. Infine, l’N-acetilglucosammina-1-fosfato insieme all’uridina difosfato si converte in UDP N-acetilglucosammina come prodotto finale.

Il percorso di biosintesi delle esosammine gioca un ruolo nella regolazione dell’assorbimento del glucosio, nella sintesi del glicogeno, nella glicolisi e nella produzione di fattori di crescita. L’eccesso di flusso di esosammine può portare all’insulino resistenza nelle cellule, nei tessuti e negli animali.

Alcune prove suggeriscono che la via delle esosammine possa influenzare l’omeostasi glucidica, poiché l’attività dell’enzima limitante la velocità nella sintesi dell’esosammina è correlata ai tassi di smaltimento del glucosio nel corpo. Le concentrazioni anomale di glucosio possono quindi influenzare la regolazione fisiologica, portando a effetti avversi legati all’.

Cromite: diffusione, proprietà, usi

Caratteristiche e Origine della Cromite

La Cromite è un minerale composto da ferro con numero di ossidazione +2, cromo con numero di ossidazione +3 e ossigeno, con formula ideale FeCr2O4. Il nome Cromite fu dato nel 1845 dal mineralogista e geologo austriaco Wilhelm Karl Ritter von Haidinger in riferimento alla sua composizione. Appartiene al e presenta una struttura cubica simile ad altri membri del gruppo.

Diffusione della Cromite

La Cromite si trova comunemente nelle peridotiti, serpentine e altre rocce ignee e metamorfiche. I depositi più significativi si trovano nei depositi stratiformi, depositi podiformi e nelle sabbie presenti sulle spiagge derivanti dalle rocce cromitiche. Paesi come Russia, India, Kazakistan, Filippine, Nuova Caledonia, Kosovo, Zimbabwe, Turchia, Brasile e Cuba ospitano importanti giacimenti di Cromite.

Il minerale è spesso associato a serpentino, calcite, clorite, talco, olivina, magnetite e uvarovite.

Proprietà della Cromite

La Cromite varia dal nero brunastro al nero scuro e può contenere altri metalli preziosi come nichel, rame, oro e eccezionalmente platino. Ha un peso specifico che varia da 4.0 a 5. e una durezza nella scala di Mohs da 5.5 a 6. Spesso il magnesio sostituisce il ferro nella Cromite, creando l’isocromite MgCr2O4.

Utilizzi della Cromite

La principale applicazione della Cromite è nell’, utilizzato per conferire durezza, tenacità e resistenza chimica all’. Il cromo è impiegato anche per inibire la corrosione e nella placcatura di metalli ossidabili nel settore metallurgico.

In conclusione, la Cromite riveste un ruolo significativo nell’industria mineraria e nella produzione di materiali metallici, fornendo cromo come elemento essenziale per diverse applicazioni.

Potere ottico rotatorio: polarimetro, legge di Biot

Le Applicazioni del nella Chimica

Il polarimetro è uno strumento fondamentale nella chimica per la misurazione del potere ottico rotatorio di una soluzione, utilizzato principalmente per distinguere gli enantiomeri nei . Gli enantiomeri, essendo non sovrapponibili come la mano destra e sinistra, condividono e chimiche identiche.

Principio di Funzionamento del Polarimetro

Misure precise dell’angolo di vengono effettuate tramite polarimetri. La luce ordinaria, solitamente radiazione monocromatica del sodio, entra nel polarizzatore e viene convertita in luce polarizzata che attraversa il campione fino ad un prisma di Nicol, anche noto come analizzatore. All’interno del polarimetro, le sostanze otticamente attive, che contengono un atomo di carbonio asimmetrico, ruotano il piano di polarizzazione della luce in senso orario o antiorario a seconda della soluzione.

Misurazioni e Calcoli in Polarimetria

Nel polarimetro, la soluzione è posta tra un polarizzatore e un analizzatore con piani perpendicolari. Conoscendo l’angolo di rotazione dell’analizzatore necessario per annullare parte della luce trasmessa, è possibile ricavare la concentrazione delle specie nella soluzione. Il è definito come la rotazione causata da un grammo di sostanza sciolto in 1 mL di soluzione in un tubo polarimetrico lungo un decimetro. Il valore della rotazione, espresso in gradi, rappresenta una caratteristica unica del composto e segue la legge di Biot.

Applicazioni Pratiche della Polarimetria

La relazione tra la concentrazione del soluto e l’angolo di rotazione della luce polarizzata è essenziale per l’analisi polarimetrica quantitativa. La polarimetria trova ampio impiego nell’industria saccarifera, dove il controllo della produzione degli zuccheri viene eseguito esclusivamente attraverso questa tecnica.

In definitiva, il polarimetro si rivela uno strumento cruciale per l’analisi e la distinzione di molecole chirali all’interno della chimica organica, offrendo un valido supporto per la caratterizzazione e lo studio dei composti presenti in una soluzione.

Stereoisomeri: enantiomeri, diastereoisomeri

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Isomeri: e Diastereoisomeri

Gli stereoisomeri sono molecole che hanno la stessa formula chimica e connettività degli atomi, ma si distinguono per la disposizione spaziale degli stessi. Possono essere classificati in enantiomeri e diastereoisomeri.

Enantiomeri

Gli enantiomeri, noti anche come isomeri ottici, sono molecole chirali che costituiscono immagini speculari non sovrapponibili. Pur non sovrapponibili, presentano molte e chimiche simili, come possono essere paragonati alla mano destra e sinistra.

Le distanze di legame tra gli atomi corrispondenti sono identiche, e per questo motivo vengono definite isometriche. Hanno punti di fusione e di ebollizione, densità, comuni. Inoltre, condividono proprietà spettrali come gli spettri U.V., I.R., N.M.R. e spettro di massa.

Le proprietà termodinamiche, il comportamento cromatografico, la reattività con reagenti achirali e la velocità di reazione sono anch’essi comuni tra gli enantiomeri. La principale differenza tra due enantiomeri risiede nel potere ottico rotatorio.

Diastereoisomeri

I diastereoisomeri, a differenza degli enantiomeri, non sono immagini speculari tra loro. Pur condividendo la stessa formula molecolare e connettività degli atomi, si distinguono per un diverso orientamento nello spazio. Un esempio comune di diastereoisomeri sono gli isomeri cis-trans.

L’ si manifesta quando tra due atomi sussiste un impedimento alla libera , anche se non sono direttamente legati. Ne derivano due configurazioni possibili, specialmente con sistemi che presentano doppi legami e strutture cicliche.

I diastereoisomeri possono includere un numero maggiore di due configurazioni a seconda del numero di stereocentri presenti. A differenza degli enantiomeri, i diastereoisomeri possono manifestare proprietà del tutto diverse come solubilità, densità, punto di ebollizione e punto di fusione.

Enantiomeri: proprietà, reattività

Il concetto di , o isomeri ottici, si riferisce a molecole chirali che sono immagini speculari non sovrapponibili l’una con l’altra. Queste molecole enantiomeriche, simili alla mano destra e alla mano sinistra, presentano molte e chimiche identiche. Le distanze di legame tra gli atomi corrispondenti all’interno delle molecole sono le stesse, rendendo le specie enantiomeriche isometriche. Inoltre, condividono punti di fusione e di ebollizione simili, densità e indici di rifrazione.

Proprietà degli Enantiomeri

Le molecole enantiomeriche presentano proprietà spettrali comuni, come spettri U.V., I.R., N.M.R. e spettro di . Hanno inoltre proprietà termodinamiche simili, comportamento cromatografico e velocità di reazione. La principale differenza tra due enantiomeri è il potere ottico rotatorio che possiedono.

Un esempio macroscopico per comprendere il concetto di enantiomeri è quello del piede destro e sinistro, entrambi chirali, che si adattano in maniera simile in una scarpa destra, che è achirale.

Reattività degli Enantiomeri

Le differenze tra gli enantiomeri diventano evidenti in presenza di altre molecole chirali, poiché enantiomeri diversi si comportano in modo diverso di fronte a molecole come gli enzimi che catalizzano reazioni biochimiche. La maggior parte delle reazioni riguarda .

Durante queste reazioni, se si un elemento di chiralità nella molecola, il prodotto risultante può essere una miscela equivalente di una coppia di enantiomeri, chiamata racemato otticamente inattivo. I racemi si formano anche attraverso la racemizzazione di composti chirali. La separazione degli enantiomeri è una sfida comune nella preparazione di composti biologicamente attivi, come i farmaci.

Alditoli: proprietà, esempi

Alditoli: dolcificanti naturali e polioli utilizzati nell’industria alimentare

Gli alditoli, noti anche come alcoli dello zucchero, costituiscono una classe di polioli con la formula generale HOCH2[CH(OH)]nCH2OH. Questi composti sono ampiamente impiegati nell’industria alimentare per le loro proprietà addensanti e dolcificanti.

Sintesi degli alditoli


Gli alditoli vengono tipicamente prodotti attraverso la riduzione di un gruppo aldeidico o chetonico presenti nei monosaccaridi, utilizzando un agente riducente come il sodio boroidruro.

Proprietà degli alditoli


Gli alditoli presentano un’elevata stabilità termica e non partecipano alla reazione di Maillard. A causa della loro resistenza al sistema enzimatico dell’organismo, risultano difficili da digerire e non vengono metabolizzati dai batteri orali, contribuendo così a prevenire la formazione di carie. Questi composti hanno inoltre un alto calore di soluzione, offrendo una sensazione di freschezza in bocca e rappresentano un’alternativa allo zucchero per i pazienti diabetici.

Gli alditoli, solitamente solidi bianchi, sono solubili in e possono essere presenti in natura o prodotti sinteticamente da monosaccaridi o carboidrati.

Esempi di alditoli


Tra gli alditoli più comunemente utilizzati si trovano:

: utilizzato per la produzione di resine e fibre poliestere, nonché come antigelo.

Glicerolo

: dolcificante impiegato in prodotti dolciari, bevande e preparazioni farmaceutiche.

Eritritolo

: dolcificante a basso contenuto calorico.

: utilizzato in dentifrici e gomme da masticare per la sua azione non cariogenica.

: utilizzato come dolcificante e agente anti-agglomerante.

Gli alditoli rappresentano una valida opzione come dolcificanti naturali e trovano diverse applicazioni in vari settori, incluso quello alimentare e farmaceutico.

Fotoliasi: meccanismo

La fotoliasi: un meccanismo di riparazione del

La fotoliasi è una classe di che sfruttano la luce blu per riparare i danni al DNA causati dai raggi ultravioletti. L’irradiazione ultravioletta della luce solare può creare modifiche al DNA che lo rendono illeggibile per i meccanismi di replicazione cellulare.

Effetti dannosi e protezione della fotoliasi

Il danno al DNA causato dai raggi UV può portare a gravi patologie come il cancro della pelle, apoptosi cellulare e mutagenesi. Tuttavia, grazie alla fotoliasi, le cellule possono essere riparate rapidamente. Questo meccanismo è presente in organismi come pesci, anfibi, uccelli e rettili, ma è stato perso durante l’evoluzione nei mammiferi, inclusi gli esseri umani.

Albert Kelner e la scoperta della fotoriattivazione

Negli anni ’40, Albert Kelner studiò per la prima volta il fenomeno della fotoriattivazione enzimatica, dimostrando la capacità della fotoliasi di riparare le lesioni del DNA indotte dai raggi UV. Le fotoliasi sono monomeriche composte da 450-550 amminoacidi e due legati covalentemente.

Meccanismo d’azione della fotoliasi

Dopo l’irradiazione con raggi UV, si formano dimeri di (CPD) e fotoprodotti pirimidina-pirimidone (6-4). Le fotoliasi agiscono selettivamente per riparare questi danni al DNA. Esse contengono un cofattore attivo, il flavina adenina dinucleotide (FADH-), che catalizza il processo di riparazione.

Ciclobutano fotoliasi

L’enzima si lega ai dimeri della pirimidina e si posiziona sulla elica distorta del DNA danneggiato. Un fotone assorbito dal cromoforo attiva il FADH-, che a sua volta trasferisce un elettrone al danno nel DNA, dividendo l’anello del ciclobutano. Questo processo permette la riparazione del danno al DNA con un’efficienza notevole.

Conclusione

La fotoliasi svolge un ruolo fondamentale nella riparazione del DNA danneggiato dai raggi UV, proteggendo le cellule dagli effetti nocivi della radiazione solare. L’approfondimento di queste conoscenze può portare a sviluppi significativi nella prevenzione e nel trattamento delle malattie correlate ai danni del DNA.

Protone: scoperta, decadimento radioattivo

Il protone, una subparticella atomica immessa nel nucleo, è dotato di carica positiva indicata con p o p+. Essenziale nella composizione degli atomi insieme al neutrone e all’elettrone, il protone ha una maggiore rispetto a quella dell’elettrone, essendo 1836 volte più pesante, ma inferiore a quella del neutrone.


Nel 1815, il fisico britannico William Prout formulò l’ipotesi secondo cui il peso atomico di ogni elemento chimico è multiplo intero del peso atomico dell’idrogeno. Nel 1886, il fisico tedesco Eugen Goldstein confermò l’esistenza di particelle con carica positiva all’interno dell’atomo.

Dopo la scoperta dell’elettrone da parte di Sir Joseph John Thomson nel 1897, si intuì la presenza di centri di carica positiva per bilanciare la carica degli elettroni. Rutherford, nel 1911, identificò il nucleo atomico come centro di queste cariche positive, concentrato in una piccola frazione del atomico.

Decadimento

Molti isotopi naturali e artificiali mostrano instabilità nucleare a causa di un eccesso di protoni e/o neutroni, portando al e all’emissione di particelle. Durante il decadimento, il numero atomico può variare: per esempio, il decadimento alfa comporta la perdita di due protoni, spostando l’elemento nella tavola periodica di due posizioni.

Il decadimento beta, alternativamente, comporta la trasformazione di un nucleide instabile in un altro nucleide. In particolare, il decadimento beta meno implica la trasmutazione di un neutrone in un protone ed un elettrone, con l’emissione di un antineutrino, aumentando il numero atomico di una unità pur mantenendo costante il .

Differenza di potenziale: misura, riferimenti

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Cos’è la differenza di e come si calcola

La differenza di potenziale, indicata con l’acronimo d.d.p., tra due punti A e B di un campo elettrostatico è definita come il necessario per trasferire una carica unitaria da A a B. Per calcolare la differenza di potenziale tra i due punti, si considera il potenziale VA in A e il potenziale VB in B, ottenendo il rapporto tra il lavoro svolto dalle forze del campo per spostare la carica q da A a B e la stessa carica q:

VA – VB = LAB/q = EEA – EEB/q

Dove EEA ed EEB rappresentano l’energia potenziale elettrica, ovvero la capacità del campo elettrico di compiere lavoro su una carica nei punti A e B.

Unità di misura e significato del volt

La differenza di potenziale, o tensione, è misurata in joule/coulomb (J/C), che corrisponde al volt (V) in onore di Alessandro Volta, l’inventore della pila. Quindi, V equivale a 1 J/1 C. L’equazione dimensionale del volt può essere ricavata considerando che il lavoro L è espresso in [kg·m2·s-2] e la carica elettrica q in [A·s], ottenendo:

V ≡ [kg·m2·s-2/A·s] ≡ [kg·m2·s-3·A-1]

Punto di riferimento e tensione elettrica

Un singolo punto non ha tensione, che è definita come la differenza di potenziale tra due punti ed è sempre relativa a un punto di riferimento, comunemente il potenziale elettrostatico della superficie terrestre è considerato come 0 V.

Analogia con l’

Per comprendere meglio la differenza di potenziale, si può fare un parallelo con l’energia potenziale gravitazionale, che è l’energia che un corpo possiede in virtù della sua posizione in un campo gravitazionale. Ad esempio, l’energia potenziale gravitazionale di un corpo di m ad altezza h rispetto a un riferimento è U = m · g · h.

Applicazioni pratiche della differenza di potenziale

Nel contesto domestico, la corrente elettrica arriva attraverso le reti di distribuzione con una tensione di 230 V. Gli elettrodomestici, tuttavia, funzionano a tensioni molto più basse e utilizzano trasformatori per ridurre la tensione di esercizio a poche decine di volt.

Carica elettrica: protoni, elettroni

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La tra le Cariche Elettriche

La carica elettrica è una proprietà fondamentale della materia che determina l’interazione attrattiva o repulsiva tra due oggetti. Esistono due tipi di cariche elettriche: positiva, esibita dai protoni, e negativa, esibita dagli elettroni.

La forza elettrostatica tra due cariche è regolata dalla , che stabilisce che la forza è proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra di esse.

Alla Scoperta dell’Elettricità

Fin dall’antichità, si è osservato che l’ambra strofinata attira corpi leggeri. William Gilbert, considerato il padre dell’elettricità, coniò il termine “elettricità” dal greco ἤλεκτρον, che significa ambra.

Strofinando una bacchetta di ambra con un panno di lana, la bacchetta si elettrizza e diventa in grado di attrarre piccoli pezzetti di carta. Lo stesso fenomeno si verifica con una bacchetta di plastica strofinata con un pezzo di pelle, sebbene con diversa tipologia di elettrizzazione.

Tipi di Cariche Elettriche

Il comportamento delle bacchette di vetro e di plastica elettrizzate può essere spiegato attraverso l’esistenza di due tipi di cariche elettriche: la carica positiva associata al vetro e la carica negativa associata alla plastica.

Per convenzione, si considera che due corpi con cariche di segno opposto si attraggono, mentre corpi con cariche dello stesso segno si respingono. Un corpo con cariche di segno opposto in uguale quantità è neutro e non manifesta forze elettriche in prossimità di corpi caricati.

In condizioni normali, la materia si presume essere elettricamente neutra.

Reagente limitante: esercizi svolti

Come identificare il reagente limitante in una reazione chimica

Il concetto di reagente limitante in una reazione chimica si riferisce alla sostanza che si esaurisce prima e influenza la quantità dei prodotti formati. Per determinare il reagente limitante di una reazione si seguono i seguenti passaggi:

Bilanciamento e calcolo delle moli

Per prima cosa, è necessario bilanciare l’equazione chimica per conoscere i dei reagenti. Successivamente, si procede calcolando le moli di ciascun reagente coinvolto nella reazione. Infine, considerando uno dei reagenti, si determinano le moli necessarie degli altri reagenti.

Se le moli di i reagenti sono sufficienti, allora quello preso in considerazione è il reagente limitante.

Esempio di individuazione del reagente limitante

Nel caso della reazione tra 2.80 g di (Al) e 4.25 g di Cloro (Cl2) secondo l’equazione bilanciata: 2 Al + 3 Cl2 → 2 AlCl3, le moli di Alluminio e Cloro vengono calcolate come segue:
– Moli di Al = 2.80 g / 26.98 g/mol = 0.104
– Moli di Cl2 = 4.25 g / 70.906 g/mol = 0.0599

Poiché il rapporto tra Al e Cl2 è 2:3, si calcolano le moli di Cl2 necessarie a reagire con 0.104 moli di Al: 0.156. Avendo a disposizione 0.0599 moli di Cl2, questo risulta essere il reagente limitante.

Calcolo della del

Per esempio, nel caso di 19.0 g di Rame (Cu) e 125 g di Nitrato di Argento (AgNO3) reagendo secondo l’equazione bilanciata: Cu + 2 AgNO3 → Cu(NO3)2 + 2 Ag, si calcolano le moli di Cu e AgNO3 come segue:
– Moli di Cu = 19.0 g / 63.55 g/mol = 0.299
– Moli di AgNO3 = 125 g / 169.87 g/mol = 0.736

Poiché il rapporto tra Cu e AgNO3 è 1:2, si calcolano le moli di Cu necessarie per reagire con 0.736 moli di AgNO3: 0.368. Con solo 0.299 moli di Cu disponibili, questo è il reagente limitante. Calcolando le moli di AgNO3 in eccesso, si ottiene 0.138 moli, corrispondenti a 23.4 g di AgNO3 in eccesso.

In conclusione, l’individuazione del reagente limitante e il calcolo della massa del reagente in eccesso sono passaggi cruciali per comprendere e quantificare una reazione chimica.

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